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CONI / Walk of Fame e la necessita' del "secondo tempo"

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Sabato 9 Maggio 2015

CONI

di G.F. COLASANTE

Alcune osservazioni in risposta a una mail di Luciano Barra che rilevava assenze importanti, specie per l'atletica, nei 100 nomi della recente Walk of Fame inaugurata dal CONI

Luciano, ti ringrazio per avermi trasmesso le tue impressioni sul percorso Walk of Fame (che tristezza la rinuncia alla nostra lingua, …) inaugurato l’altro ieri. Ne ho letto sui giornali. Dal mio punto di vista, e lo sai, le condivido pienamente. Aggiungerei anzi che alla tua lista di “assenti” ci sarebbero da aggiungere molti altri nomi, e non secondari. Non conosco la paternità e gli estensori dell’iniziativa che però, riguardando lo sport, appartiene un po’ a tutti noi che allo sport abbiamo dedicato la vita. Tanto che mi piacerebbe pensare a quelle mattonelle come a vere “pietre d’inciampo” più che a semplici targhe. Difficile crederlo. Ma – se permetti, e hai tempo – vorrei fare alcune considerazioni diverse. Partirei da un vecchio aneddoto. Il 27 aprile 1965 – giusto cinquant’anni fa – l’allora presidente del CIO, Avery Brundage, fece visita al CONI assistendo ai lavori del CN nel corso del quale prese la parola. Più o meno disse: “Ho girato tutti gli uffici del CONI e sono rimasto, però, sorpreso che non esista un ufficio che si occupi di cultura e di belle arti. Io penso che l’Italia, il paese di Michelangelo, di Leonardo, di Donatello, del Verrocchio, debba dare più importanza a questo settore.” Erano anni difficili per il CONI, Bruno Zauli era morto da più d’un anno, gli appetiti attorno alla cornucopia del Totocalcio s’erano moltiplicati, l’eredità di Roma ’60 s’era esaurita.

Pochi, quando ne parlano, sanno di Roma ’60. Al riguardo si può cedere la parola a Giulio Onesti che scriveva a quel tempo: “Dopo i Giochi di Roma, l’ente, anziché trovare riconoscenza, incoraggiamento ed aiuto, ha dovuto iniziare una nuova lotta per difendere addirittura la propria sopravvivenza. Siffatti premi sono tipici del nostro paese e bisogna quindi accettarli come caratteristici del nostro paesaggio e della nostra nomenclatura.” Qualche tempo prima, in un convegno tenuto alla Dante Alighieri, perfino l’on. Andreotti – che quei Giochi aveva presieduto – doveva melanconicamente ammettere che dal punto di vista dell’eredità culturale, Roma ’60 aveva fallito. E pensare che quei Giochi costituirono la stazione d’arrivo di un lungo e articolato percorso cultural/sportivo come non c’era mai stato in Italia, avviato da Zauli sin dagli anni di guerra. Un clima impensabile, oggi, guardando a quello che potrebbe essere Roma 2024: ma questo non è il tema.

Ciò premesso, torno un attimo al 100 nomi. Non conosco i criteri che sono all’origine della lista, né se porteranno a una vera Hall of Fame: mi auguro che si sia guardato agli esempi esteri, ben più antichi e collaudati. Convengo sulla difficoltà di stilare un elenco privo di “assenze” o esente da critiche. Una ventina d’anni fa pubblicai un volume presso Vallardi (premiato col Bancarella) nel quale riunivo le biografie, divise per epoche storiche, dei 100 nomi che “per me” avevano fatto la storia dello sport italiano. Ricordo che anche allora ci fu chi mi fece notare che mancava qualcuno, … Più o meno, qualcosa del genere mi capitò ancora quando dirigevo l’Enciclopedia dello Sport della Treccani: ricordo una accesa discussione per poter inserire Peppino Meazza nel volume del calcio: alla fine venne cassato per far posto a Paolo Rossi, perché … più vicino ai nostri tempi.

