Italian Graffiti / Legge di riforma? L'aveva gia' indicata Del Rio, ...
Mercoledì 7 Agosto 2019
Alla fine la montagna ha partorito il topolino. Entra in vigore la cosiddetta riforma dello Sport, un progetto atteso da decenni, che riduce i suoi effetti a una mortificazione dell'istituzione CONI senza affrontare, meno che meno risolvere, i grandi problemi che appesantiscono la struttura. Una ingovernabile mescolanza di pubblico e privato, una occasione mancata che peserà a lungo.
Gianfranco Colasante
Ieri pomeriggio il Senato ha approvato in via definitiva - 154 voti favorevoli, 54 contrari, 52 astenuti - il collegato sport alla manovra di finanza pubblica. La cosiddetta riforma diventa legge. Diciamolo subito: una brutta notizia per la traballante organizzazione sportiva nazionale che paga, e pagherà, nel profondo la guerra dichiarata dal governo giallo-verde a Giovanni Malagò e al suo mondo autoreferenziale. Un mondo che da anni, anche questo va detto, ben prima dell'era Malagò avviata nel 2013, aveva proceduto di bel passo confondendo autonomia con corporazione. Volutamente incapace di proporre qualunque cambio di rotta che l'adeguasse ai tempi. Con respondabilità antiche che - per chi lo avesse dimenticato - risalgono ai giorni nei quali Roma perse la sua battaglia olimpica contro Atene.
Eravamo nel 1997. Da lì prese le mosse l'offensiva/vendetta di Veltroni contro il CONI dell'epoca - reo di averlo coinvolto in una "sconfitta" - che portò la sua "fatina bionda" Giovanna Melandri a prendere a schiaffi tutto il C.N., accusato delle peggiori nefandezze e l'avvio di una prima fallimentare ristruttura. Il cui primo effetto fu di tranciare di netto il legame tra federazioni e Comitato Olimpico. Il tramonto del Totocalcio, vittima della pay-tv, fece il resto e servì per giustificare tutto.
Il resto sviluppò di conseguenza, con la creazione di CONI Servizi, una anacronistica creatura voluta dal teorico della finanza creativa Giulio Tremonti. Seguì un ventennio del nulla affidato alla gestione congiunta Pagnozzi/Petrucci, nel doppio ruolo di entrambi sulle poltrone di CONI e CONI Servizi. Ce n'era più che a sufficienza per auspicare una profonda riscrittura delle regole. Ma che avrebbe dovuto nascere da dentro e non imposta dall'alto dalle componenti politiche del momento.
Oggi CONI Servizi non esiste più, secondo la nuova legge sostituita da Sport e Salute, centrale economica affidata a una triade di brave persone ma che nulla hanno mai avuto a che fare con lo sport, la sua organizzazione, le sue tematiche, le sue prospettive (se ancora ne ha). D'ora in avanti sarà questa triade a deliberare sul futuro dello sport nazionale, stabilendo di volta in volta i contributi da erogare alle federazioni. Che, lo si ricordi, restano organismi privati. A fronte di un CONI che mantiere la sua natura pubblica, come stabilito dalla legge fascista del 1942. E questo, di per se, era già un primo nodo da sciogliere. Ma pare che nessuno ci abbia pensato.
Dice "l'irremovibile" onorevole Simone Valente del M5S - assieme al sottosegretario Giancarlo Giorgetti coautore della riforma e uomo che tiene molto riservate le fonti delle sue competenze sportive - che loro due accetteranno solo "consigli costruttivi, non consigli strumentali" (?), non escludendo tuttavia qualche modifica a venire tramite i "decreti applicativi della legge". In soldoni? Da qui ad almeno un anno, sempre che questo governo abbia la forza di sopravvivere fino ad allora.
E invece di modifiche ne occorrerebbero molte. In tale quadro di riferimento si sono calati i rilievi del CIO, giunti con una tempistica sospetta di poche ore (prima c'era di mezzo l'assegnazione dei Giochi 2026, dicono coloro che ne sanno, ...), ma che richiamano con chiarezza i contrasti tra l'articolato approvato in Senato e i principi della Carta Olimpica. Rilievi che il capo dei senatori leghisti, Massimiliano Romeo, ha liquidato con un ruvido commento di staraciana memoria: "Non saranno le letterine a fermarci". Ma quella letterina ipotizza una messa in possibile quarantena per tutto lo sport nazionale da parte del CIO stesso, con una sospensione che potrebbe scattare già a Tokyo. E sarebbe un grosso guaio per tutti.
E invece con un minimo di buon senso - e con un po' più di conoscenza della materia, mi verrebbe da dire - tutto questo si poteva prevenire. Non s'è capito, ad esempio, perchè non si poteva rinviare a settembre (in senso temporale, intendo, ...) l'approvazione di questa cosiddetta riforma, casomai approfondendone qualche aspetto un po' balzano. Uno su tutti: chiarendo cosa si intende per attività "sociale". Tanto per dire, come si potrà ragionevolmente affidare a strutture private - quali sono le federazioni - compiti che appartengono allo Stato e sono di competenza dei suoi Ministeri? E con quali normative e obblighi? Domande senza risposte.
Tanto più che la nuova legge non ha neppure il pregio dell'originalità. Basterebbe rileggere quanto affermava all'epoca del governo Renzi un altro sottosegretario con delega allo sport, Graziano Del Rio. Diceva dunque Del Rio a proposito del CONI: "I tempi sono cambiati: lo sport è tenuta sociale e benessere collettivo che significano risparmi per il sistema sanitario nazionale". E ancora: "Che serve arrivare ottavi nel medagliere olimpico, quando si è ultimi fra 28 paesi OCSE nella classifica della pratica sportiva giovanile?". E concludeva il parlamentare del PD che "prima o poi" bisognava imporre "al CONI di correggere i parametri di distribuzione delle risorse fra le federazioni, dove sua maestà il risultato conta sempre di più di qualsiasi impegno promozionale". Eravamo nell'ottobre 2014. Neppure nella notte dei tempi.
Ma non è questo il nocciolo della questione. O almeno non solo. Non vi pare strana la coincidenza tra le parole di Del Rio e quelle pronunciate lo scorso 31 luglio - rifiutando ogni contraddizione - dall'AD di Sport e Salute Rocco Sabelli nella riunione convocata sotto l'affresco del duce? Nulla di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire. Se non fossimo di fronte a faccende molto, ma molto serie da non affrontare con le promesse di qualche dollaro in più. In sintesi, una grande occasione sprecata.
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