Italian Graffiti / "Bubi" Dennerlein, un uomo senza eredita'
Domenica 5 Giugno 2022
“E’ stato programmatore e ministro degli esteri, forza d’urto e organizzatore, trascinatore di squadra e uomo di parte. Ha dato la sua impronta a trent’anni di nuoto, ha fatto fare un salto di qualità e di mentalità e di allenamenti”.
Gianfranco Colasante
Siamo nel lontano 1952, Giochi di Helsinki, e il nuoto italiano si lacera nelle polemiche senza riuscire ad emergere dalla mediocrità che lo avvoltola da decenni. Costantino Dennerlein, detto “Bubi”, in Finlandia ce l’hanno mandato come riserva di una 4x200 che ha poche ambizioni e che la finale la vedrà dalle tribune. Ma per “Bubi” quel lungo viaggio – i finestrini del treno piombati con lastre di acciaio nei pressi del confine sovietico – rappresenterà la svolta della vita. “Rimane folgorato vedendo gli allenamenti degli altri”, in specie americani e giapponesi che in allenamento arrivano a nuotare fino a dieci chilometri. Impensabile dalle nostre parti.
“In quei giorni – ha scritto Aronne Anghileri – pone le basi per i successi che lo attendono in futuro e scava un solco tecnico che durerà per sempre, fra se stesso e il maestro Berto Usmiani il quale, fra l’altro, non apprezza le origini israelite della famiglia Dennerlein”. Non ha ancora vent’anni, Costantino – era nato a Portici il 28 dicembre del 1932 da padre tedesco e madre romena, coppia che aveva messo radici a Napoli – e, imparato a nuotare a mare, affinatosi al collegio Filippin di Paderno del Grappa, s’era imposto nell’effervescente vivaio della Canottieri, scegliendo per predisposizione le nuotate artistiche. Fino a dominare la scena nazionale della farfalla con tre titoli tricolori consecutivi nel triennio 1956-58.
Questo per gli inizi, non sempre facili, tanto nel 1953 sceglierà di optare per la cittadinanza tedesca (senza che in Federazione ne sappiano nulla), tornando al passaporto italiano solo tre anni più tardi. Intanto ha cominciato ad allenare, ma sperando sempre di poter gareggiare a Roma ’60. Non sarà possibile, ma nella piscina scoperta del Foro Italico la famiglia sarà rappresentata da Federico, detto “Fritz”, il fratello di quattro anni più piccolo e destinato a morte prematura in un incidente stradale nel 1992, trent’anni fa. Federico, stileliberista per vocazione e staffettista per obbligo, ma che – pur oscillando tra nuoto e pallanuoto – il fratello maggiore convertirà alla farfalla approfittando dell’evoluzione tecnica del delfino avvenuta nel ’57.
Il quarto posto di “Fritz” a Roma, primo tra gli europei, ma soprattutto i cinque primati continentali stabiliti tra il luglio 1959 e l’agosto ’62, rappresentano la laurea da allenatore per “Bubi” e il lasciapassare per “Fritz” che lo porterà fino alla guida del “Settebello” dopo il deludente Mondiale romano del 1983.
Nei trent’anni rimasti al vertice tecnico del nuoto azzurro, “Bubi” – “scontroso e inflessibile trascinatore” – ha lasciato una impronta indelebile: forza d’urto e carattere non semplice, il suo. Torniamo ancora ad Anghileri, il maggior esperto di questa disciplina: “Gli atleti da lui diretti l’hanno in gran parte stimato, hanno avuto fiducia in lui, assai raramente l’hanno amato. Ma lui ha continuato imperterrito per la sua strada”, a seminare ed affinare all’interno della Federazione, malgrado i continui capovolgimenti politici.
Il suo capolavoro resta Novella Calligaris, la testarda ragazzina padovana che nell’arco di cinque giorni seppe vincere tre medaglie olimpiche ai Giochi di Monaco ’72 e laurearsi campionessa mondiale degli 800 l’anno seguente. E poi, come dimenticare quel Marcello Guarducci portato nella velocità ai vertici europei e che solo il diktat del governo Craxi tenne lontano dagli allori olimpici di Mosca ’80.
Il maggiore dei Dennerlein – come capita spesso ai grandi – venne fatto fuori da una bassa manovra di palazzo orchestrata dall’allora presidente della FIN, l’appena eletto Bartolo Console, al rientro dagli Europei di Strasburgo ‘87. “Per le squadre nazionali di nuoto, la responsabilità e il coordinamento del settore sono stati affidati al consigliere federale Fabio Frandi”, fu il gelido epitaffio del comunicato federale, Neppure il beneplacito della citazione, in puro stile fascista. Un finale amaro, da basso impero.
Si chiudeva una lunga parentesi di vita e di lavoro, articolata in sette presenze olimpiche. In quei mesi che precedevano Seoul, a “Bubi” venne offerto un contratto da D.T. alla Canottieri Aniene, in uno con l’allontanamento di Franco Macioce, l’allenatore di Minervini. Un avvicendamento che portò ad una sollevazione da parte degli atleti in giallo-blu, mentre la FIN si affrettò a recidere ogni legame col maggiore dei Dennerlein (come poco prima aveva già fatto – sempre Consolo docet – con il minore, fatto alzare a forza dalla panchina della pallanuoto).
Periodo amaro, per “Bubi” contrassegnato anche dall’uccisione della dottoressa Giulia Volpi, una funzionaria del CONI in carico alla Federazione Nuoto che in una sera romana – mentre si recava in visita a casa di amici – venne affrontata nell’androne da due balordi che, per sottrarle la pelliccia, l’accoltellarono a morte. “Era molto vicina a Bubi Dennerlein nel momento più difficile nella sua carriera nello sport”, scrive ancora Anghileri. Da parte mia, ricordo ancora la presenza discreta di “Bubi” in fondo alla navata della chiesetta di via Flaminia.
“Bubi” Dennerlein, forse il più grande allenatore del nuoto italiano, si è spento a quasi novant’anni nella sua casa romana alla Balduina. Come chiudere? Con l’imbarazzante ricordo che nell’occasione ne ha fatto la FIN: “Ciao Bubi, salutaci Fritz e continua a vincere”, si legge a chiusura del breve e freddo comunicato. Si poteva fare di peggio, caro Barelli?
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