- reset +

Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Don't cry for me, Argentina, ...

PDFPrintE-mail

Martedì 17 Settembre 2019


argentina 

“Da lunghi anni l’Argentina è al vertice nella combinata che comprende i quattro sport a squadre più importanti – calcio, rugby, pallacanestro e pallavolo – tallonata da Francia e Italia”.

Giorgio Cimbrico

Giuro che fra poco parlo di sport. Prima, però, lasciatemi sfogare, permettete che giochi per un po’ alla Peter Finch in “Quinto Potere” quando gridava “sono incazzato nero e queste cose non le accetto più”. Perché fai così? mi dice un amico, calmati. Perché ho ricevuto una e-mail su un corso di storytelling e chissà che stronzate propongono quando il piano di studi può essere di un piana semplicità. Agli allievi direi: leggete i “Racconti di Sebastopoli” di Tolstoj per la loro struttura classica, per le magnifiche descrizioni dell’umanità all’interno della città assediata; leggete uno dei 49 racconti di Hemigway, magari, il primo, “Breve fu la vita felice di Francis Macomber”; leggete “Un giorno di fuoco” di Fenoglio: il fatto è vissuto da lontano, tra echi e spari che si affievoliscono per riprendere furiosi.

E direi: non pensate a Wilbur Smith o a Dan Brown. Quello non è scrivere, quello è guadagnare soldi, imponendo una copertina anche nei centri commerciali.

Il problema è che fortemente sospetto che lo storytelling sia vicino a questi modelli, mica a quelli che ho fatto io. L’elenco, per rimanere nell’area del racconto, una delle forme più alte, nobili e ardue, può continuare con Kipling, con Roth (Josep, non Philip), con i fratelli Singer. Non Simenon che aveva bisogno di 120 pagine per Maigret e di parecchie di più per certi suoi indimenticabili ritratti femminili, la Vedova Couderc, ad esempio.

Arrivo allo sport, sennò finisce che GFC mi caccia da questo giardino delle Esperidi, da quest’oasi che avevo sempre sognato e che ora sono autorizzato a frequentare. Il tema è l’Argentina, non quella di cui vi ha parlato e vi parlerà OE, sconfitta secca (75-95) per fine dello slancio vitale o semplicemente perché la Spagna ha preso le briglie e a parte due piccoli allentamenti le ha tenute strette come facevano certi severi istruttori alla scuola spagnola di equitazione di Vienna, giusto dietro la Hofburg.

Senza troppi preamboli, sennò finisce con una storytelling da strapazzo: da lunghi anni l’Argentina è al vertice nella combinata che comprende i quattro sport a squadre più importanti – calcio, rugby, pallacanestro e pallavolo – tallonata da Francia e Italia. A molti colossi manca una gamba – o due – della sedia.

L’Argentina che ha attraversato anni brutti, terribili o semplicemente orribili, produce vertici prodigiosi, proprio come è riuscita fare in letteratura: Borges, certo; Soriano, ovvio. Ma anche Cortazar, e qui torniamo ai caldi consigli rivolti a chi vuole inoltrarsi nello storytelling responsabile.

Nel rugby gli argentini si chiamano Pumas malgrado il felino stampato sulle maglie abbia le macchie. A parte gli All Blacks, con cui una volta sono riusciti a pareggiare (tanto per fare un esempio, la Scozia non ci è mai riuscita), hanno battuto tutti, in casa loro e a domicilio. Ricordo che una dozzina di anni fa andarono a espugnare Fortezza Twickenham, come la chiamano gli inglesi, e Federico Todeschini da Rosario fece la parte del leone. Pardon, del puma. Se l’Italia è salita a un paio di alti gradini sotto l’Olimpo, lo deve a un massiccio apporto di sangue argentino. Ora la corrente si è interrotta.

Nel calcio è inutile spendere tempo e parole: tra i primi dieci giocatori di ogni tempo, tre sono argentini, Alfredo Di Stefano, Diego Armando Maradona, Leo Messi. Aggiungere l’oro olimpico nel balon cesto datato 2004 (a spese degli azzurri), cinque titoli mondiali nel polo (che non è sport inglese, ma proviene dalle profonde valli dell’Hindu-kush) e quattro nell’hockey su pista per far aumentare le quotazioni di questo strano e lontano paese che sentiamo molto vicino, specie noi di Genova.

Siccome non voglio che qualche dotto lettore, mi colga in fallo, chiudo questo storytelling (ma è uno storytelling, questa roba?) ricordando che gli argentini, che quando suona l’inno battono ogni record mondiale di commozione, hanno avuto due campioni olimpici e un vicecampione nella maratona, Juan Carlos Zabala, Delfo Cabrera e Reinaldo Gorno che non diventò il terzo perché si ritrovo alle prese con Emil Zatopek. Laggiù non hanno vissuto di sola equipo.

 

Cerca