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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
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Duribanchi / "Sogni mostruosamente proibiti"

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Martedì 31 Maggio 2022

 

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“Il mondo occidentale è un mondo viziato che non sa, soprattutto non vuole, soffrire. Un mondo dove il concetto di libertà ha tumulato il concetto di dovere. Non si lavora più: meglio farsi mantenere dallo Stato.”

Andrea Bosco

Un verme sociopatico con parrucca, finto portatore di handicap, ha lanciato una torta contro il vetro che protegge la “Gioconda” al Louvre a Parigi: azione dimostrativa per sensibilizzare il mondo sulla “salvezza del pianeta”. L'individuo è stato allontanato dal museo. Se conosco la giustizia francese se la caverà con una multa o forse con qualche settimana di servizi sociali. Invece un soggetto del genere che attenta alla Bellezza, all'opera d'arte più celebre della storia dell'uomo, invece di essere garbatamente allontanato dalla sicurezza del museo, doveva essere preso a calci in culo. I vermi sociopatici lucrano i loro “cinque minuti di celebrità” non per salvare il “pianeta” ma per irrorare il proprio ego di adrenalina. E sono pericolosi.

Perché risultando di fatto impuniti stimolano la “libido” degli emulatori. Uno che lancia una torta contro Monna Lisa non ha “motivazioni”. E' un verme in cerca di pubblicità e visibilità. In questo caso un essere ancora più schifoso: fingersi portatore di handicap per portare a termine la “bravata” è stato uno schiaffo a quanti affrontano – costretti dalla propria disabilità – mille quotidiane problematiche. Non punire severamente questa persona sarà uno sfregio nei confronti dei tanti disabili che la società a mala pena tollera. Come ben sanno, quanti a Milano come a Roma in istato di sofferenza motoria hanno necessità di prendere la Metro o di accedere ad un pubblico ufficio. Nessuna comprensione verso il lanciatore di torta. Cercare di sfregiare un'opera di Leonardo da Vinci, tra l'altro, dovrebbe essere considerato un crimine contro l'umanità.

RUSSIA UNITA – “Matteo Salvini è il capo di un partito alleato a Russia Unita, il partito del presidente Putin”. Parole di Sergei Markov al Corriere della Sera. Markov è un politologo che dirige l'istituto di Ricerche politiche di Mosca, ex deputato alla Duma e consigliere politico di Putin dal 2011 al 2019. Ha spiegato Markov che Kirill, inteso come patriarca di Mosca (per chi riesce a vederlo in quella veste), si opporrebbe fermamente al viaggio del Papa al Cremlino “perché Bergoglio gli ha riservato giudizi negativi, mentre uno stato terroristico (l'Ucraina, NdR) ha conquistato metà del suo (di Kirill, NdR) gregge.” Secondo Markov chi appoggia Kiev non può essere considerato “un buon cristiano”.

Ma sempre secondo Markov se mai Salvini dovesse recarsi in Russia certamente avrebbe un colloquio con lo speaker della Duma, forse con Sergey Lavrov (il ministro che ipotizza la guerra atomica, NdR), remotamente anche con Putin. Andrà in Russia, Salvini? L'uomo che andò sulla Piazza Rossa indossando la felpa che evidenziava il faccione dello zar è capace di tutto. Anche di andare da Putin, scalzo in sandali e con un rosario in una mano. E nell'altra, chissà, la colomba della pace disegnata da Picasso. La cosa certa è che Salvini (come peraltro Berlusconi e Conte) non ha mai bollato Putin come aggressore. Salvini invoca la pace. Sogna di essere “mediatore” tra Russia e Ucraina.

