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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Dei conflitti e dei boicottaggi "sportivi"

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Venerdì 4 Marzo 2022

 

england 


Scenario molto schematico e parziale ma può fornire indicazioni su quel che è stato e su un mondo diverso e lontano da quello odierno, in cui l’influenza della comunicazione diretta e dell’apparire a tutti i costi brucia come una febbre.

Giorgio Cimbrico

Volontario offresi: non poteva essere che Tyson Fury, il gipsy king che il 23 aprile, a Wembley, combatterà “per l’Inghilterra e per San Giorgio” in difesa della sua porzione di corona dei pesi massimi e che esprime massima lode ai fratelli Klitschko, a Usyk, a Lomacenko, glorie pugilistiche d’Ucraina (nel caso dei maxi-fratelli, anche politiche) per la loro disponibilità all’arruolamento. “Sono pronto a firmare anch’io se l’Inghlterra verrà coinvolta”. Come diceva il Paron: “cio’, sperem de no”.

Chiusa la parentesi picaresca, sono assalito da una gran voglia di trasformarmi in uno storico liberal con cattedra in una di quelle università americane copiate di sana pianta dalle britanniche per provare a narrare il comportamento dello sport durante crisi politiche, guerre, invasioni, genocidi, o nell’ambito di regimi, sopraffazioni, minacce, etc.

Una buona immagine è datata 14 maggio 1938: la nazionale inglese di calcio gioca all’Olympiastadion di Berlino (quello dei Giochi non boicottati di due anni prima) contro la Germania: al momento dell’inno tedesco gli englander salutano con il braccio teso. Poco più di quattro mesi dopo, Neville Chamberlain permette ad Hitler di divorarsi la Cecoslovacchia. A questo punto sarebbe bene far intervenire Jorge Luis Borges che, tra le altre cose, ci ha lasciato una “Storia universale dell’infamia”, ma non è il caso di disturbare il cieco veggente, l’Omero di Buenos Aires. Meglio stare ai fatti.

Nessun boicottaggio venne minacciato, né tantomeno messo in atto, nei confronti degli Stati Uniti e dell’escalation che portò a indiscriminati e pesantissimi bombardamenti sul Vietnam del Nord e sulle aree tenute dai Vietcong: numero di vittime mai quantificato, qualcuno azzarda un paio di milioni. Al riguardo, consultare “Bagno di sangue” di Noah Chomsky.

In compenso, poco dopo la ritirata americana dal sudest asiatico, a esser colpiti furono i Giochi di Montreal ‘76: le frequentazioni rugbystiche della Nuova Zelanda con il Sudafrica, messo al bando dopo l’Olimpiade di Roma per il regime di apartheid, furono all’origine della protesta – e della rinuncia – dei paesi africani. In quello stesso periodo storico, per tutti i Sessanta e l’inizio dei Settanta, le condizioni di vita – e dei diritti civili – dei neri americani degli Stati del Sud non erano differenti da quelle degli abitanti delle township e dei cosiddetti stati indigeni o Bantustan inventati dal governo di Pretoria.

Nel ’78 gli orrori della Giunta militare argentina non ebbero alcun riflesso sullo svolgimento della Coppa del Mondo di calcio, così come, dieci anni prima, la strage di Piazza delle Tre Culture non aveva ritardato di un secondo né mutilato la partecipazione ai Giochi di Messico. L’invasione sovietica dell’Afghanistan dimezzò l’Olimpiade di Mosca, ma l’Occidente (Gran Bretagna, Italia, Australia) spezzò la compattezza auspicata dagli Stati Uniti affidandosi alla scelta dei comitati olimpici. Quanto all’84, l’idea di una vendetta del blocco socialista va di pari passo con l’ipotesi di una guerra commerciale tra la potente Adidas e la sorgente Nike. Le guerre del Golfo, il dramma dell’Irak (centinaia di migliaia di morti), l’occupazione dell’Afghanistan – questa volta a fin di bene … – non ha avuto effetti terremotanti nella dimensione sportiva.

E’ uno scenario molto schematico e parziale ma può fornire indicazioni su quel che è stato e su quel che non è stato e su un mondo diverso e lontano da quello odierno in cui l’influenza della comunicazione diretta (quanto attendibile non è noto), del desiderio di apparire a tutti i costi brucia come una febbre.

L’effetto domino che si è scatenato e propagato a tutti gli angoli dello sport, delle sue istituzioni, chiude tutte le uscite, anche quelle di sicurezza, allo sport russo già molto malconcio dopo anni di “doping sistemico”, appoggiato dallo stato, di menzogne, di corruzione che si è insinuata nel passato governo dell’atletica mondiale. Non è neanche più il Grande Satana del tempo della Guerra Fredda ma una nave semisommersa contro cui tutti fanno fuoco. Come si dice addio in russo?

Appendice musicale dopo il caso Valery Gergjev, licenziato da Monaco e “sollevato” dal podio della Scala per non aver preso posizione contro la guerra (o perché compare nello spot pubblicitario della Gazprom?): alla fine del secondo conflitto mondiale Richard Strauss e Wilhelm Furtwangler ebbero i loro guai, uno per aver presieduto la Kammermusik, l’altro per aver diretto davanti a un pubblico che comprendeva “alti papaveri”. Herbert von Karajan, doppia tessera di appartenenza al partito nazionalsocialista, non venne mai epurato.


 

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