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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
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(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Un mondiale vinto in campo, uno in panchina

Lunedì 8 Gennaio


franz 

Franz Beckenbauer era bello e elegante. Il Kaiser, il più grande giocatore tedesco se n’è andato a 78 anni. Un'immagine molto evocata, a suo modo eroica, è quella di Franz che gioca i supplemntari di Italia-Germania 4-3 col braccio al collo.

Giorgio Cimbrico

Franz Beckenbauer era bello e elegante: calligrafia, il tuo nome è Kaiser. E ora il più grande giocatore tedesco se n’è andato a 78 anni, cinquanta giorni dopo Bobby Charlton e tre dopo Mario Zagallo: i protagonisti di un’era stanno sparendo, uno dopo l’altro. Franz aveva incontrato Bobby nella finale del ’66, e con Mario (e con Didier Deschamps) aveva un record raro, concesso solo ai pochi: un Mondiale vinto in campo e uno in panchina.

Era il Libero, a lettere tutte maiuscole, il bavarese figlio di un postino nato pochi mesi dopo la fine della guerra, dall’aspetto raffinato, un personaggio che sembra uscire da una tela che ritrae Luigi II, il re pazzo, nelle passeggiate attorno a un castello di fiaba, a un lago.

Un’immagine molto evocata – e a suo modo eroica – è quella di Franz che gioca i leggendari supplementari dell’Azteca, della Partita del Secolo, di Italia-Germania 4-3, con un braccio al collo. Le sostituzioni erano finite e si trattava di stringere i denti. Anche in quei momenti la sua eleganza, la sua levità non vennero sopraffatti dal dolore, dall’asfissia dell’altura.

Secondo nel ’66, nel giorno in cui il Sun scrisse: “Oggi a Wembley l’Inghilterra gioca la finale del Mondiale di calcio, il nostro sport nazionale, contro la Germania. Vada come vada, in queste secolo li abbiamo battuti due volte nel loro sport nazionale”. Terzo quattro anni dopo a Messico, Franz ebbe il suo trionfo nel ’74, nel Mondiale di casa quando la Bild, con un eccellente giochetto di parole grazie al nome del commissario tecnico, salutò il successo sulla rivoluzionaria Olanda con “Danke Schoen”. In realtà pare che le briglie del comando fossero saldamente nelle mani di Beckenbauer che disegnò un gruppo a forte trazione Bayern Monaco, il suo club dall’inizio alla fine, dalle giovanili a una presidenza onoraria che ha mantenuto sino all’addio.

Era la squadra di Sepp Maier, il portiere che pareva veder comparire dalla torretta di un panzer, di Gerd Muller, il piccolo centravanti capace di torsioni e giravolte inimitabili, di Wolfgang Overath dalla visione sempre limpida.

Legato al suo club (con cui vinse tre Coppe dei Campioni e due Palloni d’Oro) e alla sua terra, Beckenbauer volle sperimentare i primi effimeri tentativi di trapiantare il calcio negli USA e finì per trovarsi al fianco di Pelè nei Cosmos di New York. Tornò in Germania, ebbe un’avventura ad Amburgo ma la Baviera continuava a essere la calamita che lo attirava, irresistibile.  

Commissario tecnico, vinse Italia ‘90 in fondo a una brutta finale con l’Argentina di Diego Armando Maradona, decisa da un dubbio rigore trasformato da Brehme. Era il terzo Mondiale che andava in Germania, il secondo su cui metteva le mani il Kaiser.

Presidente del comitato organizzatore del Mondiale 2006, aspirava a un altro successo in un’ennesima veste. Gli fu fatale l’Italia di Lippi che piegò la Mannschaft nell’altro grande sacrario del cacio tedesco, Dortmund.

 

 

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