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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Piste&Pedane / Corsa lunga? Questione di programmazione

Venerdì 12 Novembre 2021

 

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Interessante chiacchierata con Renato Canova, tecnico torinese di grande esperienza, ormai da diversi anni “emigrato” all’estero e che in passato ha seguito molti atleti azzurri. Occasione anche per un esame del settore italiano, tra rilanci e ritardi.

Daniele Perboni

– In Italia, specialità tradizionalmente in ritardo rispetto all’Europa e al resto del mondo, quest’anno hanno trovato nuova linfa, specialmente velocità e salti. Settore a parte i lanci, dove ancora latitano risultati di rilievo, l’altro “grande assente”, ancora una volta è il mezzofondo, specialmente quello in pista. Quali, secondo lei, le cause principali di questo vuoto?

«Vi sono ragioni tecniche e ambientali. Riguardo le prime, occorre dire che negli ultimi 15 anni (quando, per ragioni diverse, gli allenatori più esperti che in passato avevano ottenuto risultati di livello mondiale con i loro atleti non sono più stati al centro di un progetto federale, maratona a parte) i giovani tecnici sono stati coinvolti, come nella maggior parte dei Paesi europei, in metodologie di allenamento considerate “moderne”, nelle quali il comune denominatore era una drastica diminuzione del volume di corsa.

Questo è ad esempio accaduto con i britannici, che, dopo aver avuto a metà degli anni 80 atleti sui 1500 metri da record del mondo (Ovett, Cram e Coe) capaci di correre al di sotto dei 3’30” o comunque intorno a tali limiti, nonché il primatista mondiale dei 5000 (David Moorcroft) di poco sopra i 13’, hanno saputo soltanto produrre atleti da 3’37” e 13’30”, fino all’avvento di Mo Farah, ed ad un attento riesame delle metodologie del passato. Pertanto, insufficiente volume di corsa, sia rispetto ai “grandi” del passato, sia rispetto al progresso metodologico degli atleti africani, in gran parte dovuto a tecnici italiani.

Per quanto riguarda le ragioni ambientali, non c’è più stato un coordinamento tra i vari tecnici personali degli atleti, a parer mio dovuto ad una erronea interpretazione del “decentramento tecnico”. Gli atleti di talento si evolvono più rapidamente dei loro tecnici, la cui mancanza di esperienza è emersa nei “non progressi” degli atleti stessi. Il mancato impiego di tecnici di comprovata esperienza e di capacità mostrate attraverso i risultati (medaglie olimpiche, mondiali ed europee), come Giorgio Rondelli e Gaspare Polizzi, e lo stesso Luciano Gigliotti, in un ruolo di “tutori” dei giovani allenatori (progetto da me stesso elaborato nel 2002 quando avevo il ruolo di Direttore Tecnico Scientifico), progetto assurdamente modificato perché i Presidenti regionali volevano decidere riguardo al budget riservato ai vari “Poli” tecnici, laddove fosse stato possibile organizzarli, ha fatto sì che si cadesse in una anarchia tecnica nella quale i giovani preparatori non avevano modo di confrontarsi con tecnici carismatici in grado di dare risposte alle loro domande.

Si è così pensato, nella maggior parte dei casi, di rimpiazzare gran parte dei chilometri con esercitazioni tecniche. Utili ma percentualmente di poca importanza rispetto alle possibilità di incrementare le prestazioni dovuto alla capacità di correre più a lungo e più velocemente. Si è semplicemente persa di vista la “torta”, dando maggiore importanza alle decorazioni sulla stessa». 

– Yeman Crippa, punta di forza del movimento azzurro in pista, quest’anno è andato incontro a una stagione non proprio eccellente. Ma anche altri protagonisti non hanno certo brillato, in termini di risultati cronometrici. Eppure è stato dimostrato che gli africani non sono poi così lontani come si prospettava sino a pochi anni addietro. Per quanto di sua conoscenza, Crippa riuscirà mai a colmare quel gap che lo divide dal resto dei migliori al mondo? Determinazione e spirito di sacrificio sembrano non mancargli. Eppure…

«Yeman ha fatto grandi passi avanti lo scorso anno, mentre si è un po’ fermato in questa ultima stagione. Nel 2020 ha dimostrato di essere migliorato nella resistenza a velocità elevata, correndo il miglio ad un livello da 3’34” sui 1500, e sfiorando i 13 minuti sui 5000. Non dobbiamo dimenticare che, nel 2019, aveva notevolmente incrementato il chilometraggio invernale, tanto da migliorare l’annoso record sui 10.000 di Salvatore Antibo, correndo in 27’10”, ma lo scorso anno non ha partecipato ad alcuna prova sulla distanza, scegliendo di crescere ulteriormente nelle prove brevi.

