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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Italian Graffiti / Si stava meglio quando stavamo peggio

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Mercoledì 1° Giugno 2022

 

generica 2 

In un’atletica sempre più alimentata dallo Stato – contributi e arruolamenti nei corpi in divisa – si verifica che mentre aumenta il numero dei tesserati, rispetto a mezzo secolo fa si riduce il numero dei Senior, degli Junior e degli Allievi.

Gianfranco Colasante

Diciamolo subito, che la federazione d’atletica attraversi uno dei periodi meno felici, o di minore popolarità, pare acclarato. Gli ultimi accadimenti – la fantozziana vicenda degli Europei ’24, ma anche le bizzarre novità come l’introduzione del Challenge, neanche fossimo la NCAA – stanno lì impietosamente a ricordarlo. Certo, gli atleti ci sono e qualche risultato degno (non molti per la verità) comincia ad arrivare. Ma si ha l’impressione che tutto questo avvenga non tanto in sintonia con via Flaminia, quanto “malgrado”.

Che poi a cassetta della diligenza e armato di frusta sieda Stefano Mei – il quale se la prende molto se si critica qualche sua mossa, prendendola come un basso attacco personale (“imbarazzante” ha bollato il mio Graffiti su di lui: lapidario) –, personalmente lo ritengo un accidente nato con la complicità di molti padri. A cominciare dalle avventate candidature alla presidenza per finire con un consiglio federale perennemente immusonito. Che dispongano poi tutti, i consiglieri, delle capacità rispondenti al ruolo, è valutazione che lascio volentieri a chi li ha eletti. Perché il vero rischio, oggi, è che siano in molti a prendersi troppo sul serio.

Ma ciò detto – considerato che, come dice il presidente Mei, con lui è “cominciata l’età dell’oro” – parto proprio dall’oro, dal bilancio federale. Che, come riporta il sito federale, per il 2022 ammonta a 24 milioni e 843.176 euro. Sufficienti o meno per le ambizioni di una federazione che in bacheca può esibire cinque medaglie d’oro olimpiche – attribuibili peraltro alla gestione passata –, potrebbe anche essere opinabile. Ma tant’è, visto che in Europa non ci sono molte altre federazioni a passarsela meglio.

TUTTI NELLO STATO – Più interessante, restando ancorati ai dati, notare che il 55% di quei fondi federali sono pubblici, derivanti dai contributi di S&S e dei suoi algoritmi. C’è chi sostiene che proprio le cinque medaglie avrebbero potuto favorire una maggiore raccolta esterna (sponsor e promozioni di qualità). Anche in un Paese in recessione come il nostro, non sarebbe stata impresa proibitiva. Ma forse occorreva più lungimiranza e un piano di sviluppo meno ancorato ai sostegni dello Stato. Che ormai si estendono all’intero gruppo “atleti di vertice”, che l’arruolamento in massa nei gruppi sportivi militari e civili ha trasformato in “dipendenti pubblici”. Tanto che qualcuno potrebbe chiedersi che ci faccia in Polizia – calma, solo a mo’ d’esempio – gente come Jacobs o Tamberi, sicuramente in grado di gestire in totale autonomia impegni e prebende. Ma questa è un’altra storia e rischia di portarci lontano.

Ma non sempre lo sport italiano ha vissuto come ricca propaggine dello Stato. Così, solo per curiosità, sono andato a leggermi il bilancio federale di un secolo fa, quello consuntivo del 1921 e preventivo del 1922. Certo, eravamo ai tempi di Checco e Nina – come si dice a Roma –, ma qualche indicazione, non solo d’ambiente, la si può egualmente trarre. Non fosse altro che per rispetto a chi ha messo in piedi tutto questo “a mollichelle” (altro detto romanesco). A quel tempo la federazione – che si chiamava ancora FISA, acronimo per Federazione degli Sports Atletici – aveva sede a Milano, al n. 9 di Piazza San Sepolcro, nei presi del Duomo e proprio dove c’era il “covo” delle camicie nere mussoliniane che proprio quell’anno – a fine ottobre – avrebbero marciato su Roma per prendere il potere (anche se poi Mussolini nella Capitale ci arrivò in vagone-letto).

