Italian Graffiti / Un ricordo del mio amico Elio (e del suo mondo)
Lunedì 2 Maggio 2022
Un convegno organizzato a Milano si propone di rievocare la figura e l’opera di Elio Trifari, inquadrandole in un ambito più ampio (e impegnativo) che intende coinvolgere due termini solo in apparenza in antitesi: Giornalismo e Cultura.
Gianfranco Colasante
Trovo nella posta del computer una comunicazione di Giuliana Cassani – persona mai incontrata, a differenza di suo padre Marco, maestro di basket e di atletica (i suoi “colonnini” su Atletica Leggera restano stimoli di giornalismo). In un post mi si annuncia un convegno che nei prossimi giorni ricorderà il mio amico Elio Trifari. Come non conosco la signora Giuliana, non conosco la gran parte dei giovani che animeranno l’incontro, fatta eccezione per due antichi compagni di viaggio, come Fausto Narducci e Claudio Gregori. Ma Elio l’ho conosciuto bene, molto bene, e posso dire di essergli stato amico e, per certi versi, complice, per più di mezzo secolo.
Un’amicizia che risale agli inizi degli anni Sessanta, quando Elio (un po’ più giovane di me) viveva a Napoli, e io ancora pencolavo incerto tra il mare di Pescara e l’università di Roma, favorita come fu dalla mediazione di Salvatore Massara. Allora, difficile spiegarlo a chi si muove oggi tra smartphone e tablet, a quel tempo i nostri contatti potevano alimentare la comune passione per l’atletica e i suoi dati solo attraverso la posta. Già il telefono poteva dirsi una conquista. In una cartelletta conservo ancora alcune delle lettere scritte a mano con le quali Elio mi segnalava i risultati delle riunioni napoletane, che io contraccambiavo con quelli dei campi romani (ho ancora a mente il suo indirizzo di casa, al n. 22 di via Ferdinando Galiani).
Ci incontrammo per la prima volta a Verona, era l’aprile del 1965, quando prese corpo l’effimera AISAL – l’associazione degli storici e degli statistici di atletica leggera –, che avevo ideata e costituita assieme a Luciano Barra. Elio era tra i 47 appassionati che si ritrovarono quel giorno ai Dodici Apostoli, proprio di faccia all’Arena: tra i presenti nomi importanti per quel tempo, come Alfredo Berra, Roberto Quercetani, Bruno Bonomelli, Dante Merlo. Fu una strana sensazione incontrarlo dopo esserci scambiati per alcuni anni decine di lettere senza mai averlo visto, ma ritenendo di conoscerlo da tempo. Come lo ricordo? Un po’ impacciato, timido all’apparenza, e nello stesso tempo a suo modo brusco e sbrigativo di modi.
Questo per gli inizi, il resto venne di conseguenza e si intensificò quando Elio si trasferì a Milano – seguendo l’onda del fecondo giornalismo napoletano ancora vivo a quell’epoca e che trovava plastica rappresentanza in Gino Palumbo –, approdando in Gazzetta (sulle cui colonne in quegli anni tenevo una piccola rubrica settimanale). Anche se ci si vedeva solo in rare occasioni, e perché le nostre strade non sempre coincidevano. Ma rimaneva sempre quella complicità – non mi viene altro termine – di quando da ragazzi o poco più ci sentivano adepti di una sorta di confraternita da iniziati.
Sarà il convegno, presumo, a stabilire i contorni di chi è stato Elio nei confronti del giornalismo “come cultura” e quali contributi abbia lasciato. Un tema un po’ impegnativo che deve necessariamente rivolgersi ad un passato più o meno recente. “Cultura” è infatti termine che si può declinare e intendere in cento modi diversi, non di rado opposti e contrari, ma che pare poco attagliarsi al presente. Ma se – per avventura – il termine si volesse intendere come capacità di studio e volontà di approfondimento, in quella cornice Elio ci sta tutto, e di diritto: indubbiamente egli è stato e resta uomo e professionista di grande ed avveduta “cultura sportiva”. Sta a testimoniarlo la sua enorme produzione giornalistica – quotidiana e periodica – nel campo dell’atletica, certo, ma soprattutto dell’olimpismo, un campo vasto e allora in gran parte ancora incolto, dove entrambi avevamo trasferito interessi primari e che, se posso permettermi, ci faceva ancora più complici. Anche se in quegli anni ci si vedeva poco, non era casuale ricevere una sua telefonata o una mail, immancabilmente priva di convenevoli, diretta, immediata: “che mi sai dire di Balzarini?”; oppure: “sai che fine ha fatto Pavesi?”.
Pochi sapevano che era laureato in ingegneria elettronica, ma si poteva anche intuirlo considerata quella razionalità che poneva nelle questioni anche più trascurabili. Elio non era uomo da prima linea, quasi mai presente alle grandi manifestazioni, proprio per quelle sue caratteristiche mentali era portato a presidiare la struttura organizzativa del giornale – salendo fino alla vice-direzione – nel solco profondo tracciato da quell’altro eccezionale “artigiano” del giornalismo di qualità che è stato Candido Cannavò. Un altro mondo, un mondo a parte, se riguardato oggi con gli occhi del nostro tempo, dove le capacità di analisi e di critica erano caratteri assoluti e distintivi, dai quali non si poteva prescindere, fondati com’erano su competenza primaria e onestà di giudizio.
