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Duribanchi / L'isola della cultura: bell'idea ma ...

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Martedì 12 Dicembre 2023

pinacoteca-brera


La richiesta all'UNESCO da parte della città di Milano del riconoscimento dell'isola architettonica e culturale che dalla Pinacoteca di Brera arriva alla Biblioteca Ambrosiana sarebbe una grande idea, ma che pare destinata a restare tale.

Andrea Bosco

La proposta era arrivata al Corriere della Sera da Francesco Micheli, finanziere e mecenate, raffinato melomane, nel giugno scorso: la richiesta all'UNESCO da parte della città di Milano di riconoscimento dell'isola architettonica e culturale che parte dalla Pinacoteca di Brera e arriva fino alla Biblioteca Ambrosiana.

L'ha opportunamente “rispolverata“ l'11 dicembre sulle pagine di Milano del quotidiano di Via Solferino, Giangiacomo Schiavi, dominus della memoria della città, oltre che stabile interlocutore con i lettori del giornale grazie ad una seguitissima rubrica.

Le eccellenze artistiche di Milano sono tante. Alcune poco conosciute: come l'incredibile “Pietà Rondanini“ di Michelangelo, capolavoro del “non finito“ che ispirò Rodin e Medardo Rosso, custodita al Castello Sforzesco. Idea meravigliosa che completerebbe un iter già consolidato dal Cenacolo vinciano e da Santa Maria delle Grazie che dell'UNESCO hanno il sigillo protettivo.


Avuto l'imprimatur dell'UNESCO, il passo successivo inevitabilmente sarebbe quello di pedonalizzare il percorso che da via Brera (Pinacoteca e Braidense), attraverso via Verdi, arriva in Piazza Scala (Piermarini e Gallerie d'Italia). E da qui, percorrendo la Galleria, in Piazza Duomo con la Fabbrica, Palazzo Reale e il Museo del Novecento. Per concludersi ai mille tesori della Biblioteca Ambrosiana.

Al teatro Franco Parenti dove è stato presentato il magazine “Città“, nel quale Milano è raccontata per immagini, di questo si è parlato. Anche di inserire nel percorso un luogo di assoluta qualità (nella vicina Via Manzoni) come il Museo Poldi Pezzoli. Tra l'altro il Castello Sforzesco (collegato a Piazza Cordusio e a Piazza Duomo attraverso la già pedonalizzata via Dante) è a un centinaio di metri. E a metà di Via Dante si affaccia lo storico Piccolo Teatro che Paolo Grassi e Giorgio Strehler fecero conoscere al mondo.

L'UNESCO da un decennio sta “ponzando“ sulla possibilità di designare la Veneranda Fabbrica a patrimonio dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura. Le città cambiano e sempre di più cambieranno. Liberarle dalle automobili è una necessità. Serve a chi abita le città, soprattutto camminare come auspica il Premio Nobel, Pamuk. Di questo parere è anche il giovane assessore alla Cultura Tommaso Sacchi.

Il dossier sul Duomo è stato recentemente ripresentato e l'iter è in corso. L'idea di dare una unica identità ai principali luoghi della cultura meneghina, per ora è solo una idea lanciata da Micheli, ripresa da Schiavi e supportata da alcune personalità cittadine. La burocrazia ha tempi pachidermici e quindi, se sarà, non sarà a breve. Ma intanto il sasso è stato lanciato nello stagno. E non sarebbe male che la politica tutta, invece di accapigliarsi su questioni di lana caprina, facesse la sua parte, sollecitando l'interesse dell'UNESCO. Al quale, tuttavia, andrebbe suggerito di porre qualche paletto.

La Milano costruita dal sindaco Beppe Sala è molto commerciale. E' imprenditoriale. E' globalizzata ed inclusiva. E sulla carta, tendente al green. Ma è anche una città con poche regole: raramente rispettate. Via Dante oltre che pedonale è una pista dove ciclisti e monopattinisti sfrecciano tra i passanti spesso pericolosamente. Una piaga che interessa (bici, monopattini, scooter: non escluse le automobili piazzate tra gli alberi) ormai tutto il tessuto urbano. Via Dante ha alcuni brutti dehors: strutture che hanno invaso ogni marciapiede della città a scapito dei pedoni. E' pedonale anche la vicina via Mercanti il cui loggiato è parte della storia di Milano. Una via dove accanto a modesti “artisti di strada“ si esibiscono a tarda sera anche teppisti di varie etnie, dalla “sbronza“ facile.

La “percezione“, infine . Chiunque transiti in Galleria si rende conto che ai turisti, della Galleria, importa zero. Al massimo si fanno un giro di scarpa sulle “palle“ del Toro, simboleggiato sul pavimento al centro dell'Ottagono, perché “porta fortuna“. Quello che importa alle turiste è farsi un selfie davanti alle vetrine del fashion. Per loro Milano è rappresentata dal lusso: Armani, Gucci, Prada, Fratelli Rossetti, Swaroski, i tavoli di Cracco. I più acculturati entrano alla Rizzoli, alcuni timorosi si azzardano alla Bocca, storico ritrovo editoriale per l'arte.

Poco distante ci sarebbe, nell'omonima via, anche la Hoepli. Ma da quelle parti, i turisti ci vanno per bivaccare nei dehors della galleria che la ospita. Il luogo di Milano, dove per transitare devi metterti in fila indiana se dal lato opposto arrivano altri pedoni. I dehors ai quali il Comune ha concesso la licenza, allineano fino a quattro tavoli e relative sedie. Lo scempio si interrompe solo alla prima vetrina della Hoepli. Necessità causata dal Covid? Se si crede alle favole, certamente. Il fatto è che, in Italia (e Milano è in Italia), niente è più permanente del “provvisorio“. Quei dehors, non sgombreranno a fine contratto. Prima della “fine“, quei contratti saranno rinnovati.

L'UNESCO però “paletti“ di questo genere non li metterà mai. Non compete a quel prestigioso ente metterli. La competenza sarebbe del Comune. Che con gli affitti dei dehors impingua le casse comunali. Meravigliosa idea l'isola (pedonale) della cultura a Milano. Ma per poterla veramente attuare (e successivamente gestire) servirebbe un corso di civica educazione. Per molte categorie. Non escluso l'inquilino di Palazzo Marino.

 

 

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