Sistemata la digressione storica, si legge in quel bilancio – firmato dal presidente dell’epoca, l’avvocato Edgardo Longoni (tra i nostri maggiori giornalisti: nel 1907 ardito cronista della Pechino-Parigi, nell’anteguerra gestore della Gazzetta dello Sport e del Littoriale, nel 1945 fondatore dell’ANSA) –, che il solo contributo pubblico erano le 1000 lire del ministero dell’istruzione che in un bilancio di circa 30.000 (esattamente 29.451,19) non apparivano proprio determinanti. Inutile tentare un parallelo. Sarà che tra i suoi bene la federazione – fondata nel 1906 – di suo possedeva solo una scrivania, una libreria e … 20 sedie. A mandare avanti la segretaria c’erano due impiegati (mi si dice che oggi siano più di 130: stento a crederlo). Tra le uscite, le 500 lire da versare alla IAAF e le 150 per l’affiliazione al CONI, le 450 per l'affitto e le 6411 per la stampa del Bollettino settimanale. Un secolo fa ... 

MEGLIO NEL 1971 – Questo per la storia, ma c’è stato un altro dato che mi ha colpito. Quello relativo al tesseramento. Sempre sul sito federale si legge che le tessere staccate per l’anno 2021 siano state 228.093. Non so se questo è un parametro per dare la carica agli algoritmi di S&S, ma ne ho il fondato sospetto. Allora, guardando più nel dettaglio, risulta che la fetta maggiore – 82.117 tesserati – sia formata dai Master, con un’incidenza monstre del 36% sul totale. Nulla da eccepire se anziani signori che intendano opporsi all’avanzare del tempo, scelgano di correre o saltare. Semmai, visto che la FIDAL è – o dovrebbe essere – la federazione tecnica per eccellenza, il comparto che più interesserebbe è quello proiettato verso l’agonismo e l’alta prestazione, come dire l’insieme dei Senior, Junior e Allievi.

E qui arriva una sorpresa, anzi due: tutte assieme queste tre categorie non raggiungono il 12% del totale, contandosi soltanto 27.149 tesserati: il che equivale esattamente all’11,9% del totale federale. E giacché siamo in tema di raffronti, sono andato a confrontare questi numeri con gli analoghi tesserati del 1971, come dire cinquanta anni fa, all’inizio dell’era Nebiolo, quando il totale era fermo a 73.902 tessere. Seconda sorpresa: mezzo secolo addietro il comparto Senior, Junior e Allievi era superiore ad oggi contando 28.497 tesserati. Come si evidenzia nel confronto tra le categorie S/J/A e le percentuali sui totali dei tesserati:

 

     Uomini

    Donne

    Totali

       %

 

1971

    20.732

     7.765

    28.497

    38,6%

 

2021

    16.965

   10.184

    27.149

    11,9%

 

 




Ne deriva che la distribuzione dei tesserati era molto più equilibrata nel lontano 1971, con il 38,6% di “agonisti” (S/J/A) e il restante 61,4% formato dal Settore Propaganda, con 28.365 ragazzi di 14/15 anni e 17.040 ragazze di 13/14 anni. Nei decenni successivi molto è cambiato, si è ritenuto che il “sociale” fosse una frontiera da colonizzare (anche perché, come le corse su strada, creava ghiotte e facili risorse), le categorie di sono divise e moltiplicare, non sempre a vantaggio della qualità tecnica (anche la IAAF ci ha messo del suo, pur tenendosi sempre ancorata all’agonismo), ma un dato è certo: oggi ci sono meno “agonisti” che mezzo secolo fa.

Anche se poi ti capita di vincere cinque medaglie d’oro ai Giochi Olimpici e non te lo spieghi o non riesci a farle “fruttare”. Ma è anche vero, e lo ricordano in pochi, che negli anni Sessanta – quando il centro dell’universo atletico era saldamente in Europa – avevamo cinque primatisti mondiali eppure non eravamo certo al vertice.
   

 

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