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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / In nome dello sport per lo sport

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Martedì 22 Febbraio 2022

 

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Quel che conta – almeno, una volta era così – è il gesto, la capacità di costruire una vittoria, magari anche di smarrirla. Lo sport come improvviso scoppio dell’anima, ispirazione, eredità familiare, storia sociale.


Giorgio Cimbrico

Marte Roseland, Johannes Boe, Francesco Friedrich, Johannes Strolz, Marius Lindvik, Aleksandr Bolshunov, Therese Johaug, Quentin Fillon Maillet: scommettiamo un penny che non li conosce nessuno? Qui in Italia, intendo. Eppure, tutti assieme, hanno conquistato una ventina di medaglie d’oro nel biathlon, nel bob, nello sci alpino, nel fondo, nel salto con gli sci. Sono stati i protagonisti dell’Olimpiade pechinese nelle specialità che dei Gochi rappresentano gli archi che li sorreggono, di volta dicono i tecnici.

All’elenco aggiungere Johannes Klaebo nome più famigliare perché ha avuto a che fare con Federico “Chicco” Pellegrino, sconfitto di misura dal norvegese.

Non è la prima volta, e non sarà l’ultima, che intraprendo la mia microscopica crociata in nome dello sport per lo sport, senza distinzione di bandiere, di volti, di appartenenza. Quel che conta – almeno, una volta era così – è il gesto, la capacità di costruire una vittoria, magari anche di smarrirla. Lo sport come improvviso dell’anima, ispirazione, cocciutaggine, eredità famigliare, storia sociale: sarò sempre debitore ad Armin Zoeggler del racconto di quelle gare di slittino sulle strade ghiacciate del suo borgo, alla luce della luna nuova.

Esistono storie non narrate, suggerite da un luogo di nascita. Pirna, ad esempio, da dove viene Francesco Friedrich, doppio “doppiettista” nel bob come Elaine Thompson lo è nei 100 e nei 200. Quel paese della Sassonia, sull’Elba, è nelle tele che Bernardo Bellotto, Canaletto come lo zio, dipinse per il Principe Elettore mentre stava sorgendo a Drssda l’ennesimo tentativo di città ideale e, lungo il fiume, la sua propaggine fortificata. Pirna, appunto.

Le catene del conformismo – e di una certa pigrizia e, ancora, delle salde leggi dell’ignoranza – fanno sì che le narrazioni si ghiaccino attorno alla discesa in campo dell’italiano/a che, nell’ordine: trionferà, conquisterà un argento o un bronzo che valgono oro, sarà stato colpito/a dalla sfortuna o sarà stato/a beffato/a.

Non c‘è tempo, non c’è voglia di raccontar storie, anche in breve, anche cercando nelle vene, non sempre pure, di Wikipedia: Bolshunov che viene dalla zona che è al centro della bellicosa disputa tra Russia e Ucraina; il giurassiano Fillon Maillet che succede al pirenaico Fourcade; la piccola e graziosa Therese Johaug, assente nel 2018 per positività “pesante” (anche gli scriccioli si servono degli anabolizzanti); l’inseguimento e il sorpasso di Johanne Strolz sul padre Hubert.

Altri erano gli interessi, stretti nei confini della spedizione italiana, del bilancio di previsione, del bilancio finale (secondo solo a Lillehammer, menzogna colossale, accettata e propagata come tutte le menzogne), dell’obbligo di saldare solide alleanze e avviarsi tutti insieme, con la maschera di circostanza – compiaciuta e orgogliosa – verso Milano-Cortina che ha già un record, il simbolo più brutto della storia. L’età degli scoiattoli, delle linci, è finito per sempre.

 

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