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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
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(le oltre 400 testate dimenticate)





Duribanchi / La bellezza e' nella mente di chi la contempla

Domenica 10 Maggio 2020

 

krieger 


Quel modo di lavorare che lo portava ad indagare, oltre all'aspetto, l'anima di chi fotografava. Ogni protagonista della sua galleria, sedotto dall’obiettivo di Bob Krieger, era in grado di sedurre. Seduzione fatta di dettagli e di luce.

Andrea Bosco

Era un uomo schivo ma di rara cordialità. Era un maestro. Raccontava con disincanto la sua vita simile ad un romanzo. Nato ad Alessandria d’Egitto aveva ereditato il rigore patrizio del padre prussiano e la vena artistica della madre siciliana, erede di una famiglia di pittori. Era un “cittadino del mondo”: disponibile a “concedersi” ad ogni forma di bellezza. E’ morto ad 84 anni, improvvisamente, mentre si trovava a Santo Domingo ospite di amici e in procinto di tornare in Italia dopo la “quarantena” Covid-19. Bob Krieger è stato un grande fotografo. Sarebbe limitativo definirlo “di moda” o semplicemente un “ritrattista”. Bob Krieger immortalava con la sua macchina fotografica donne e uomini, nella loro più nascosta bellezza.


Celebrità che risultavano “vere”. Con le proprie rughe, il proprio sorriso, la propria umanità. Per comprendere l'arte di Krieger dovevi guardare attentamente il candore di Giorgio Armani, l'ironia di Carlo Bo, il magnetismo di Gianni Agnelli, l'anarchia di Indro Montanelli, la solidità di Carlo Azeglio Ciampi, l'appeal di Silvio Berlusconi, la classe di Miuccia Prada, la sensualità di Charlotte Rampling, la futuribilità di Bill Gates, la grazia di Carla Fracci, la spavalderia di Vittorio Sgarbi.

Ritrasse anche icone dello sport: Roberto Baggio, Filippo Inzaghi, Fabio Cannavaro, Jury Chechi. Una sua fotografia diventata copertina iconica sul Time incoronò Giorgio Armani come il sovrano della moda nel mondo. Una stagione di eccellenza per il made in Italy e per Milano. Una stagione nella quale il Finacial Times assegnava a Re Giorgio il primato tra i brand italiani più conosciuti nel mondo seguito dalla Ferrari e dal Teatro alla Scala.

Accolto da Milano a metà degli anni Sessanta, Bob Krieger era diventato un simbolo importante della città. La sua macchina fotografica non era al “servizio” di qualcuno. Il suo obiettivo “creava”. Per Valentino, Versace, Krizia, Ferrè, Moschino, Emilio Pucci, Mila Schon.

Era un viaggiatore: curioso, estroso e meticoloso. Che portava al New York Times Magazine, a Vogue, ad Esquire e ad Harper's Bazar la sua idea di bellezza. Quel modo di lavorare che lo portava ad indagare oltre all'aspetto l'anima di chi fotografava. Ogni protagonista della sua galleria, sedotto dall'obiettivo di Bob, era in grado di sedurre. Seduzione fatta di dettagli e di luce.

Che io sappia, uno solo tra i grandi “eccepì” sul suo lavoro: il maestro Riccardo Muti. Querelle nel tempo ricomposta. Anche perché non potevi non andare d'accordo con Bob: oltre che un grande artista, era una bella persona.

Eravamo amici. Conosciuto negli anni Ottanta, frequentato per lavoro dagli anni Novanta in poi. Vestiva, per essere un uomo della “moda”, con sobrietà. In una accezione classica dell’abbigliamento. Se lo incrociavi ad un vernissage ti potevi “perdere” nei suoi racconti: avventure frequentate da principi e principesse, uomini d’arte e letteratura, maghi e giornalisti, politici e sportivi. Ma per capire chi veramente fosse, dovevi andare nel suo studio, situato in un palazzo patrizio a Milano poco lontano da Piazza Scala: nessuno sfarzo, solo i ferri del mestiere in un ambiente spartano dove potei comprendevi che la sua arte era fatta di tecnica, combinata ad una “luterana” idea del lavoro.

Ho assistito ad un paio delle sue lezioni quando si era aperto ad insegnare i segreti di una professione difficile. Nella quale troppi si improvvisavano con poca ispirazione e pochissimo talento. Era professionale, comprensivo ma assai poco paterno con gli studenti. Pretendeva applicazione, sacrificio, serietà. Gli studenti ne ammiravano la determinazione nella ricerca della perfezione.

La sua ultima mostra, lo scorso anno “Bob Krieger imagine. Living throut fashion and music '60'70'80'90”, a Palazzo Morando a Milano, curata da Maria Grazia Vernuccio, amica che da decenni seguiva la sua attività, aveva ottenuto l’ennesimo successo di critica e di pubblico.

Molte volte mi sono occupato delle sue mostre e dei suoi libri. Molte volte l’ho intervistato. L'ultima due anni fa, telefonicamente, per la radio con la quale ancora collaboro.

Un ritratto lo fece anche a me, Bob. Non perché io sia mai stato famoso. Al massimo negli anni del mio lavoro alla Rai, “conosciuto”: la televisione ti fa diventare “uno di famiglia”. Dovetti insistere per ottenerlo. Poi un giorno mi chiamò e mi fotografò. Ho quello scatto, firmato, incorniciato a casa, nel mio studio. Qualche mese dopo mi spiegò: “Alcuni amici preferisco averli nel cuore”. Mi stava esprimendo il suo affetto. Con poche parole. Come era solito fare, lui straordinario narratore, quando con timidezza esternava i suoi sentimenti.

Una sera, seduti sul medesimo divano del salotto di una dama milanese che amava l'arte, mi chiese se conoscessi gli scritti di David Hume. Gli risposi che lo avevo, con poca passione, frequentato al liceo. E che rammentavo come fosse considerato come uno dei padri del liberalismo moderno. Davanti a noi, in quella stanza, c'era un magnifico dipinto di Canaletto. Sembrava una fotografia tanto era perfetto. Ma osservandolo bene ne coglievi i dettagli, le ombre, le sfumature. Bob scrisse sul suo taccuino qualche parola. Staccò un foglietto, lo ripiegò e mi disse: “Leggilo a casa, ripensando alla festa di colori che stiamo ammirando”. Me lo misi in tasca e, confesso, lo dimenticai. Lo ritrovai un mese dopo. Poche parole, queste: “La bellezza delle cose esiste nella mente che le contempla”. Parole di Hume (avrei scoperto), provenienti dai “Saggi”

Ho conservato quel foglietto. Insieme alle tante parole che in questi giorni su Bob Krieger ho ascoltato e letto, assieme alle mie, queste di Hume dicono quasi tutto di quello che Bob, era. E del perché fosse speciale.


 

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