Sogni “mostruosamente proibiti”. In effetti c'è qualche cosa di fantozziano nel comportamento di Salvini. Che nel 2019 i sondaggi davano ben oltre il 30% e che adesso (fonte Nando Pagnoncelli) veleggia di poco sopra al 15%. Non è più la Lega il primo partito della coalizione di centrodestra: è Giorgia Meloni (sempre Pagnoncelli la fonte) con il 21%. In un testa a testa con il Pd. Diciamo che qualche cosa il “capitano” deve aver sbagliato. C'è chi sostiene (l'idea del “gomblotto” affascina) che il filo-putinismo di Salvini in realtà rappresenti un “messaggio” al leader di Mosca. C'è gente persuasa che Salvini (al pari di Berlusconi e di Conte) debba “qualche cosa” a Putin. Siamo nel cerchio della fantapolitica.

Ma una indagine della magistratura sul perché il governo italiano abbia acquistato un “sistema di sicurezza made in Russia” per proteggere i siti della Pubblica Amministrazione andrebbe fatto. Perché gli hacker che attaccano i server (pare anche quelli del Viminale) rubando dati sensibili sono russi. Un caso? Forse. Una magistratura che non fosse presa dalla propria sopravvivenza, incartata sulla riforma Cartabia e sui referendum (per i quali pare, comunque, difficilmente sarà raggiunto il quorum), indagherebbe. E dipanerebbe meglio di quanto non abbia finora fatto quelle vicende sanitarie relative alla (inutile e probabilmente spionistica) missione russa a Bergamo (costata allo Stato italiano oltre 3 milioni di euro), e alle mascherine truffa (Arcuri, chi era costui?) costate altri tre milioni di euro. Ma nessuno ne chiede conto. Giuseppi alle prese con un Movimento in frantumi galleggia disperatamente cercando di non affondare. Pare voglia, il 21 di giugno, “affondare” il governo per restare aggrappato alla Zattera della Medusa grillina.

I berluscones indignati per la condanna chiesta per il Cav a Milano nell'ambito del “Ruby ter” (Bunga Bunga e dintorni) tra un invito a ritrovare lo “spirito” di Pratica di Mare si sono inventati persino questa: il pacifismo del fare. Che è una invenzione, va detto, geniale. Seconda solo a quella di denominare un partito Forza Italia, strozzando in gola ai tifosi un centenario incitamento. Conosco marxisti doc (alla Erri De Luca, per capirci) che da quando il Cav scese (con calza e luci patinate) “in campo”, hanno smesso di tifare la Nazionale.

UMILIAZIONI – Verso il centesimo giorno di guerra senza che l'Occidente non si persuada che la guerra è cosa orrenda. Che la pace è da ricercare a tutti i costi. Ma che una guerra a metà è più dannosa di una guerra vera. Non bisogna “umiliare Putin” dicono i pacifisti. Peccato che finora sia stato Putin ad “umiliare” il mondo. Ad umiliare la decenza. Ad umiliare la vita. Ad umiliare la idea stessa di civiltà. Hanno ucciso, hanno seviziato, hanno bombardato, hanno massacrato, hanno deportato, hanno stuprato, hanno maltrattato, hanno rubato, hanno denigrato, hanno mentito: questo hanno fatto i russi in Ucraina. Riconosciuti criminali di guerra. Eppure è con loro che – dicono – bisognerà fare la “pace”. La “voce di Putin”, un sicofante televisivo del macellaio moscovita, ha spiegato che “presto toccherà alla Gran Bretagna e che il loro missile ipersonico è pronto a distruggere Stonhenge”. Cosa che ampiamente dimostra la demenza incurabile dei lacchè di Putin.

Il mondo occidentale è un mondo viziato che non sa, soprattutto non vuole, soffrire. Un mondo dove il concetto di libertà ha tumulato il concetto di dovere. Non si lavora più: meglio farsi mantenere dallo Stato. Quanti lavori in Italia non si fanno più perché “umilianti”? Perché usuranti? Perché poco remunerativi? Ogni giorno aziende di tutti i tipi denunciano di non trovare personale. Di non trovare competenze. La scuola italiana è una fabbrica di disoccupati ignoranti. Gestita da ignoranti. Ai concorsi per diventare magistrato, il 35% non era in grado di scrivere un “tema” in italiano decente. Non dico con i corretti congiuntivi (il più clamoroso sterminatore di congiuntivi della televisione italiana è un giornalista diventato celebre oltre che per la postura a novanta gradi anche per l'odissea lessicale che ne ha contraddistinto la carriera) ma almeno senza scrivere nella lingua dei borgatari coatti.

