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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Sempre grato saro' all'ambasciatore …

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Venerdì 25 Febbraio 2022


chernobyl

 
Una storiella tornata alla memoria mentre è in corso l’invasione dell’Ucraina orchestrata da Putin. E la memoria di un salvataggio insperato e provvidenziale che mi mise al riparo dalle ire del direttore e da un possibile licenziamento.

Giorgio Cimbrico

Molti anni fa mi mandarono a Kiev per Ucraina-Italia, qualificazione agli Europei di calcio. Era marzo, faceva freddo e all’arrivo, come gli altri, cambiai 100 dollari. In cambio, una montagnola di banconote grandi come quelle del Monopoli, diversi milioni: si chiamavano couponi e portavano le immagini di antichi eroi locali armati di spadone. Finimmo in un albergo dei vecchi tempi URSS pieno di penombre.

Quel buonanima di Gianni Mura voleva giocare a tresette, io non ero capace. Riparammo sulla cirulla o acchiappaquindici, un gioco semplice, in cui la fortuna è tutto. Bevemmo una bottiglia di Cabernet bulgato che da Gianni ricevette la sufficienza.

Quando chiamai il giornale per dire che ero arrivato (qualche anno prima in DDR per una partita di Coppa UEFA, poco dopo la caduta del Muro, venni dato per disperso e mi salvai dando una “bracciata” a tarda ora), mi dissero che il direttore voleva parlarmi: il direttore era Mario Scconcerti. “Senti, c’è la voce che un sarcofago dentro cui hanno seppellito uno dei reattori di Chernobyl si stia incrinando. Dovresti dare un’occhiata e scrivere un pezzo”.

Conoscendo Mario, risposi. “Sì”. Non era il caso di sottolineare che Chernobyl è a 130 chilometri a nord di Kiev, che era necessario un permesso molto speciale, e che a quel tempo, e magari anche adesso, non si respirava buona aria. Sì e basta.

Se dopo molto tempo, mi è venuta voglia di scrivere queste cose è perché poco fa al telegiornale hanno detto che l’ambasciata italiana a Kiev rimane aperta. Io con quell’ambasciata e con l’ambasciatore – non ricordo il nome e mi dispiace – ho un debito che non potrò mai ripagare.

Il nostro rappresentante diplomatico aveva invitato i giornalisti italiani a un aperitivo. Era un tipo cordiale –forse un leggero accento campano –, non prigioniero di formalismi, e così gli confidai il mio problema.

– “In realtà lei è fortunato perché proprio domani mattina, al ministero che hanno istituito dopo il disastro, è convocata una riunione”.
– “A che ora?”
– “Mi perdoni: lei parla russo? parla ucraino?”
– “No”
– “E allora è inutile che vada. Vado io e le riferisco. Queste riunioni le fanno piuttosto presto. Se alle nove e mezza mi chiama, le racconto cosa è uscito fuori”.

Andò proprio così. Mentre l’ambasciatore parlava (gli allarmi sembravano scongiurati), buttai giù frenetici appunti, non perdendo neanche una parola e utilizzando i miei più flautati toni per ringraziarlo. Mi misi all’opera, confrontandomi con un argomento di cui, a parte il proliferare di vermoni giganti, non sapevo nulla. Il prodotto che trasmisi al giornale mi sembrò dignitoso.

La mattina dopo ognuno di noi pensava di avere l’esclusiva dell’intervista con il ministro dello sport, Valeri Borzov. Al contrario ci ritrovammo tutti intruppati in una sala d’attesa per esser ricevuti, in gruppo turistico, dall’ultimo velocista bianco a far doppietta olimpica 100/200. Il risultato dell’incontro fu modesto e tutti faticammo a trovare un titolo. Più interessante la “visita” a Chernobyl.

Ovunque sia oggi, ancora grazie all’ambasciatore.

 

 

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