Duribanchi / Il tempo fermato dall'obiettivo
Giovedì 12 Gennaio 2023
Privo di incertezze e di rughe, ecco il tratto di Vincent Peters. Bellezze che hanno segnato il collettivo immaginario. La ritrattistica simile ai romantic movies quando la California ospitava la Mecca del cinema.
Andrea Bosco
Bianco e nero in analogico. Scatti d'autore dell'artista tedesco Vincent Peters. Contrasti tra conscio e subconbscio. Immersione in fotografie barocche e patinate. Hollywood anni Sessanta, attualizzata in una riflessione interiore. Peters suggestionato dalla passione del padre per il cinema americano dei “divi” e quello d'autore della nouvelle vague francese. Gavetta a New York, immersione nelle griffes dell'alta moda: Yves Saint Laurent e Dior, Luis Vuitton e Lancome. Fotografo intrigante che concede al “suo” pubblico, senza dimenticare la genesi della propria formazione.
La mostra di Palazzo Reale a Milano (ingresso gratuito) organizzata da Nobile Agency, curata da Alessia Glaviano di PhotoVogue e fortemente voluta dall'assessore alla Cultura del Comune, Tommaso Sacchi, e dallo storico direttore del Palazzo, Domenico Piraina, è intrigante contraltare, nell'uso della luce e del bianco e nero, alla attigua rassegna dedicata al maestro Richard Avedon. C'è delicatezza nel lavoro di Peters: un lirismo psicoanalitico che richiama alla poesia per immagini di Roiter.
La fotografia di Peters, pur sviluppandosi autonomamente, ha ben presente i modelli ispiratrici. Davanti ad una splendente Charlize Theron ti chiedi: “Dove ho già visto questa postura?”. Per arrivarci devi interiorizzare espressioni e forme: il subconscio che si avvicina al conscio. E allora, senza scomodare Carl Gustav Jung, arrivi a conclusioni simili alle sue: esiste oltre all'inconscio individuale, un inconscio collettivo che si esprime negli archetipi. Charlize l'hai già vista: solo più imbronciata. Kim Novak in una sequenza di “Vertigo”. O magari sbagli, l'archetipo ti condiziona: quella potrebbe essere il “doppio” di Kim Basiger, una delle dive della rassegna di Peters.
La bellezza come distintivo: Cameron Diaz, Cindy Crawford, Emma Watson, Scarlett Johansson, Milla Jovovich, Penelope Cruz, Monica Bellucci. Nella mostra, che si snoda attraverso venti anni di attività, il tempo è stato fermato dall'obiettivo. Privo di incertezze e di rughe. Bellezze che hanno segnato il collettivo immaginario. La ritrattistica simile ai romantic movies quando la California ospitava la Mecca del cinema. Quando i finali erano, canonicamente, happy days.
E' una mostra rassicurante, quella di Peters, per la impeccabile perfezione. Per l'evidente complicità dell'autore con i suoi soggetti. Tra luce e assenza di luce. Standard elevato, valorizzato dall'indagine sullo stato d'animo. Peters attinge al cinema. Ma anche all'arte. L'immagine di una sua modella richiama la “Petite danseuse” di Degas che fece scandalo al suo apparire per quanto, antropologicamente, “diversa”. Un'altra porta nelle acque del porto di Copenhaghen: la “Sirenetta”, scultura bronzea realizzata da Edvard Erikasen nei primi anni del Novecento raffigurante la protagonista di una delle fiabe più celebri di Hans Christian Andersen.
Il talento di Peters è poliedrico. Concede alla moda senza farsi condizionare dal “pubblicitario”. Mostra per evadere dalle brutture della quotidianità. Per immergersi nella perfezione di un attimo e di un volto. Per evitare il fascino dell'orrore. Anche un cormorano morente, imprigionato nel petrolio su una spiaggia del Kuwait, può racchiudere la bellezza della denuncia.
Interrogativo: per uno così bravo, ad interiorizzare l'esteriorità. Cosa saprebbe offrirci, Peters, da inviato speciale in Iran? Molto, probabilmente.
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