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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Immagini di atletica in anni di guerra

Martedì 28 Aprile 2020

 

fanny 

 

Se è vero che la pandemia è come una guerra, quale migliore occasione per rovistare tra pagine ingiallite di un'atletica che seppe reagire proprio agli anni tragici del vero conflitto mondiale.

 

Giorgio Cimbrico

In uno scenario desertificato, che qualcuno si azzarda a stimare più grave della seconda guerra mondiale, può esser consolatorio – e di buon auspicio – rovistare in archivio per rinvenire quanto l’atletica riuscì a raccogliere in anni perigliosi che videro la cancellazione di due Olimpiadi, di un Europeo e degli incontri internazionali, uno dei terreni più fecondi.

L’Atleta del Secolo Breve

Quei due Giochi e quella rassegna europea del ‘42 coincisero con altrettante occasioni perdute per Francina Elsje Koen, classe 1918, maritata con Jan Blankers, giornalista e allenatore che non credeva troppo nell’atletica femminile: si sarebbe ricreduto.

Qualcuno, valutando la durezza del percorso, l’ha avvicinato a Madame Curie, a Emmeline Pankhurst. Fanny era stata capace di affinare i suoi mezzi negli anni più bui, in un’Olanda occupata dai nazisti e governata dallo spietato Commissario del Reich Arthur Seyss Inquart (impiccato a Norimberga), tra resistenza, collaborazionismo, deportazioni, e sfinita, nel ‘44, quando la liberazione era vicina, dai Giorni della Fame.

In sintesi: 20 settembre 1942, Amsterdam, in 11”3 eguaglia il record del mondo degli 80 ost. di Claudia Testoni. Qualcuno sostiene sia stata la sua prima gara sugli ostacoli. In realtà nel 1940 aveva già corso in 12”0. 30 maggio 1943, Amsterdam: tre record del mondo di salto in alto usando lo stile a forbice: 1.67, 1.69, 1.71. Il record venne battuto otto anni dopo dalla britannica Sheila Lerwill. 5 settembre 1943, Amsterdam: eguaglia il record del mondo dei 100 in 11”5 ma il tempo non viene omologato, ottenuto in gara mista. Fanny era finita terza. 19 settembre 1943, Leida: record del mondo di salto in lungo, 6.25. Terrà per dieci anni e mezzo, sino al 6,28 della neozelandese Yvette Williams.

Fanny, alta e sottile a 18 anni appena compiuti merita già un viaggio in treno verso la capitale del Reich: Berlino celebra l’inizio del suo destino millenario con le Olimpiadi. E’ sesta nell’alto, quinta con la 4x100 e conquista un solo trofeo: “Chiesi un autografo a Owens e lui me lo firmò. Quando lo incontrai nel ’72, a Monaco di Baviera, pensai di presentarmi e lui rispose che non era il caso: so chi sei, Fanny. Fu un’emozione”. Una donna aveva eguagliato la sua leggenda e il singolare, il sorprendente fu che quest’impresa Fanny la raggiunse nella piena maturità dei trent’anni compiuti, due volte mamma.

L’atletica è il primo sport che riesce a risorgere dalle rovine, a darsi il primo appuntamento con gli Europei di Oslo: Fanny vince 80 ost. e 4x100: la attendono i Giochi del ’48. Passa molto tempo a discutere con Jan la strategia e la decisione è di rinunciare ai salti e di puntate sulla pista. In otto giorni, dal 31 luglio al 7 agosto 1948, lo stadio di Wembley modella la leggenda della Mammina Volante che allinea le medaglie d’oro dei 100, degli ostacoli, dei 200 (con sette metri sulla seconda, maggior vantaggio registrato nella storia dei Giochi) e della staffetta.


Il resto appartiene ai fasti di un ritorno in patria degno di quello, tre anni prima, della regina Wilhelmina dall’esilio londinese, agli ultimi fuochi – tre titoli – accesi agli Europei del ’50 a Bruxelles), all’assalto finale a Helsinki ‘52. Debilitata da un’infezione, cade sul terzo ostacolo ed esce in lacrime, richiamata in scena da un pubblico che voleva tributare l’ultimo omaggio. Qualche anno dopo, ad Amsterdam, le eressero un monumento e Hengelo le dedicò il meeting. Nel novembre del ’99, al Gala IAAF di Montecarlo, la nominarono Atleta del Secolo e lei rispose con un cenno del capo, a ciglia asciutte. Divideva un tavolo con Jolanda Balas e Al Oerter. Puro Olimpo.

