I sentieri di Cimbricus / La mia Africa (che non c'e' piu')
Martedì 14 Gennaio 2019
Secondo un rapporto dell’agenzia mondiale antidoping, la WADA, tra il 2004 e il 2018 sono stati 138 gli atleti kenyani risultati positivi (ora dovremmo essere attorno a quota 150). E tra loro, nomi molto importanti. Perchè?
Giorgio Cimbrico
La loro Africa non c’è più. Ora naviga nel doping. Il sangue naturalmente arricchito è un ricordo. Con l’Epo è meglio, si va più forte, si esercita uno schiacciante monopolio sulle grandi maratone, su quelle medie, su quelle piccole, sulle corse su strada di ogni chilometraggio. Ultime dal paese che, grazie a Karen Blixen, avevamo finito per mitizzare trasformandolo in un giardino di semplici delizie. Wilson Kipsang, l’unico riuscito a battere Eliud Kipchoge è stato sospeso per aver saltato controlli antidoping e aver tentato di manipolare i campioni.
E' l’ex-primatista mondiale con 2h03’23”, è il titolare di un limite personale, 2h03’13”, che lo rende il sesto di tutti i tempi, ha vinto a Londra, a Berlino, a New York, a Tokyo. Presto verrà sottoposto a un’audizione da parte della WADA. Qualche tempo fa aveva detto: “Al 99% degli atleti va data fiducia”.
La notizia si trasforma in un calamaio che si rovescia, formando una pozza, un lago oscuro. Secondo un rapporto dell’agenzia mondiale antidoping, tra il 2004 e il 2018 sono stati 138 gli atleti kenyani risultati positivi (ora dovremmo essere attorno a quota 150) e in questa interminabile retata sono finiti nomi importanti, tutti per Epo: Asbel Kiprop, tre volte campione del mondo dei 1500, oro olimpico di Pechino dopo la squalifica di Ramzi (quattro anni di sospensione), Rita Jeptoo, tre volte a segno nella maratona di Boston, Jemima Sumgong, campionessa olimpica a Rio sui 42 km.
Domanda banale: perché? Risposta altrettanto scontata: il doping è la strada più rapida per vincere e guadagnare. Altro interrogativo, meno banale: questo proliferare, che sta assumendo proporzioni mostruose, non coincide con la progressiva presa di potere degli “agenti” europei – e dei loro apparati tecnici – sui gruppi da loro controllati? Storicamente questo è avvenuto e sta avvenendo.
Effetti: l’esaurimento alla fonte della corsa di media e lunga lena nella maggior parte dei paesi occidentali, a ogni livello, anche quello della corsa su strada di paese. Si salva qualche ostinato: Laura Muir, Konstanze Klosterhalfen, la famiglia Ingebrigtsen, Marcin Lewandowski, Shelby Houihan, la veterana Jenny Simpson. Il primo maratoneta 2019 di pelle chiara – o caucasico, come è bene dire oggi – è il norvegese Sondre Moen, 45°, la prima maratoneta è l’americana Sara Hall, 36°.
Seconda considerazione, offerta a costo di apparire filorusso, magari anche filosovietico: sto leggendo troppi libri di John le Carrè. Il doping, di natura privata e di estensione ormai sistematica, del Kenya è meno grave di quello di "Stato” emerso dal rapporto McLaren? Una volta si diceva: una commissione d’inchiesta non si nega a nessuno. Magari estesa anche a chi, Turchia, non ha mai badato per il sottile.
In ogni caso, non crediate che a Tokyo i russi saranno assenti, tutt’altro. Senza bandiera, senza inno ma in forze. Sean Ingle, eccellente giornalista del Guardian, ha calcolato che saranno più o meno quanti erano Rio, 287.
Nel frattempo il CIO ha emesso il suo “ukaze”: nessun gesto “politico” sarà ammesso. Resta da capire se per “politico” si intende la decisione di non salire sul podio. Mack Horton, sconfitto da Sun Yang e giustamente incazzato, docet.
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