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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Bordo campo / Sull'attenti per il "Dottor Divago"

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Martedì 7 Giugno 2022

 

clerici


(gfc) Si deve concordare con Rino Tommasi quando, di Clerici, diceva: “mio migliore amico e mio compagno di viaggio, intelligente e distratto in egual misura, ricorda più facilmente la data del primo quadro dedicato al tennis che il risultato di un incontro appena visto. […] Può accadere che Gianni dimentichi di dire quel che è successo ma vi dirà sempre perché”. Di quanto – e tanto – si è scritto nel frangente della sua morte – e di quanto ho letto – e tanto , il bozzetto più centrato m’è parso questo che vi proponiamo e che il “Beck”, cortesia d’altre stagioni, ha accettato di condividere con la Confraternita. Gliene siamo grati, augurandoci che non sia l’ultima volta.

Roberto Beccantini

Sull’attenti, è il minimo. Con Gianni Clerici la letteratura e il giornalismo perdono un fuoriclasse assoluto. Come Gianni Brera, come Gianni Mura. Aveva 91 anni. Unico italiano con Nicola Pietrangeli, tanto per rendere l’idea, a essere stato inserito nella International Tennis Hall of Fame. I «gesti bianchi», frequentati da giocatore e illustrati da scriba, resteranno di sicuro nella mia piccola cronaca, ma sono convinto anche nelle storie di molti di voi.

Era unico. Per stile e competenza. Diranno (gli orecchianti): le solite frasi fatte. «Fatte» un cavolo. La carta, la televisione.  Clerici e Tommasi, Gianni e Rino, il «dottor Divago» (è di Rino) e il professor cronista. Per me, il «doppio» più grande. Coppia di «fatti»: e di parole, quando pesavano, se volevi e sapevi, e non solo contavano (se fingevi di sapere).

Anche ciclismo e sci. Cominciò in «Gazzetta», diventò pulpito riverito al «Giorno» e poi a «Repubblica». Per Truman Capote «non si può insegnare a scrivere. Si può imparare a scrivere solo scrivendo - e leggendo». Ecco: Gianni usava la penna come la racchetta e dagli spensierati e dotti «scambi» nascevano pezzi bellissimi, battute esilaranti. La pagina come la tela del pittore, lo schermo televisivo come il marmo dello scultore.

La sua classe. I suoi neologismi (da «bimane» a «sorellicidio» a «gattone» Mecir). La sua biblioteca. E i libri: di tennis e non solo. E i romanzi. E le poesie. Quel ramo del lago di Como sempre nel cuore. I ragazzi di oggi (e di domani) non sanno cosa si sono persi: e chi, soprattutto. Ancora un po’ e rischio l’apologia di beato. Gianni non ne ha bisogno: da me, poi. Ci ha accompagnato senza far pesare la sua scienza, nascosta dietro il sorriso del talento. A sfogliarlo o ad ascoltarlo s’imparava sempre qualcosa. E se dopo una chiacchierata ti regalava un sorriso, evviva: non lo avevi annoiato. Forse. 


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