Con ogni probabilità, visti i risultati decrescenti all’avvicinarsi del momento olimpico, c’è stato qualche errore nella programmazione ed un approccio sbagliato nell’ultima parte della preparazione. Questo è stato un problema non solo per Yeman, ma per molti altri atleti di vertice che hanno variato il loro cliché, forse spaventati dalle informazioni sul clima che hanno condotto molti tecnici ad effettuare allenamenti in condizioni di stress climatico. In tutti questi casi, occorre esaminare nei dettagli tutto l’allenamento svolto, per trovare la chiave degli errori commessi, ricordando comunque che ogni anno è diverso da quello precedente, e che l’allenamento non può condurre a forti progressi se si ripetono gli stessi lavori del passato».

– Qualcosa, sempre per quanto riguarda il nostro Paese, si sta muovendo per quanto riguarda la strada, maratona e la sua mezza distanza. Su tutti Eyob Faniel. A cosa è dovuta questa “esplosione” o netto miglioramento, non solo di Eyob naturalmente. 

«Intanto Eyob è un sicuro talento, dotato di una buona base di velocità prolungata, ancora giovane e finora non colpito da gravi infortuni (come quelli che hanno limitato Yassine Rachik nell’ultimo biennio). Lo stesso Rachik è atleta ancora giovane, ed il suo 2:08’05” a Londra nel 2019 vale intrinsecamente di più del primato italiano di Eyob, realizzato sul velocissimo percorso di Siviglia. Lo stesso Eyob ha probabilmente ottenuto la sua miglior prestazione con il terzo posto di NY, in quanto tra le due maratone non è una esagerazione supporre vi siano 3 minuti di differenza, a favore di Siviglia.

Non direi si tratti di una esplosione, più semplicemente di un nuovo ciclo di buoni specialisti, in una nazione che ha prodotto negli ultimi 35 anni due campioni olimpici, svariate medaglie mondiali, e tecnici all’avanguardia.

Eyob ha scelto, come fatto da Sondre Moen e da Julien Wanders, la strada del Kenya per poter ulteriormente progredire. Il fatto di potersi misurare con continuità in allenamento con alcuni tra i migliori specialisti kenyani, e di essere ora seguito da un tecnico che addirittura ha fatto la scelta di vivere in quel Paese stabilmente (Claudio Berardelli), è stato alla base della nuova scelta, e non costituisce affatto una bocciatura per Ruggero Pertile, che lo ha condotto ai primati nazionali sulla mezza maratona e sulla maratona.

Per l’esperienza che ho avuto modo di fare nell’ultimo ventennio, la scelta di allenarsi permanentemente in altitudine e di confrontarsi con continuità con atleti da 2:03’ – 2:04’ è la sola strada per avvicinarsi ai tempi realizzati dagli africani di maggior talento, siano essi kenyani o Etiopi (ed ora, anche Ugandesi).

Nei gruppi che comprendono atleti di grande levatura, si corre molto e si corre forte. Non esistono troppi segreti, se non uno fondamentale: gli africani partono dal concetto di intensità e successivamente la estendono arrivando a correre forte, anche in allenamento, i lavori di lunga distanza. Per poter fare questo, recuperano molto lentamente. Ciò significa che nell’allenamento utilizzano una modulazione tra intensità, distanza e recupero assai maggiore di quanto si faccia abitualmente in Europa. Sotto questo punto di vista, noi abbiamo insegnato ai kenyani quali allenamenti fare, ma abbiamo appreso da loro stessi come effettuarli. In altri termini, oggi i migliori maratoneti sono in grado di applicare a metodologie non più casuali la loro grande sensibilità ed una certa dose di istinto che aiuta a superare i propri limiti del momento».

– Da qualche anno sui 42 km e distanze miste, nel resto del pianeta, abbiamo assistito a risultati a dir poco straordinari. Secondo lei a quali percentuali, e perché, sono da attribuire questi progressi: una nuova generazione di atleti con caratteristiche uniche, nuovi metodi di allenamento, diverso approccio alla gara, dieta, scarpe?

«La principale ragione motivazionale è costituita dal fatto che nella maratona si trova una possibilità di guadagno (ovviamente per gli atleti migliori) assai superiore a quella offerta dalla pista, anche ai massimi livelli. Questo porta gli atleti dotati per le distanze del mezzofondo prolungato a preferire un'attività su strada di buon livello ad una in pista di alto livello. In molti casi, atleti tra i migliori in assoluto nella maratona non hanno mai effettuato, nella loro carriera, gare in pista. Ecco, quindi, un maggior numero di talenti rispetto al passato.