Vengo da una generazione che prima della prosperità ha conosciuto la miseria, senza che mai fosse perduto il decoro. A casa mia, in una Venezia che non esiste più, la cucina era il centro della casa. Ci si riscaldava con una grande stufa di ghisa che mangiava legna. E con due stufe di terracotta nelle stanze. La mia non ne ce l’aveva. Ero un bambino che andava a letto con i calzettoni. Si mangiava carne (bollito) solo alla domenica. Il pesce era povero: cefali soprattutto, da arrostire. La pasta veniva “tirata” in casa. Sempre alla domenica mio papà arrivava con un vassoio di pastine. La prima tavoletta di cioccolato l'ho mangiata che avevo 10 anni. Veniva l'uomo del ghiaccio una volta alla settimana a portare le lastre per la ghiacciaia. Non c'erano frigo, aspirapolvere, tostapane, televisione. Alla sera la mia famiglia ascoltava la radio: un catafalco che ancora possiedo. I miei vestiti (fino alla prima media) erano quelli usati e rivoltati, ricavati dalle mie zie (sarte) da quelli di mio papà.

D'estate andavamo alla spiaggia comunale (e mangiavamo in capanna) e per due settimane a Fusine di Zoldo Alto dopo un interminabile viaggio in treno e corriera, ospiti di una sorella di mia mamma che aveva sposato un dirigente dell'Alfa Romeo e che dai suoi genitori aveva ereditato un casa in quella valle. Ho fatto il mio primo viaggio a 15 anni: Venezia-Lignano Pineta. La nostra “fortuna” era girata. E con la fortuna era arrivato il benessere. Ho imparato a giocare a calcio al campiello, prima di finire in una vera società. Ho tirato a canestro alla Misericordia in prima media. Perché nella Basilica Sconsacrata la mia scuola, il “Marco Foscarini”, esercitava una volta alla settimana l'ora di educazione fisica.

SAGGEZZA – Ho scritto per far capire che quelli della mia generazione, le cui famiglie non navigavano nel lusso, hanno patito non dico la fame (come era accaduto a tanti in tempo di guerra), ma forti disagi e privazioni. La capacità di soffrire ti tempra. A me è servito: nello sport (pur nella modestia del mio praticare), come nella vita. Ha scritto Eschilo che “la saggezza si conquista attraverso la sofferenza”. Lo ha scritto in “Agamennone” in una lingua, il greco antico, che oggi non usa più. Rammento che al liceo, traducendo questo passo, pensai: “Se per diventare saggio devo anche soffrire, meglio evitare”. Non sono diventato saggio (c'è gente che proprio non riesce a diventarlo) ma la sofferenza, in diverse successive fasi, mi ha aiutato a capire. E – senza esagerare – a capirmi. Sono consapevole di essere ormai quasi una “foglia rinsecchita”. E non voglio sentirmi come la “gente” di De Andrè che “dà buoni consigli”. Anche perché, certamente, non posso “più dare il cattivo esempio”. Voglio solo far capire che si può sopravvivere anche con un futuro incerto.

