Italian Graffiti / "I diritti tv sono la droga che uccide il calcio"
Venerdì 13 Gennaio 2023
Le concessioni fiscali del Governo Meloni a favore delle società di calcio saranno preludio al risanamento economico e morale di quel mondo? Lo auspicava già nel 2004 Carlo Azeglio Ciampi. Ma senza successo alcuno. Poi venne Calciopoli ...
Gianfranco Colasante
“Il calcio italiano deve tornare ad investire nei giovani, nei vivai, a dare occasione a ragazzi di talento nati sui campetti della nostra provincia. E’ nei vivai giovanili che troviamo esempi che danno speranza in questo sport così amato e così pieno di problemi. Non si può finanziare tutto a costi crescenti, senza una prospettiva economica di lungo periodo che coinvolga le comunità nelle quali e per le quali si pratica lo sport. Altrimenti, i danari dei diritti televisivi rischiano di essere una droga che uccide il calcio italiano”.
Queste parole sono vecchie di una ventina d’anni. Risalgono al 16 Luglio del 2004. A pronunciarle era stato il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi aprendo la cerimonia di consegna del tricolore alla squadra olimpica in partenza per Atene. Parole chiare e dure rivolte al Gotha dello sport nazionale che non fece una piega. Anzi, le accolse genuflettendosi senza imbarazzo alcuno.
Le reazioni? L’immarcescibile Petrucci, saldamente a capo del CONI: “Sono entusiasta delle parole del presidente. Non pensavo ci abbracciasse così forte”. Più defilato e prudente Carraro, presidente della FIGC (a braccetto col capo-gruppo olimpico Gabriele Gravina): “Quanto detto da Ciampi deve far riflettere tutti”. Decisamente più articolato Andrea Abodi, allora con la feluca di consigliere di CONI-Servizi: “I vertici del calcio italiano non sono stati sempre in grado di interpretare in modo adeguato il loro ruolo, non solo in termini finanziari, ma anche in termini morali”.
Persino Maurizio Gasparri – oggi studente di storia patria, ma al tempo ministro delle comunicazioni (erano quelli i tempi del maxi-contratto televisivo di Milan, Juventus e Inter per la pay-tv di Sky e per il digitale terrestre di Mediaset, a seguire lo “spalma-debiti” governativo del 1999) – volle dire la sua: “Il calcio ha bisogno di una rigenerazione morale. Deve ridimensionare le sue spese, le sue pretese, le sue follie”.
Adesso lo hanno tutti dimenticato, ma era la prima volta (ma anche l’unica) che la più alta magistratura dello Stato entrava con decisione sull’argomento. E con indirizzi molto chiari. Qualcosa di simile dirà in seguito Mario Monti, ma da commissario dell’EU, prima di chiudere da presidente del consiglio porte e finestre alle follie olimpiche. Quel giorno Ciampi non parlò a braccio, ma si presentò con tre paginette, “pesanti come un macigno”. Una presa di posizione che sarebbe stata occasione per qualche riflessione. Si tradusse invece – come testimonierà il prosieguo – in una generale e gioiosa fuga dalla realtà.
Quello di Ciampi era stato un vero e proprio “discorso sullo Stato dell’Unione”, come riferì un giovane Luca Valdiserri sul Corriere della Sera. Appare utile, e istruttivo, rileggere quella cronaca articolata sui tre punti principali toccati dal presidente Ciampi che, nell’occasione, più che al calcio si rivolgeva alla comunità nazionale.
• Etica: “Tutto lo sport, anche e ancor più lo sport ricco di sponsor e di flussi pubblicitari, ha il dovere di guardare agli effetti che i propri comportamenti provocano tra i cittadini. Vicende recenti del calcio italiano manifestano l’urgenza di una sua rigenerazione morale economica e organizzativa”.
• Uguaglianza: “Non so se i provvedimenti più recenti siano tecnicamente i più appropriati … I danari dei diritti televisivi rischiano di essere una droga che uccide il calcio italiano”.
• Rigenerazione: “Questa rigenerazione è possibile. Lo dimostra il successo della Nazionale under-21 agli Europei. Ai ragazzi di Gentile auguro di andare fortissimo ad Atene. Siamo con voi”.
Come sempre, la politica si divise attestandosi sul proprio particulare, in sostanza se ne trasse fuori. Il mondo del calcio si compattò invece con i vertici del CONI. Un clima di concordia neppure scalfito – due anni più tardi – dalla torbida vicenda di Calciopoli, nata da un filone secondario di un’inchiesta sulla camorra napoletana, che dopo la vittoria della Nazionale ai Mondiali del 2006 si tradusse in aperta avversione al commissario Guido Rossi nominato dal governo Prodi (e al suo vice, il magistrato Francesco Saverio Borrelli – “un anticorpo all’illegalità diffusa” – sul quale più si accentrarono gli strali e che ne uscì sconfitto).
I risvolti giudiziari di quella vicenda – una fredda trascrizione di intercettazioni e deposizioni dei 39 personaggi rimasti nella rete – vennero pubblicati dall’Espresso in un volume A4 di 428 pagine in corpo 9. Titolo emblematico: “Il libro nero del calcio”. Una ricostruzione più “letteraria” e articolata si trova in “Calciopoli” (Baldini, Castoldi, Dalai, 2007), un libro di Bruno Bartolozzi e Marco Mensurati che portava un sottotitolo inequivocabile: “Collasso e restaurazione di un sistema corrotto”.
Anche quella fu un’occasione persa, nel senso di non volutamente colta. A dirlo a botta calda fu un altro magistrato prestato alla politica, il senatore Gerardo D’Ambrosio, procuratore capo a Milano ai tempi di Mani Pulite: “Nessuna sorpresa. Quando ci sono forti interessi economici in ballo, va sempre a finire così, tarallucci e vino”.
Questo per il passato. Cosa riserverà il futuro o se cambierà qualcosa, con i giocatori italiani ormai specie protetta se non proprio in estinzione, non si può certo immaginare. O forse si. Considerato che i protagonisti di quei giorni sono ancora tutti più o meno sulle loro poltrone. Aspettiamo con fiducia il saldo della prima delle 60 rate concesse.
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