La principale ragione tecnica è invece rappresentata dal cambio di mentalità avvenuto negli ultimi anni, del quale si attribuisce gran merito a Sammy Wanjiru. In effetti, già nel 1985 Steve Jones, britannico senza limiti mentali, era stato in grado di correre a Chicago la prima metà gara in un incredibile 61’43”, senza lepri, distanziando il gruppo (in cui era presente Gianni Poli) di circa un chilometro in totale solitudine. Allora noi tecnici, invece di capire che si sarebbe potuta aprire una nuova strada, avevamo bollato come “pazzo incosciente” il gallese.

Quando Wanjiru passò a Londra in tempi considerati incredibili, con lui c’erano invece una quindicina di atleti, e nessuno tra quelli non presenti in tale gruppo riuscì a concludere la gara tra i primi 8. Gli atleti kenyani, che corrono per vincere i premi previsti nella gara, sanno pertanto che l’unica strada per arrivare a guadagnare è quella di correre nel gruppo di testa finchè possibile: via paure ed eccessi di prudenza. Che siano preparati oppure no si vedranno sempre kenyani ed etiopi dietro alle lepri, di solito previste per condurre le gare su tempi da record.

Con queste premesse, l’allenamento è cambiato in modo assai semplice: si corre di più e più velocemente, e si recupera meglio, poiché gli atleti hanno imparato le basi di una maggiore professionalità.

Riguardo le scarpe, posso dire che i vantaggi sono alquanto mitizzati. Ricordo che nel 2012 un mio atleta, di buon livello ma di sicuro non un campione (era lo sparring partner di Abel Kirui, vincitore di due titoli mondiali nel 2009 e 2011 e dell’argento olimpico nel 2012), Jonathan Maiyo, corse in 2:04’56”, e ben 5 mezze maratone tra 59’02” e 59’27”, utilizzando scarpe Mizuno quasi totalmente piatte. Ricordo anche che con Moses Mosop, prima della sua maratona in 2:03’06” a Boston 2011, e dei successivi primati mondiali in pista sui 25 e 30 km a Eugene, ricercammo scarpe da gara dotate di una suola molto sottile, in modo da consentire la migliore reattività dei piedi. Il mio parere è che, nella maratona, le scarpe possano portare un vantaggio massimo di circa un minuto negli ultimi 10-12 km, in quanto “salvano le gambe”, ma di sicuro non consentono di correre più velocemente, qualora si voglia superare la barriera dei 2’50” al km. Inoltre, gli eventuali vantaggi dipendono dalla biomeccanica di ogni atleta: chi corre in maniera assolutamente circolare, come Eliud Kipchoge, può avere benefici dal disegno della suola, rialzata nella parte posteriore, ma chi corre appoggiando tutta la pianta del piede, come Kenenisa Bekele, trova solo svantaggi da tale tipo di suola, che tende a creare crampi nei bicipiti femorali». 

– Ultimamente abbiamo perso le sue tracce. Di che cosa si occupa attualmente e chi sta seguendo?

«Purtroppo ho affrontato un periodo assai difficile dal punto di vista psicologico, poiché lo scorso 16 febbraio mia moglie, Daniela Gregorutti, è venuta a mancare, colpita dal Covid. Tale situazione, unita alle limitazioni imposte per la pandemia, ha fatto sì che non sia ritornato in Kenya dal mese di marzo 2020, limitandomi ad inviare i programmi ai miei assistant-coach kenyani, senza avere la possibilità di monitorare gli atleti direttamente. Riprenderò ad andare in Kenya a gennaio, per seguire alcuni atleti (tra cui il primatista europeo dei 10 km su strada e della mezza maratona, Julien Wanders) in vista delle loro maratone primaverili. In particolare Erick Kiptanui, che considero potenzialmente uno dei top a livello mondiale. Ho poi una serie di atleti di varie nazionalità, che mi hanno chiesto di essere seguiti per migliorare i loro livelli.

Mi dà grande soddisfazione poter essere utile ad atleti che abbiano una vera passione e che accettino, per una parte della loro vita, di essere professionalmente ineccepibili e veramente motivati. Alla mia età, e nella mia situazione, mi posso permettere di scegliere di fare quello che mi piace, senza dover richiedere compensi e venire limitato da contratti di esclusiva. Mi piace essere a disposizione di coloro che vogliono migliorare, anche per non disperdere le esperienze fatte in tutta la mia vita, da sempre dedicata all’atletica».

 

 

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