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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Italian Graffiti / L'ora dell'orgoglio (e senza pregiudizio)

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Venerdì 27 Novembre 2020

 

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Sarei curioso di leggere quel “bignamino” che Giovanni Malagò ha regalato ai suoi colleghi del CIO: d’accordo che questo non è più il CIO di Samaranch padre, ma sarebbe pur sempre una lettura stimolante.

Gianfranco Colasante

 

Confesso d’aver fatto un salto stamani aprendo la pagina sull’intervista rilasciata da Giovanni Malagò a due valenti colleghi del Corriere della Sera, Marco Bonarrigo e Daniele Dallera. L’ho riletta un paio di volte. E l’ho fatto volentieri. Finalmente, mi sono detto. A partire dall’incipit rivolto agli intervistatori: “Soffro per voi quando dovete spiegare ai lettori cosa sta succedendo a livello politico nello sport italiano”. Ecco, mi pare l’essenza di tutto: nessuno, tra quanti sanno qualcosa di sport o della sua organizzazione, credo ci riuscirebbe visto che nessuno ha capito cosa è successo e cosa sta accadendo.


Perciò, da oggi, se le parole hanno un senso, mi attendo che l’impegno di Malagò sarà senza ritorno. Parole che ripeto a me stesso per non dimenticarmele: “Non lascerò affondare lo sport italiano”. Bene, anzi benissimo, ma bisogna fare presto perché l’acqua è già alta e continua a salire. Intendiamoci, non si tratta ancora di una vera “chiamata ai materassi”, come dicono in Sicilia, ma si avverte – finalmente, ripeto – l’orgoglio che viene dal dover sostenere (e difendere) oltre cent’anni di storia e, soprattutto, dalla consapevolezza degli impegni a venire. Perché lo sport, a differenza della politica che vorrebbe sottometterlo, non può mai rifugiarsi in quel salvifico “salvo intese” che appiana molte delle divergenze cui ci hanno abituato, ai nostri giorni, la politica e i politici.

Ma anche perché, comunque la si voglia rigirare, di quella storia il CONI resta il fulcro: tutti sanno cos’è e cosa rappresenti, parliamo (ma ce n’è bisogno?) di una organizzazione nella quale si sono ritrovati e si ritrovano volontariamente milioni e milioni di italiani, sopravvissuta a due guerre e risorta a vita nuova dal fascismo. E che gode di grande e condivisa considerazione in tutto il mondo se, pensiamo - un solo esempio - che il consesso delle federazioni internazionali, contraltare del CIO, hanno voluto al loro vertice due dirigenti italiani che del CONI sono stati e sono figure importanti: Francesco Ricci Bitti per le federazioni estive, Ivo Ferriani per quelle invernali.

Non credo che la stessa consapevolezza l’opinione pubblica possa averla nei confronti di un sedicente “Dipartimento sport”, installatosi un po’ alla chetichella a Palazzo Chigi per dettare codicilli e pandette ignoti ai più (se vogliamo, un po' la versione sportiva del M5S che l'ha voluto, assimilabile ai Navigator, al reddito di cittadinza, fino ai 10 punti del programma futuribile che Di Maio ha affidato al Foglio). Oppure, tanto per restare in tema, su “Sport & Salute”, già nel nome ricorda una Spa di paese (Aldo Cazzullo dixit), per di più neppure originale visto che riprende quello di una rivista di fitness un po' scollacciata che ebbe una discreta fortuna una ventina d’anni addietro.


Per di più tutto questo capita in tempi di una devastante pandemia – che purtroppo non sparirà tanto presto dal nostro orizzonte –, che nel nostro campo ha ridotto migliaia di società di base, ma anche di vertice, alla canna del gas e che sanno bene di non poter contare se non a parole sui fantasiosi “ristori” governativi (dove trovare i soldi e, una volta trovati, con quali criteri distribuirli?). Lo stesso ministro Spadafora - che per una serie di casi fortuiti si trova oggi a gettare il boccino - se ne è accorto al punto da chiedere scusa per i ritardi sulla sua pagina FB incolpando, in astratto, la burocrazia.

In queste condizioni, aver voluto mortificare il CONI – dico volutamente il CONI e non Malagò perché penso a quella storia ultrasecolare, anche se al Foro Italico oggi la conoscono in pochi e male – come si è fatto e si sta facendo, togliendogli risorse, sottraendogli i suoi impianti (tutti costruiti a proprie spese, vale bene ricordarlo, senza una lira di contributo da parte dello Stato: e in questo Spadafora ha ragione, vero, accadeva ai tempi della lira e non se l’abbia se ce li rimpiangiamo) solo perché si vorrebbe impedire il terzo mandato al presidente Malagò, più che di ripicca, sa tanto di un gioco al massacro. Una volta si sarebbe detto "buttare il bambino con l'acqua sporca".

Tutto ciò premesso, faccio così peccato se temo che lo scopo finale sembra alla lunga voler “nominare o indicare” in futuro i vertici dello sport? Così, come è stato fatto per le quattrocento poltrone e passa dei vari enti di Stato e dintorni, comprese le sunnominate sovrastrutture? Per le quali, tanto per rimanere in argomento, non spiacerebbe conoscere quanti sono i nuovi assunti, a che titolo hanno trovato collocazione e quanto pesi sull’erario l’intero loro "funzionamento" che fuori dai segreti corridoi resta un po’ misterioso.

Non voglio tornare sulla cosiddetta Riforma che nel frattempo, “spacchettata” senza pudore alcuno, è diventata – come direbbe Sciascia – una riformicchia. Vado un po’ a memoria: se lo scopo era tutelare i lavoratori [sic!] impiegati nello sport – o più correttamente nei centri sportivi o di fitness in genere, piuttosto che nelle società sportive o nelle federazioni –, invece che alimentare questo sconquasso non sarebbe stato più produttivo attivare i sindacati o gli ispettorati del lavoro? Gli uni e gli altri sicuramente più competenti sul fronte lavoro.

Tempo addietro, il giovane ministro Vincenzo Spadafora giunto a noi dalla lontana Afragola – indispettito perché né CONI né Federazioni indossavano il vestito della festa o stappavano lo champagne per l’interpretazione che lui stava dando alle nuove normative, peraltro in stallo ormai da due anni [sic!], aveva detto, forse ispirandosi ad Humphrey Bogart: “ormai il treno è partito e non ci possono fare nulla”. Vero: peccato che quel treno abbia imboccato un binario morto e sta dirigendosi a fatica verso il deposito. Senza rimpianti.

Per parte nostra, siamo con Malagò quando afferma: "Non lascerò affondare lo sport italiano". Perchè, questo è nella logica: i ministri e le agenzie passano, lo sport e il CONI rimangono. Casomai con qualche riforma vera da farsi in casa. E senza dover aspettare il terzo mandato.

 

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