L’Olandese Volante

Cornelius Warmerdam, detto Dutch, olandese di California, è il primo uomo a superare i 15 piedi, 4.57. Capita nell’aprile del 1940: l’Europa è già in guerra, gli Stati Uniti no. Dutch progredirà altre quattro volte prima dell’attacco giapponese a Pearl Harbor. Il 2 maggio 1942 a Berkeley supera 4.74 e il 23 maggio, a Modesto, pochi giorni prima della riscossa americana delle Midway, scavalca 4.77, tuttora primo al mondo con un’asta di bamboo. L’attrezzo viene fatto a pezzi da eccitati tifosi che li trasformano in reliquie. Solo quindici anni dopo Bob Gutowski salirà di un centimetro con un’asta di alluminio. Dutch chiude senza una medaglia: nel ’48 ha trent’anni e può ancora dettar legge ma percepisce uno stipendio da allenatore e i “sacri” cancelli per lui sono chiusi.

I neutrali

La non belligerante Svezia si impadronisce del mezzofondo. Tra il 1940 e il 1945 Gunder Hagg e Arne Andersson danno una nuova fisionomia alle distanze tra i 1500 e i 5000, comprese quelle “imperiali”. Hagg – tre record del mondo dei 1500, tre del miglio, due dei 2000, uno dei 3000, tre sule due miglia, due sulle tre miglia – è anche il primo a scendere sotto i 14’ nei 5000: capita a Göteborg il 20 settembre 1942 quando ad el Alamein lo scontro sta per diventare finale. Andersson centra un mondiale dei 1500 e tre del miglio piegando il rivale a domicilio, a Malmö, in uno scontro che regala i primi due tempi di sempre: 4’01”6 e 4’02”0.


Un anno dopo, il 18 luglio 1945, stessa pista, Hagg si concede la rivincita e porta il mondiale a 4’01”4. Nove anni dopo verrà il momento di Bannister e del suo storico approdo sotto i 4’. Anche l’atletica svizzera riesce a conquistare un fascio di luce: il 27 luglio 1941, un mese dopo l’inizio dell’Operazione Barbarossa, a Lugano Ilsebill Pfenning scavalca 1.66 e eguaglia il mondiale della britannica Dorothy Odam e della sudafricana Esther van Heerden. La terribile Fanny le spazzerà via tutte.

Adolfo il grande

Al pari di Coppi, Consolini offre a una Milano livida e bellica un record del mondo: quello di Fausto è lungo un’ora e 45 km e 798 metri e va in scena al Vigorelli il 7 novembre 1942 (Stalingrado e la ritirata dell’Armir sono affacciate su un domani drammatico), quello di Adolfo, l’anno prima, il 26 ottobre 1941 (quando la Wehrmacht sta per fermarsi davanti a Mosca), in un singolare orario mattutino, le 11. Viene misurato a 53.34, otto centimetri oltre quanto era stato toccato da Archie Harris quattro mesi prima a Stanford, ai campionati NCAA: due nulli, un lancio a poco più di 45, un aggiustamento nel suo semplice meccanismo di lancio che lo porta a 52.11. All’ultima prova è fatta. Secondo e ultimo è Luigi Merlini che con il suo modesto 38.77 diventa testimone e protagonista. Il Giuriati sarà anche teatro del suo record postbellico, 54.23 il 14 aprile 1946. Da quel momento il mite colosso che ha smarrito due Olimpiadi inizierà il suo cammino: tre corone europee, l’oro di Londra, un terzo record del mondo (questa volta all’Arena), l’argento di Helsinki.

CCCP

Nell’agosto del 1944 l’Armata Rossa è entrata in Polonia: i confini della Germania non sono lontani. Il 14 Mosca ospita i campionati sovietici e la bella georgiana Nina Dumbadze, che più tardi sarà affascinata da Consolini, va molto vicina ad altri confini: il disco atterrà a 49.88. Sin lì non si è mai spinta nessuna ma l’URSS di Stalin non fa parte della IAAF e il record non viene omologato, stessa sorte dell’anticipatore 2’12”0 dell’ottocentista Yevdokia Vasilyeva il 5 agosto 1943. Nina aveva alle spalle due altri acuti datati 1939 e anche la sua prima intrusione oltre la barriera, 50.50 in Norvegia nel ’46, non avrebbe ricevuto i crismi dell’ufficialità, ma i tre riconosciuti sono tonanti, sino al 57.04 che rappresenta il suo ultimo hurrà.

Per il Reich

Nella Dresda che avrebbe avuto meno di quattro anni per specchiarsi nella sua bellezza “fotografata” da Bernardo Bellotto, il 24 maggio 1941 Rudolf Harbig, che lì era nato nel ’13, completa il suo Slam e dà l’addio: dopo il prodigioso 1’46”6 dell’Arena, dopo aver strappato agli americani il feudo del “quarto” (46”0 a Francoforte), assegna una violenta scossa al mondiale dei 1000: 2’21”5 contro 2’23”6 di Jules Ladoumègue. Manca un mese all’attacco tedesco all’URSS dove Harbig scomparirà tre anni dopo sul fronte di Voronez, Ucraina meridionale, nel vano tentativo di contenere l’avanzata sovietica.

 

 

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