- reset +

Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Per un riscatto a stelle-e-strisce

PDFPrintE-mail

Venerdì 8 Luglio 2022

lyles-eugene


Per la prima volta i Mondiali all’aperto sono negli USA, ospitati nel rifatto stadio di Eugene. Come hanno mostrato i Trials, sarà una grande occasione per ribadire una superiorità che potrebbe tradursi in una quindicina di medaglie.


Giorgio Cimbrico 

L’America produce molti atleti e poca atletica: il luogo olimpico è il Coliseum di Los Angeles che, più o meno ogni mezzo secolo – 1932, 1984, 2028 –, ospita i Giochi. New York ha uno stadietto di quartiere, poco più di un campo scuola, su una delle isole della baia. Il luogo dell’atletica americana – e dei Mondiali ormai molto vicini – è lo stadio (ora allargato) di Hayward Field, Eugene, Oregon, dove da diversi anni vanno in scena i campionati nazionali, validi o meno come selezioni, e i campionati NCAA, gli universitari, dall’impatto tecnico ed emotivo spesso formidabile, vera essenza di un movimento, lontano dalle quattro grandi leghe – basket, baseball, football, hockey – dello sport professionistico. 

In quasi quarant’anni di storia dei Campionati inventati da Primo Nebiolo, non era mai capitato che la sede fosse una città così piccola: Eugene ha 172.000 abitanti. Portland, la capitale dello stato, è anche il quartier generale della Nike che nella designazione di Eugene ha avuto la sua parte e il suo peso. 

E’ in questa enclave a nordovest, a nove fusi dal tempo medio dell’Europa centrale, che gli Stati Unti puntano a riscattare le magre figure di un anno fa a Tokyo, quando uno dopo l’altro persero quasi tutti i loro feudi: 100, 200, 400, 110H e 400H, lungo, 4x100. Il disastro venne appena attutito dalla vittoria, con record del mondo, di Sydney McLaughlin nei 400 ostacoli: la 23.enne del New Jersey, figlia d’arte, ha ancora allungato il tiro e alle selezioni di giugno ha chiuso in 51”41. Il talento più puro su cui oggi gli USA possano contare, insieme ad Athing Mu, New Jersey anche lei, sudanese per struttura e facilità di corsa. 

La stagione ha detto che gli americani possono puntare su un Grande Slam di 14, forse di 16 titoli, con la singolare possibilità di far piazza pulita nei lanci femminili, un tempo territorio di caccia di un’altra zona del mondo, sparita dalle graduatorie e dalla carta geografica. 

L’obiettivo a cui puntano gli americani è il ritorno a una presa di possesso delle distanze scandite da una lunga tradizione di supremazia. In questo senso la punta di lancia è Fred Kerley, texano di S. Antonio, ex-quattrocentista che, malgrado la stazza (1,91 per 93) si è scoperto sprinter: secondo a Tokyo in 9”84, a quattro centesimi da Marcell Jacobs, ha allungato il tiro ai Trials: 9”76 e 9”77 in un pomeriggio, un’accoppiata di un soffio inferiore al bang bang 9”74/9”78 di Asafa Powell nel 2007 a Rieti. Quanto è avanti al campione olimpico, reduce da una raffica di rinunce e, in un esercizio puramente virtuale, la base sono i picchi stagionali dei due, tre metri. Proibitivo, anche se Marcell materializzerà un miracolo? Non è il caso di esser pessimisti: nel 2015, a Pechino, Justin Gatlin si presentò con un margine ampio su Usain Bolt, ma a spuntarla, per un centesimo, 9”79 a 9”80, fu il Lampo che veniva da un periodo di scarsa salute muscolare. 

Esiste la chance che gli americani possano far bottino pieno nei 100, ma questa possibilità si dilata sui 200: gli ultimi metri della finale saranno quelli già proposti alla selezioni quando la terra ha tremato per la lotta furibonda tra Noah Lyles (lo sprinter con venti discese sotto i 20”) e Erriyon Knighton, il divin ragazzino che a meno di 18 anni e mezzo ha forzato di un centesimo la barriera dei 19”50. Kerley prenota il terzo posto. 

Riscatto, resurrezione, magari con qualche sorprendente intrusione: dopo infinite stagioni dominate dagli uomini dell’Africa Orientale, è singolare constatare che al vertice dei 10.000 sieda Grant Fisher, capace di conquistare un posto tra i primi dieci della storia. 

A Eugene sarà schierata tutta la famiglia Crouser, una bella selezione di omaccioni: non abitano lontano e vogliono finalmente applaudire Ryan, due volte olimpionico, da campione del mondo, corona sfuggita a Doha per un centimetro, nel più fantasmagorico finale nelle vicende di coloro che sparano lontano 16 libbre. A casa si sente anche Devon Allen che per Oregon University, i Ducks, ha giocato a football e corso sugli ostacoli. Ora ha cambiato pennuto – i Philadelphia Eagles – e non è mai andato così forte sulle barriere. E anche in questo caso ci troviamo di fronte a una concreta chance di tris: Grant Holloway, se non combinerà i soliti casini, e Trey Cunningham possono finire dietro Allen. O davanti. 

Altro obiettivo: tornare a vincere i 400, il “quarto”, come lo chiamano loro, stradominato in questi anni da uno sfortunato sudafricano, Wayde van Niekerk (il 44”58 di Atlanta lo fa sperare) e dai caribici Steven Gardiner e Kirani James. Michael Norman (il Tiger Woods dell’atletica: papà afro-americano, mamma giapponese), vanta credenziali cronometriche eccezionali ma nei faccia a faccia importanti non ha mai impressionato. Grande curiosità per Champion Allison, da 44”29 a 43”70, ennesimo prodotto del fertile Alabama. 

Lodevole, sino al commovente, che i selezionatori abbiamo concesso un posto a Allyson Felix che, a 36 anni e mezzo e giunta alla stagione dell’addio, ha concrete possibilità di conquistare con la 4x400 la ventesima medaglia in un’avventura mondiale iniziata quasi vent’anni or sono a Stoccarda. La collezione della combattiva mamma di Camryn, nata nel novembre del 1985, comprende anche 11 medaglie olimpiche, sette d’oro. A Eugene il più lieto dei good bye

 

Nella foto, la finale dei 200 ai Trials: Noah Lyles (19”67) davanti a Erriyon Knigton (19”69) e Fred Kerley (19”83).

 

Cerca