Italian Graffiti / Se tre candidati vi sembran pochi ...
Venerdì 7 Agosto 2020
Il lockdown ha finora messo la sordina al confronto per la presidenza della federazione di atletica per il prossimo quadriennio. Per ora sono tre le candidature che hanno scoperto le carte. Ma la strada è ancora lunga, …
Gianfranco Colasante
Com’è noto, saranno (almeno) tre i candidati alle prossime elezioni per la presidenza della FIDAL. Per trovare lo stesso numero di pretendenti bisogna risalire al 20 novembre 1994, 35ª assemblea tenuta al CONI. Allora si presentarono il dimissionario Gianni Gola sfidato da Adriano Rossi e da Pietro Mennea. Si impose Gola col 53% delle preferenze davanti a Rossi cui andò il restante 47% dal momento che Mennea aveva annunciato il suo ritiro poco prima del voto. “Mi sono reso conto che l’atletica non ha ancora la forza per liberarsi da un meccanismo che la opprime da oltre trent’anni, ma resto a disposizione eventualmente come consigliere”, questo il nocciolo delle sue dichiarazioni. Ma anche come consigliere non gli andò meglio: raccolse solo una manciata di voti che lo portarono al 26° posto tra i quaranta che si spartirono le preferenze per sedere in consiglio.
Questo per la storia e per il precedente. Quando e dove si replicherà in vista di Tokyo 2020+1 non è dato ancora sapere, ma i tre candidati hanno già iniziato a posizionare le tessere sul tavolo. Con modalità diverse, ma tutti e tre contando sulla tecnologia di moda e puntando sull’immediatezza del web.
In ordine cronologico queste sono le tre “correnti” che si sono (finora) proposte:
• “Orgoglio del riscatto” di Stefano Mei
• “Un impegno per l’atletica” di Roberto Fabbricini
• “Insieme per l’atletica … oltre la passione” di Vincenzo Parrinello
Personaggi ben conosciuti e all’altezza, ovviamente. Ciascuno latore (presumo) di proposte innovative ma che – a quanto si può percepire al momento – per opportunità non possono spingersi oltre le affermazioni di principio. Sono decenni che l’universo atletica (dopo i due quadrienni di Franco Arese e di Alfio Giomi, se vogliamo non proprio esaltanti: nel ranking della WA, ex-Iaaf, il nostro miglior atleta è attorno al 200° posto) è in attesa di movimenti e di idee in grado – se non di anticipare – almeno di fronteggiare i cambiamenti di una società (e di uno sport) allo stato liquido e in perenne conflittualità, che va intercettata nei gusti, nei valori, nelle prospettive, nei sentimenti. Prima ancora dei soldi. Senza dimenticare che tutto si fa oggi più complicato, sia per la precarietà sanitaria (che non ci abbandonerà tanto presto) che per la confusione creata nelle organizzazioni sportive dagli assalti di politici di varia astrazione in cerca di visibilità, posti da occupare, prebende da distribuire.
Tutto ciò premesso, diciamolo chiaramente, resta difficile credere che per la federazione di atletica una triplice candidatura costituisca una buona notizia. Trasmette di contro il segnale di una frammentazione che non promette proprio – comunque escano le cose dalle urne – un ricompattamento e una ripartenza. Non so se i tre candidati occasionalmente si confrontino oltre quanto traspare dai rispettivi siti, ma forse meglio sarebbe stato – lo ha scritto Luciano Barra sul nostro giornale avanzando quella proposta (15 Gennaio 2020) – un tentativo di raccordare le forze per giungere a un percorso unitario. Ma qui veleggiamo nel regno della fantasia e quindi è d’obbligo un prudente passo indietro. Restando invece coi piedi per terra, vedremo come andranno le cose e ne prenderemo atto.
Ma seppure guardando da lontano, e solo da osservatore, un suggerimento me lo consento: è indubitabile che l’atletica – proprio per il periodo storico che stiamo attraversando – ha l’obbligo di riconquistare il proprio ruolo guida tra le federazioni olimpiche (non per nulla Giulio Onesti la distingueva dalle altre etichettandola come “la federazione”), una posizione cui ha abdicato per troppo tempo. Come questo debba e possa avvenire, spetta individuarlo ai tre candidati e alla elaborazione dei loro programmi. Ma è altrettanto certo che qualunque progetto difficilmente potrà prescindere da una radicale revisione dello “status” delle società che compongono la federazione e da una scala di priorità tecniche che riportino l’agonismo al centro dello sviluppo federale. Altrimenti tutto, temo, resteranno parole e buone intenzioni. Casomai, diviso per tre.
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