I sentieri di Cimbricus / Vox clamans in deserto
Venerdì 24 Aprile 2020
Questa febbre che vuole il ritorno in campo a tutti i costi non riesce a mimetizzare la paura che le tv non paghino l’ultima rata e premano per un ridimensionamento, nell’ordine del 15%, per il prossimo accordo.
Giorgio Cimbrico
Con quel nome che sembra uscito dall’Armata Brancaleone o da Così fan tutte (“o fuori la spada o perdiam l’amistà”), il ministro Spadafora non sa cosa fare e riporta a un’altra aria mozartiana, questa volta del Don Giovanni: “vorrei e non vorrei, mi trema un poco il cor”. Il calcio preme e pressa e, sempre per rimanere nella sfera del magnifico Wolfgang, Lotito non mostra alcuna clemenza. Il dilemma è: chi è più spaventato? Spadafora che rinvia, che guadagna ancora qualche giorno ascoltando i pareri di comitati scientifici? O il calcio che trema per i mancati introiti?
Perché questa febbre che vuole il ritorno in campo a tutti i costi non riesce a mimetizzare la paura che le tv non paghino l’ultima rata e premano per un ridimensionamento, nell’ordine del 15%, per il prossimo accordo. Facendo i conti a sommi palmi, si tratterebbe, per la “merce” non fornita e per il taglio, di 300 milioni. Grossa cifra, non c’è dubbio. Enorme, se è già stata impiegata e spesa attraverso fidi bancari. Neppure Bolt era così veloce.
L’altro giorno Gabriele Gravina ha detto un paio di cose interessanti. Che il calcio ha una sua specificità e che lui sente di essere non solo il difensore del calcio ma anche dello sport italiano. Chissà come l’ha presa Malagò. In ogni caso, traducendo, lo sport italiano dovrebbe essere riconoscente al calcio che gli allunga uno dei suoi capezzoli. Non è così oggi – i soldi per tirare avanti sono pubblici, messi a disposizione di Sport e Salute, del CONI e delle federazioni dal governo – e non lo era nemmeno ieri, al tempo del concorso pronostici che ogni settimana faceva eruttare ogni settimana decine di miliardi.
La verità è che oggi anche la parte più propriamente “sportiva” del calcio, la federazione, è ormai in balia dei “signori della guerra” della Lega pronta a tutto pur di ricominciare, chiudendo le squadre in alberghi silenziosi e dalle luci smorzate stile Coma profondo, per riesumarle e spedirle in campo in piena estate, in un clima da sudest asiatico, magari con qualche ritocco regolamentare: cinque sostituzioni al posto di tre e qualche water break. Pochi accenni alle porte chiuse o alle porte aperte: ai “leghisti” interessa solo poter dire agli interlocutori: avevamo promesso 380 partite e 380 sono state. E ora fuori i soldi e, per favore, non parliamo di tagli perché vedrete che anche questa faccenda (la pandemia) passerà e tutto tornerà normale e la gente avrà più fame che mai e solo noi e voi insieme potremo placarla.
Senza parlare, poi, delle trafitture procurate del pungolo della Uefa che ha architettato un geniale calendario agostano: si gioca (?) sempre, anche nel giorno dell’Assunzione, per assegnare le coppe europee. Nessuno tiene o vuol tenere conto che in questo momento non si viaggia a meno di non sottoporsi a quarantena ma il calcio, come ha detto Gravina, ha una specificità e certo Gravina è un uomo d’onore. E quel che è un ostacolo insormontabile per ciascuno di noi, può trasformarsi in uno di quei canali destinati negli aeroporti ai Vip. E chi oggi è più Vip degli interpreti di un mondo, di una sfera sempre più distaccata dalla realtà? In questi giorni ha conquistato un po’ di spazio Maxime Mbandà, terza linea della Nazionale di rugby, spostato nella prima linea delle ambulanze di Parma. Si è dato da fare anche Luca Toni, ma stiamo parlando di un ex. Gli altri chiusi nei loro giardini delle delizie, pronti agli ordini, anche ad abbassarsi – pro tempore – lo stipendio.
Juan Antonio Corbalan, pluridecorato che ha lasciato il segno nel balon cesto spagnolo, oggi cardiologo, incita alla più tranquilla e razionale delle sedizioni. “Non giocate”. Come dice il Vangelo? Vox clamans in deserto. Ecco, appunto.
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