Italian Graffiti / Che fine ha fatto il Museo dello Sport?
Lunedì 25 Marzo 2019
Una fake-new o più semplicemente una piccola storia all'italiana? Non so dire, mi limito a darvi qualche elemento per consentirvi di farvi un'idea. Ma la domanda resta tutta: tra riforme e balzi in avanti, restiamo il solo Paese al mondo che - tra i suoi 3500 musei - non ne ha uno dedicato allo Sport Olimpico e alla sua Storia, malgrado sia stato finanziato da decenni. Certo, ci sono altre priorità, ma ...
Gianfranco Colasante
Giorni fa, casualmente, mi è tornato tra le mani un fascicolo che avevo realizzato e pubblicato nel secolo scorso (novembre 1998) quale supplemento a Lo Sport Italiano, il mensile del CONI che allora dirigevo. Titolo: "I Musei dello Sport in Italia"; sottotitolo: "Viaggio culturale tra storia e ricordi dello sport italiano". Ce n'era a sufficienza per aprire, oltre i ricordi, una riflessione su quel tema, con la convinzione, peraltro, che le cose oggi - nell'era digitale che tutto rende più facile e immediato - stanno anche peggio di allora. E proverò a chiarirlo. Nella prefazione che introduceva quello studio, scrivevo un po' ingenuamente che l'analisi dell'esistente doveva essere solo un punto di partenza, con "la speranza di portare un contributo a ciò che abitualmente si indica come cultura sportiva".
Più nel dettaglio. La pubblicazion era la sintesi di una indagine svolta tramite un questionario - al quale s'era data la più ampia diffusione - con 23 voci di catalogo. Credo che fosse anche la prima (ma di certo l'ultima) ricerca operata nel settore. Conclusa la fase di censimento, il materiale arrivato era stato rielaborato e uniformato in 39 schede dettagliate di realtà museali, mentre altre 18 presentavano ancora progetti in via di sviluppo (dati che la redazione incluse sotto la dizione "Lavori in corso").
Per confronto c'era anche una "fotografia" dell'esistente all'estero, traendo i dati da uno studio del CIO di quel periodo. Si poteva così verificare che i musei dello sport - termine che qui uso nell'accezione più ampia, ma spesso ci si riferisce a collezioni monotematiche - esistenti negli Stati Uniti erano 131, in Canada 26, in Francia 11, in Germania e in Spagna 10, in Gran Bretagna 8 e così via. Almeno un museo dello sport era presente in almeno 55 nazioni, con alcune interessanti scoperte tra quarto e quinto mondo. Ma si parlava di vent'anni fa. Chissà oggi.
L'esempio di scuola cui - in questo caso - si fa sempre riferimento resta proprio il Museo Olimpico del CIO, a Losanna. Un tuffo nel futuro, una calamita per studiosi e giovani. Ma anche un esempio improponibile, lontano anni luce dalla nostra realtà e, perchè no, un confronto mortificante con la nostra mediocre e arrogante "cultura" sportiva (avete presente il CONI di oggi?). Considerazione che non vale però a rendere a pieno il peso di questa mancanza in Italia. Vi chiederete: e da noi? Domanda destinata a restare senza risposta, ma che può introdurre ad una storia italiana che merita di essere raccontata, sia pure per sommi capi.
Nel concreto parto da metà degli anni Ottanta, quando un'idea di Museo Nazionale dello Sport - è proprio ciò di cui voglio parlare - era stato avviato da Franco Carraro (avete letto bene) che aveva riunito un gruppo di lavoro, chiamando l'estensore di queste note, Luciano Barra e pochi altri professionisti del CONI. Nessuno esterno. Si tennero alcune riunioni, vennero avanzate proposte, suggerite idee, stilati verbali. Poi Carraro venne attirato verso nuovi interessi e i buoni propositi, inevitabilmente, si spensero.
Più vicino ai giorni nostri, sono in grado ancora di testimoniare direttamente, un progetto mirato prese corso nel 2001 con la legge n. 426 che, tra i 5,5 miliardi di lire stanziati per varie provvidenze sportive, riservava 500 milioni di lire alla "istituzione del Museo dello Sport Italiano". Non era la cornucopia, ma sembrava si stesse facendo sul serio. Sembrava. Tantopiù che, su iniziativa dell'allora sottosegretario Mario Pescante, il ministro dei Beni Culturali - Giuliano Urbani - mi aveva affidato l'incarico di stilare le linee generali di studio per il museo. Venne anche costituito un nucleo di lavoro cui entrarono a far parte, tra gli altri, Riccardo Andriani per il CONI e Andrea Abodi per la defunta CONI-Servizi.
Quale sede, neanche a dirlo, era stata individuata la Sala delle Armi dell'architetto Moretti. Solo una fake-new? Niente del genere era possibile, dal momento che l'edificio era nella disponibilità del ministero della Giustizia (ricordate l'aula buker?) e totalmente stravolto all'interno. Più tardi, a mia memoria, la faccenda della sede ricadde nelle mani del provveditore alle opere pubbliche Angelo Balducci, lo stesso dei lavori del G8. Sui giornali apparvero per un po' appelli a "manifestazioni di interesse" per trovare una sede adatta. Poi più nulla.
Tornando ai progetti sui contenuti (il vero nocciolo della questione, altrimenti tutto si riduce ad una scatola vuota), dopo verifiche sulle realtà nazionali - per lo più collezioni private tratte dallo studio di cui ho detto prima - fui in grado di stendere un dettagliato "ordine dei lavori" in un'ottantina di pagine che consegnai alla segreteria del ministro il 1° luglio 2004. Come sia andata a finire, aspetto ancora che qualcuno lo spieghi a tutti noi.
Per chiudere, mi chiederete: e quei 500 milioni di lire? Certo, oggi poca cosa tradotti in euro. Ma anche su quelli non s'è saputo più molto. Alcuni anni più tardi - intorno al 2010 - sul sito dell'ufficio sport del Governo apparve un bando che assegnava contributi a quelle federazioni che si fossero impegnate a sistemare in un impianto di proprietà, loro o di qualche loro società, un angolo riservato a una esposizione museale (sic!). La cifra complessiva messa a disposizione per quello scopo era di 25.822.800 euro (più o meno il bilancio annuale della federazione di atletica). Non proprio spiccioli, tanto più ch'erano fondi pubblici. Nel bando c'era anche il nome del funzionario incaricato della "pratica", e che qui volutamente ometto.
Che fine abbiano fatto quei soldi, a chi siano stati assegnati e se qualcuno abbia verificato il loro utilizzo, lo ignoro. Per quanto ne so e ho potuto verificare, a quell'insperato beneficio ebbero accesso 14 federazioni: i contributi singoli andavano da 1,5 a 2 milioni di euro. La federcalcio, che pure aveva avviato la pratica, alla fine preferì rinunciare. Forse perchè un proprio museo, quello creato a Coverciano da Fino Fini, ce l'aveva già. E su tutto, come spesso accade da noi, calò il silenzio. Strani ghirigori dalla nostra "cultura", sportiva o meno che sia.
< Prev | Next > |
---|