Motivo per cui oggi mi limito a condividere le tue osservazioni, con l’impegno di tornarvi, ribadendo che dai nomi che ho scorso, manca di certo più di qualche personaggio che avrebbe meritato (senza voler per forza rifarsi a Dorando Pietri che, ormai, conoscono solo gli iniziati dai pochi capelli bianchi, …). Questa è un po’ la stessa storia delle “dediche”. Lo stadio di Caracalla dedicato a Nando Martellini, che non ci mise mai piede, e non a Zauli che l’aveva a lungo propugnato e sostenuto, il centrale del Foro dedicato a Nicola Pietrangeli e non al gentiluomo Giorgio de’ Stefani che “è stato” il tennis in Italia e nel CIO. Se vogliamo, anche questa è cultura, sia pure all’incontrario e con la “c” minuscola. Comunque mi auguro che in futuro questa prima lista possa essere ampliata, ed estesa, casomai allargandola a dirigenti e giornalisti. Ma, … e qui arriviamo al vero argomento di questa lunga tiritera.

Come altre iniziative recenti del CONI – per carità, non voglio ricordare il Museo annunciato per Mennea e risolto con una scritta – mi pare che manchi sempre il “secondo tempo” o che non lo si ipotizzi neppure. Si fa l’annuncio, si lancia il sasso, si ottiene qualche titolo ad effetto, qualche fotografia, qualche secondo in Tv, ma siamo sempre alle osservazioni di Brundage. Ed è trascorso mezzo secolo! Era accaduto con il cosiddetto Centenario, celebrato per il 1914 quando il CONI (CIO docet) era stato costituito sei anni prima: nel 1996 avevo scritto un libro, pubblicato proprio dal CONI, che raccontava la storia e riportava i documenti, nessuno lo ha guardato.

Invece quella celebrazione, anno più, anno meno, adesso poco importa, sarebbe stata una grande occasione per un vero “secondo tempo”, per riaprire le porte del CONI alla Cultura e alla Storia (iniziali maiuscole). Cosa si poteva fare? Che so, alla rinfusa: un convegno serio con degli atti, una mostra articolata, un riordino dei documenti sulle tre Olimpiadi organizzate in casa, una pubblicazione di qualità con le storie di quanti hanno costruito il Movimento Olimpico in Italia, … si è preferito allestire una serata Tv, fidando più sul presentatore che sui contenuti, il tutto spacciato per “emozioni”, mentre si trattava solo di una confusa passerella che – anche quella volta – aveva dimenticato qualcuno. E che non ha lasciato nulla dietro di sé, neppure un ricordo sbiadito.

Ora siamo al “primo tempo” della Walk of Fame. Tu auspichi che da questa iniziativa possa nascere una Hall of Fame o addirittura un Museo. Argomento, questo, che ogni tanto torna di attualità. Tu e io, lo ricorderai, nel secolo scorso facemmo parte del gruppo di lavoro che Franco Carraro aveva costituito per il Museo del CONI. E ricorderai, dal momento che ne eri il capo, le tante riunioni nella Sala del Caminetto e i progetti che avevamo messo su carta (sono certo che li conservi, come li conservo io). Non se ne fece nulla. Anche allora mancò il “secondo tempo”.

Più tardi, una decina d’anni fa, su incarico del Ministro dei Beni Culturali ho avuto la ventura di stendere il progetto completo per il Museo dello Sport Nazionale. C’era una legge, c’erano i soldi (tanti) e, almeno sembrava, la volontà di andare avanti. Ma anche allora il CONI preferì percorrere altre strade che non voglio ricordare, … e mancò ancora il “secondo tempo”. I soldi? Si spesero più di 25 milioni per una ventina di Musei dello Sport tematici, o federali, che ignoro dove si trovino: l’elenco, con le cifre spese, dovresti ancora trovarlo sul sito del Governo, sezione Sport. Non so se in futuro ci sarà un “secondo tempo” anche per il Museo e, francamente, ormai mi interessa poco.

Mi fermo. La verità, caro Luciano, è che noi siamo rimasti impropriamente "uomini-CONI": una volta - quando eravamo giovani - quello era un marchio indelebile (e di cui, almeno io, andavo fiero). Ma questo, ai giorni nostri, finisce col tradursi in una grande debolezza. Motivo per cui da più di quindici anni io non vado più al Foro Italico. Walk of Fame o Museo futuribile che sia. Comunque vada, mancherà sempre il "secondo tempo", stanne certo.  

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