Italian Graffiti / Quella serata romana del 17 ottobre 1968 ...
Martedì 16 Ottobre 2018
di Gianfranco Colasante
Domani - mercoledì 17 ottobre - verranno celebrati a Formia i cinquant'anni dalla giornata magica di Ottoz e Gentile ai Giochi del Messico. Non conosco il programma ma sono certo che sarà all'altezza dello spessore dei festeggiati. Per mio conto non ci sarò, e me ne spiace, ma voglio egualmente abbracciare - sia pure da lontano - Eddy e Peppe, dedicando loro un ricordo un po' sfocato ma ancora ben vivido (almeno per me). Lo faccio cominciando col recupero di due "ritratti" su di loro, autori due mostri sacri del giornalismo italiano: Gianni Brera per Peppe e Luigi Gianoli per Eddy. Veri "pezzi" da antologia che si collocano negli scaffali più alti della pubblicistica dedicata all'atletica. Quella nobile e di sapore antico. Per chi volesse, si trovano riprodotti qui di seguito: Brera / Gianoli. Ve li consiglio.
Ma con l'occasione voglio anche ricordare - perdonerete la personale civetteria - il numero di Atletica che ne nacque, la rivista federale faticosamente nata proprio quell'anno sulle ceneri del glorioso bollettino fondato dal marchese Ridolfi e innervato per decenni dalla superiore cultura di Bruno Zauli. Quel fascicolo del novembre 1968, un numero di 90 pagine, lo misi assieme in pochi giorni di lavoro frenetico condito di passione e tanta inesperienza. Forse qualcuno lo ha conservato. Lo meriterebbe, se non altro quale vetrina del fecondo giornalismo che faceva ricca l'atletica di quegli anni.
STASSANO - La lunga serata del 17 ottobre 1968 la trascorsi nella stanza di Pasquale Stassano, al terzo piano del Palazzo delle Federazioni di Viale Tiziano, all'epoca sede della FIDAL, la sola stanza che disponeva di un piccolo televisore ovviamente in bianco/nero. Dall'altra parte del mondo, dal microfono, arrivava la voce di Paolo Rosi. Una primizia. Assieme a noi due c'era, inaspettato, Ugo de Mohr che aveva già lasciato i 400 per la carriera diplomatica (molti anni più tardi, da ambasciatore in Finlandia, toccherà a lui evitare un clamoroso incidente tra Berlusconi e il governo di quel paese: ma questa è un'altra storia). Nel pomeriggio messicano la finale del triplo dopo il "mondiale" della mattina precedente, frammisto, rispettivamente alle 15 e alle 17 locali, a semifinali e finale dei 110.
Sensazioni diverse, attesa, ansia, eccitazione, emozioni, un po' di rabbia. Mentre via via quegli stati d'animo andavano sciogliendosi, pur nel rispetto dei ruoli, fu buttata giù la scaletta del numero. I "pezzi" li avrebbe chiesti Stassano (a lui nessuno sapeva dire di no), a me fu lasciata l'architettura del numero, con qualche suggerimento accettato con benevolo distacco, mentre per l'impaginazione venne arruolato a mezzo servizio Enzo Balboni, giornalista del Corriere dello Sport che collaborava con la RAI e che molto mi insegnò in quei giorni, quando i giornali di costruivano con la macchina da scrivere, le forbici e la colla. E soprattutto con la fantasia e un po' di improntitudine.
Spero di non chiedervi troppo se provo a sfogliarlo assieme a voi, quel numero. Dopo i doverosi e paludati omaggi dei direttori - Gualtieri Zanetti e Antonio Ghirelli - il "racconto" veniva articolato per specialità. Le corse affidate a Gianni Romeo che al Messico aveva assistito de visu alla strage di Piazza delle Tre Culture (bellissimo e coinvolgente il ricordo che ne ha fatto in questi giorni, in appendice al libro di Giorgio Cimbrico dedicato al Sessantotto messicano); gli ostacoli ad Alfredo Berra (a chi altrimenti? in finale c'era Frinolli ...); i salti a Gianni Melidoni (col dovuto risalto per il terzo uomo del Messico, uno straordinario Giacomo Crosa); i lanci a Luigi Vespignani; la marcia a Ferruccio Porta; la maratona, udite udite, a Bruno Bonomelli, uscito per una volta, credo con piacere, dalla sua trincea anti-federale.
C'erano poi i "pezzi", diciamo così, di approfondimento. Tra questi proprio il "profilo di Brera" su Gentile, qui riprodotto. Ma anche il "maestro" Renato Morino che scriveva di Bob Beamon; R.L. Quercetani sullo "sconsiderato" Biwott (Rosi docet); ancora Berra sull'avanzata degli africani: un lungo articolo che anticipava molti temi a venire. Poi spunti di varia riflessione di RLQ, mentre Giulio Signori apriva il racconto delle gare femminili. C'era poi un vero e proprio rapporto tecnico, su cosa di nuovo, o meglio di rivoluzionario, s'era visto al Messico: con la primizia di un articolo di Tito Morale, poi Peppino Russo, Mario Di Gregorio, Lauro Bononcini, Ettore Milone. Non mancava nessuno.
FOTOCOLOR - Ancora. Alle foto, rigorosamente in bianco e nero, aveva pensato Stassano tramite i suoi misteriosi collegamenti. Restava solo il rebus della copertina. Che m'ingegnai di inventare col ricorso ai mitici e sognati fotocolor che mai s'erano visti prima per una pubblicazione di atletica. Ma per averli occorrevano bei soldoni, un problema quasi insolubile per la austera FIDAL del capitano Giosuè Poli. Due fotocolor volevano dire alcune migliaia di lire, prezzo di affezione. Dopo lunghe trattative, alla fine me li procurò Aldo Durazzi, uno dei più noti fotoreporter di quegli anni, che aveva studio nel palazzo della Rinascente, a via del Corso. Respinto con perdite dal ragionier Massimi, cerbero custode delle casse federali, non volendo rinunciare all'idea, i due fotocolor finì che li pagai di tasca mia, fidando in un rimborso che non arrivò mai. Anche se il buon Aldo, alla fine, applicò un salvifico "prendi due e paghi uno".
Si poteva finalmente procedere. Ma a metà dell'opera, quello che non t'aspetti. Forse non ho ricordato che Atletica veniva preparata in una vecchia tipografia nei sottoscala del cinquecentesco Palazzo Sciarra, a due passi da piazza Colonna, per decenni stamperia di molti quotidiani romani, compresa l'edizione cittadina della Gazzetta dello Sport. Ebbene, una mattina - arrivato trafelato per le solite incombenze - trovai tutto sigillato con la tipografia sotto sequestro per una storia di carta moneta falsificata. Una vicenda un po' alla romana, da "banda degli onesti", ma che che richiese un bel po' prima che si risolvesse. Liberando piombo e matrici e, finalmente, quella copertina con i due fotocolor. Se vogliamo un po' primitiva, ma che a me parve bellissima, più d'un quadro d'autore.
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