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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
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(le oltre 400 testate dimenticate)





Brazil 2014 / (I) Quei lontani giorni in Uruguay …

Martedì 27 Maggio 2014

Quando la FIFA, il 18 maggio 1929, gli affidò l'organizzazione della prima competizione mondiale di football, l'Uruguay moltiplicò gli sforzi per presentarsi degnamente all'appuntamento dell'anno seguente. La situazione economica non era delle più floride. Incombeva infatti, in quei giorni, la grande crisi esplosa nel "martedì nero" dell'ottobre 1929 culminata nel crollo della Borsa di New York. E anche il "socialismo di Stato", imposto all'Uruguay sin dal 1911 da Battle Ordenez, cominciava a dare segni di usura. Tuttavia tutto il paese (che in quegli anni contava meno di 2 milioni di abitanti, in gran parte d'origine europea) si adoperò con entusiasmo per assolvere al meglio un incarico che pareva una sfida al buon senso.



Gli effetti della crisi si fecero sentire anche sulla partecipazione. Mentre le più importanti nazionali americane si iscrissero al completo, non altrettanto avvenne per quelle europee delle quali solo quattro (Belgio, Francia, Iugoslavia e Romania) affrontarono il lungo viaggio transoceanico (con due settimane di navigazione a bordo del piroscafo italiano "Conte Verde").
L'assenza più dolorosa fu quella italiana. Non è mai stato chiarito a pieno il perché di quella rinuncia che i soli motivi economici non bastano a giustificare. Proprio quell'anno - con la federazione affidata a Leandro Arpinati - era stato inaugurato il "Girone unico" e la nazionale, in attesa di tornare sotto la guida di Vittorio Pozzo, aveva fatto una bella figura ai Giochi del 1928, piazzandosi al terzo posto proprio dopo Uruguay e Argentina. In ogni caso la delusione sulle rive del Rio de la Plata fu grande. Soprattutto tra la numerosa colonia di emigranti italiani che avevano scelto di tentare l'avventura della propria vita in Sud America. Uno sgarbo che, quattro anni più tardi, gli "uruguagi" ripagheranno d'ugual moneta disertando l'edizione organizzata in Italia.

Il primo problema era quello degli stadi. Che semplicemente mancavano del tutto. Per realizzarli in così poco tempo ci voleva, più che la buona volontà, un vero miracolo. Si decise di costruirne uno soltanto, ma gigantesco, cui venne dato il nome di Centenario a ricordo del secolo di indipendenza nazionale. La costruzione prese il via otto mesi prima dell'inaugurazione della Coppa, fissata per il luglio 1930, quando in Sudamerica sarebbe stato inverno. Fu una impresa febbrile che vide impegnati tecnici e maestranze contro una serie di imprevisti: ritardi dovuti a piogge torrenziali e alla scoperta di una inattesa falda d'acqua sotterranea proprio sotto lo stadio in costruzione. Si lavorò a turni anche notturni per recuperare il ritardo e concludere per tempo i lavori. Pur tuttavia le due partite inaugurali del torneo si dovettero disputare negli stadi del Nacional (Parque Central) e del Peñarol (Pocitos).



LA FINALE URUGUAY-ARGENTINA:

QUASI UNA BATTAGLIA

 

Il 18 luglio 1930 lo Estadio Centenario (per il quale gli organizzatori si sono svenati spendendo oltre un milione e mezzo di pesos) è finalmente pronto: strapieno di 80.000 spettatori sarà inaugurato da Uruguay-Perù, un confronto che la nazionale "celeste" si aggiudica col punteggio minino. Uruguay e Argentina volano verso la finale annunciata superando via via ogni ostacolo ed eliminando in semifinale, rispettivamente, Jugoslavia e Stati Uniti col medesimo punteggio di 6-1.

La finale iridata, rivincita di quella olimpica del 1928 che aveva celebrato il trionfo del calcio sudamericano, si gioca il 30 luglio. La tradizionale rivalità tra le due squadre e, ancora di più tra i diversi supporter, preoccupa le autorità. Anche perché da Buenos Aires approdano una decina di imbarcazioni con circa 15.000 tifosi argentini. Altri battelli restano bloccati dalla nebbia e attraccano in ritardo con altre migliaia di "portenos" per i quali non si trova posto nello stadio già straripante.
Agli ingressi la "policia civil" perquisisce minuziosamente gli spettatori. Lo stesso arbitro, il belga John Langenus, che aveva preteso una polizza sulla vita e la protezione di almeno un centinaio di poliziotti, viene sottoposto ad una accurata ispezione personale all'ingresso del Centenario.


L'incontro tanto atteso sta per iniziare, ma le polemiche e i dispetti tra le due finaliste non si placano. Prima di scendere in campo i capitani delle due squadre inscenano una disputa per la scelta del pallone di gioco. Gli argentini vogliono imporre il loro, quasi un etto più leggero di quello abitualmente usato dagli uruguayani. I rivali intendono giocare con il loro, più pesante. Alla fine è l'arbitro a decidere stabilendo di utilizzare un pallone per tempo: una decisione solomica che scontenta tutti. Il sorteggio stabilisce che tocchi a quello argentino prendere i primi calci. Alle 14,30 finalmente si può cominciare, con mezzora di ritardo sul previsto.


I bianco-celesti, col vantaggio di giocare col pallone a loro più familiare, vanno al riposo in vantaggio per 2-1 dopo essere stati sorpresi al 12' da un contropiede di Dorado. Il formidabile attacco argentino aveva replicato con un bolide di Peucelle al 20' e con una prodezza del "filtrador" Stabile al 37'. Gli uruguayani, spronati dal loto tecnico Alberto Suppicci e guidati in campo dall'eclettico José Nasazzi e dallo splendido José Leandro Andrade (la "merveille noire" come l'avevano ribattezzato alle Olimpiadi di Parigi del 1924), mettono alla frusta la difesa argentina che subisce il paraggio al 57' con un maligno diagonale di Pedro Cea.

Ancora dieci minuti e la "Celeste", come i tifosi "platensi" chiamano affettuosamente la propria nazionale, passa in vantaggio per un bolide di Iriarte scagliato da trenta metri. La reazione bianco-celeste, furibonda quanto sterile, si infrange sulla linea della porta avversaria quando Andrade salva miracolosamente sulla linea un tiro di Varallo. Come se non bastasse, quando manca ormai un minuto al termine, "Manco" Castro (in squadra per sostituire Anselmo, rifiutatosi di scendere in campo contro gli argentini) sigla di testa il 4-2 finale.
E' il trionfo dei padroni di casa. Gli spettatori sono al parossismo, ma tutto il paese celebra il successo come una festa nazionale. I giocatori, gli eroi che rappresentano tutti gli uruguayani, ricevano il premio suppletivo di un appartamento a testa. Per gli argentini è lutto profondo. Tanto più sofferto quanto più era radicata la convinzione di poter (e dover) vincere a mani basse quell’incontro.

 

 

Lo score della finale

30 Luglio 1930, Montevideo (Centenario)

URUGUAY-ARGENTINA 4-2 (1-2)

Reti: 12' Dorado (U), 20' Peucelle (A), 37' Stabile (A), 57' Cea (U), 68' Iriarte (U), 89' Castro (U).

Uruguay: Ballestrero; Nasazzi, Mascheroni; Andrade, Fernandez, Gestido; Dorado, Scarone, Castro, Cea, Iriarte.

Argentina: Botasso; Della Torre, Paternoster; J. Evaristo, Monti, Suarez; Peucelle, Varallo, Stabile, M. Ferreyra, M. Evaristo.

Arbitro: Longenus (Belgio).

 

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