“Era un capo che amava non far pesare il ruolo e che spesso lavorava nell’ombra, ma con risultati straordinari sotto il profilo della dedizione, del rispetto umano dei colleghi e della qualità professionale, che nel suo caso raggiungeva livelli altissimi”, ha scritto Flavio Vanetti sul Corriere della Sera. Tutto vero e condivisibile, come usa dire oggi.
Ma, aggiungerei, per certi versi è stato anche un innovatore, tra i primi a spingersi verso le nuove tecnologie. Quando – si era nella primavera del 1996 – organizzai all’Acqua Acetosa il primo convegno su Sport e Internet, un binomio che muoveva allora i primi incerti passi, volle esserci per portare il valore delle sue esperienze. Tecnologie che aveva sperimentato qualche anno prima quando aveva pubblicato presso l’editore Motta una enciclopedia (“Il grande libro delle Olimpiadi”) che affidava l’intera documentazione al supporto di quattro floppy e che si giovava di un lettore vocale. Una novità assoluta, un esempio insuperato.
Gli anni Novanta furono per Elio un periodo di grande produzione letteraria. Quando la Gazzetta riesumò la sua testata settimanale – che, tra cambi e resurrezioni, risaliva al mitico Sport Illustrato del 1913 – parve naturale che la direzione venisse affidata a lui. Così, il 28 ottobre del 1995 – prese vita il Magazine (lo ricorderà Gregori che scrisse la prima storia di copertina). Nel suo editoriale, Elio aveva scritto: “Sfogliate, dunque, questa rivista con lo spirito di un esploratore in un mondo che conoscete e amate, per scoprirne aspetti curiosi e spettacolari, segreti o nascosti, meravigliosi o stupefacenti: lo sport è anche gioia degli occhi, apprezzamento della bellezza, momenti da ricordare o da rivivere con un sguardo”.
Quel giornale – cui Elio aveva impresso il suo marchio multiforme – in seguito prese altre strade. Ma resta un esempio fedele del suo modo di intendere lo sport: guardare con occhi stupefatti al presente, ma senza mai dimenticare gli insegnamenti e (se posso permettermi) la “cultura” del passato.
Il mio amico ingegnere ha lasciato segni ben marcati nella pubblicistica olimpica. Ricordo per primo il titolo “Olimpiadi”, un’opera di rievocazione a dispense che andavano a formare tre volumi gonfi di storie e di personaggi, apparsa presso Rizzoli alla vigilia di Los Angeles ’84. E come dimenticare una decina d’anni più tardi quel gigantesco affresco previsto in 31 volumi che illustravano i “110 anni di gloria” della Gazzetta? Un lavoro certosino e profondo che non ha eguali nella produzione letteraria dello sport italiano, oggi sempre più affidato alla vacuità dell’immagine. Fu di conseguenza giocoforza, quando la Treccani mi affidò la direzione della Grande Enciclopedia dello Sport, ricorrere alle sue conoscenze per la sezione olimpica. Mi chiese qualche giorno di tempo, inondando di lì a poco la redazione di perfette e razionali rievocazioni: non per nulla – ricorro ancora a Vanetti – “aveva una facilità senza pari nella scrittura: in un attimo era capace di preparare un articolo di 70 righe impeccabile”.
Non so dire se Elio sia stato o meno un giornalista di “cultura” – come si propone di approfondire il convegno cui fa cenno la signora Cassani –, ma a mio modo di vedere in quel campo egli resta un maestro insuperato, mai appagato, sempre rigoroso, ma soprattutto un organizzatore senza pari, come stanno a testimoniare gli anni nei quali è rimasto alla guida della “Fondazione Cannavò”.
Come chiudere questa rievocazione? Con quanto Elio ha scritto nella postfazione dell’ultima sua opera (per la quale, in una prima ora aveva pensato di coinvolgere Gregori e il sottoscritto: volontà rimasta alle intenzioni). Una pagina che è quasi una rievocazione di vita. Parliamo della “Enciclopedia delle Olimpiadi” in due volumi, sottotitolo eloquente: “Da Olympia a Pechino: 3000 anni di storia”. In quella pagina conclusiva Elio scriveva: “Quest’opera nasce da lontano. Prende le mosse da chi [mi] sollecitò al lavoro di ricerca sportiva negli Anni Sessanta come Roberto L. Quercetani, Luigi Mengoni, Salvatore Massara. […] Successivamente, lo stimolo di grandi ricercatori internazionali come Erich Kamper e Bill Mallon, e in Italia di Gianfranco Colasante, ha contribuito ad alimentare un seme già gettato”. Pagina che si concludeva con un affettuoso quadretto familiare, un ringraziamento e una dedica per la moglie Luciana e la figlia Sara, per “la tolleranza e lo spirito di collaborazione totale”.
L’ingegner Elio Trifari, giornalista di “cultura” e storico dello sport, nato a Napoli il 17 marzo del 1945 ci ha lasciato il 18 giugno 2021. Con una grande eredità.
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