Quando ero ragazzo mi chiedevo perché non possedessimo un'auto o una barca a vela. Perché vivessimo in una casa (al settimo piano) senza ascensore. Perché anche io non potessi indossare per giocare a basket scarpe americane. Eravamo poveri. Vivevamo con dignità: senza lussi e senza sprechi. Lavoravano tutti: mio padre, mia mamma, le mie due zie. Vivevamo tutti assieme (con la mia nonna materna) in una casa stamberga vicino a Campo San Boldo. Ho insegnato per qualche anno alla Cattolica di Milano. Questa storia, in parte, la raccontai ai miei studenti. Mi chiedevano, si informavano e avevano difficoltà a credere che si potesse vivere in quel modo. Era normale, allora. La ricchezza era di pochissimi. Il benessere di pochi. Eppure siamo tutti sopravvissuti.

Per quanto mi riguarda nel segno di un sogno coltivato fin dal ginnasio: fare il giornalista. Ci sono riuscito. Secondo qualcuno anche con un certo successo. Ma non è stato facile. “In piedi, alzati” mi urlava il mio primo allenatore quando qualcuno mi piantava i tacchetti sulle caviglie. E' stato possibile per me, come per tantissimi altri. Quindi, no: non li capisco i giovani che non lavorano e neppure lo cercano un lavoro. Io quando sono stato licenziato “per esubero di personale”, solo in una grande città che non conoscevo e dove non avevo amici, ho covato per lunghi tredici mesi una rabbia infinita. Avevo un posto sicuro e l'avevo perduto. Ho tirato la cinghia. Ho fatto il free-lance. Ma è stata la mia fortuna. Dallo sport, settore per il quale lavoravo, per campare e mangiare ho imparato ad occuparmi di tutto. La sofferenza mi ha fatto diventare non dico “migliore”, ma certamente un'altra persona. Sapete chi è Flavio Patriarca? L'ho scoperto dal giornale. Un giovane di 25 anni che dal carcere minorile è arrivato a laurearsi con 110 in Legge proprio alla Cattolica di Milano. Presenti alla sua festa c'erano l'assistente sociale e i giudici. Si può: tutto si può, se hai fede in te stesso. Bella storia in un mondo che sembra andare alla deriva.

E PER FINIRE … – Ma capisco sia difficile. Capire e spiegare è difficile. Anche se quella che segue è al confronto “robetta”. Roba da privilegiati. Ma come faccio a spiegare che alla Ferrari sono un branco di autolesionisti? Come faccio a spiegare che la FIA è una banda che fa regole che sistematicamente evita di far rispettare? Come faccio a spiegare che il calciomercato è una barzelletta: una fiera delle vanità quasi sempre priva di fondamento? Come faccio a spiegare che FIFA e UEFA sono una consorteria di satrapi senza vergogna che a Parigi per la 14ª Champion's del Real ha arrischiato di confezionare un'altra Heysel? Come faccio a spiegare che a Roma per la conquista di una Coppetta del Bisnonno stanno menando il torrone come avessero vinto il Mundial? Come faccio a spiegare che il Milan campione d'Italia non ha ancora rinnovato il contratto alla sua bandiera Paolo Maldini, uno degli artefici del successo milanista? Come faccio a spiegare che dopo la vittoria del Monza (bravo Galliani) per la prima volta nella storia in serie A, l'incredibile Silvio Berlusconi ha affermato: “Ora voglio lo scudetto e la Champion's”? E' vero che il Cav è il re delle barzellette (quasi tutte rapinate a Gino Bramieri) ma così è troppo: cribbio.

Spiegherò prossimamente come mai sia la Juventus che la Reyer (per non dire del Venezia), società che mi stanno a cuore, vadano così male. Le ragioni ci sono e sono tante. Intanto mi consolo con i Celtics. Come l'Orso Brontolone (senti chi parla, potrebbe dirmi), spero che Tatum e soci sovvertano il pronostico contro le triple di Curry e Thompson. Perché lo spero? Perché i “verdi” stanno facendo vedere un Hartford incredibile. Dato per “morto” tre anni fa, oggi vera anima di Boston. In fondo, magari ingaggiare Di Maria per la Juventus potrebbe rivelarsi una mossa vincente. Forse.

 

 

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