Italian Graffiti / A quando la Lega delle Federazioni?
Domenica 17 Febbraio 2019
Non sarà l’attesa nomina dell’AD di Sport&Salute a risolvere di colpo i (tanti) problemi dello sport nazionale, ma l’aver svincolato le Federazioni dai lacciuoli (economici) del CONI costituisce un notevole passo in avanti. Uno scenario sfaccettato da completare con una più razionale collocazione dello sport professionistico, ancorato a principi che risalgono a più di quarant’anni fa.
Gianfranco Colasante
Vincitori e vinti. L’incruenta guerra tra i due palazzi (Palazzo Chigi e Palazzo H), se mai iniziata – come suggerirebbe Sergio Endrigo – è già finita. Lo ha certificato il sottosegretario Giancarlo Giorgetti – autore e primo firmatario della Riforma del CONI (non dello sport italiano, come ripeto, faccenda che richiederà tempi più lunghi e impegni ben più gravosi, ma inevitabili) – in una recente intervista al Corriere della Sera: “Quando una partita è persa, è inutile continuare a provarci”. Epitaffio che pare non aver del tutto convinto uno stizzito Giovanni Malagò che s’è visto sfilare il controllo della cassa, passata ora all’agenzia governativa Sport&Salute (“nome che pare preso da una spa di provincia”, maligno copyright Aldo Cazzullo).
Il quale Malagò, a detta dell’ex senatore Augusto Minzolini che ne ha riferito sul Giornale, durante una cena milanese si è lasciato andare ad apprezzamenti non proprio lusinghieri sugli uomini di governo: “Sono dei gaffeur. Pensate allo scontro con la Francia. I membri francesi nei comitati olimpici sono ex-sportivi con un forte amor patrio. D’ora in avanti li avremo sempre nemici, …“. (Ma quando mai ci sono stati amici?)
Ormai i giochi sono fatti e si può (si deve) guardare in avanti, alle scadenze più prossime che passano innanzi tutto dalla nomina dell’AD dell’agenzia. Nomina il cui iter, sempre secondo il pragmatico Giorgetti che procede come un rullo sulla sua strada, dovrebbe concludersi a fine mese. Che poi sarà sufficiente questa nomina per restituire un’anima allo sport olimpico italiano, è tutt’altra faccenda.
Questi gli antefatti per introdurre un tema che mi sta a cuore. Il rapporto, che ormai può ritenersi lacerato, tra il Comitato Olimpico e le Federazioni, le quali, alla luce della nuova Legge si sentono (finalmente?) affrancate dai lacciuoli del finanziamento diretto che, in buona sostanza, finiva col creare una inevitabile sudditanza. Non solo sportiva, ma soprattutto “politica”. Si rivelerà un bene o no, un vantaggio o una iattura, ce lo dirà il tempo. Di certo restano le Federazioni ad aver creato il CONI e sono le Federazione ad organizzare e a detenere il bandolo dello sport, a tutti i livelli, dalla promozione all’alto livello. Quindi restano loro il primo anello di qualunque Riforma. E a loro, alla loro tutela, si dovrà tenere riguardo.
Tra i pochi interventi meritevoli di attenzione seguiti alla presentazione della nuova governance – tenuta lo scorso 31 gennaio all’Acqua Acetosa, da quest’anno la nuova casa di Sport&Salute –, mi è parso degno di un certo interesse il quesito (argomentato non ricordo da chi) proprio sul futuro delle Federazioni e se ancora esiste il rischio di un loro ventilato “accorpamento”. Siamo così venuti a sapere che, da almeno un paio d’anni, in qualche segreto cassetto del CONI, esisterebbe un progetto al riguardo. Progetto che ora viene a perdere ogni validità. Ma che, per paradosso, proprio alla luce delle novità proposte, andrebbe ripreso e aggiornato. Anche per la considerazione che il finanziamento pubblico sui bilanci delle federazioni ha impatto diverso. In certi casi è essenziale, in altri aggiunge poco all’entità della cassa. Motivo in più per studiare ed aggiornare.
Lega delle Federazioni – Com’è noto, dal 2020, le 44 federazioni dipenderanno per il loro finanziamento da Sport&Salute ed è altrettanto notorio che le stesse – in base alla legge Melandri – godano di “personalità giuridica di diritto privato” e, quindi, difficilmente potranno essere “accorpate” tra loro, senza una esplicita volontà espressa delle società che le compongono. La suadente molla che poteva essere utilizzata dal CONI per il passato – cioè la concessione e le modalità del finanziamento – adesso ha perso del tutto la sua elasticità. E quindi il progetto può tranquillamente restare nel cassetto.
In ogni caso il problema di una diversa “classificazione” delle federazioni – finora considerate paritetiche tra loro – resta tutto. Pensate alla federazione Calcio e a quella delle Bocce, tanto per fare un esempio: per tanti versi agli antipodi l’una dall’altra, al tavolo delle decisioni (Consiglio Nazionale), sono entrambe presenti con il medesimo “peso” politico di un voto. Il tema è antico e, anche se non di facile soluzione, andava affrontato già da molti anni. Ma non è mai troppo tardi per cominciare a pensare a qualche innovazione. Bisogna riconoscere che il sottosegretario Giorgetti ha più volte rimarcata l’esigenza di trovare dei correttivi, con lo scopo di razionalizzare almeno i parametri per l’assegnazione dei fondi pubblici.
In anni non sospetti, quando c’era un altro CONI e in C.N. sedevano fianco a fianco uomini che sono nella storia dello sport – penso a presidenti federali ch’erano al vertice dello sport mondiale, quali Beppe Croce, Artemio Franchi, Primo Nebiolo, Claudio Coccia, Renzo Nostini, Adriano Rodoni, Omero Vaghi, Vittore Catella, e via dello stesso tenore e, sul piano operativo poteva affidarsi a dirigenti dello spessore di Donato Martucci, Enrico Argentieri, Paolo Borghi, Mario Vivaldi, Mario Mazzuca, Oreste Raule, Renato Salvini e tanti altri (chi c'è oggi al loro posto?) – il problema era già sul tavolo.
Tanto da suggerire qualche provocazione, come quella attribuita a Nebiolo che propose la costituzione di una “Lega delle Federazioni” proprio per ridurre il “potere” che il CONI esercitava nei confronti delle Federazioni stesse, stringendo o allentando i cordoni della borsa. Ripeto, una provocazione che molto fece arrabbiare Giulio Onesti e non ebbe seguito, ma che oggi potrebbe riproporsi con maggiori argomentazioni. Casomai distinguendo tra sport di squadra e no (Calcio a parte).
Libro bianco o in bianco? – In un paese che pratica con unanime adesione la cancellazione delle memorie, va ricordato che già nel 1999 il CONI aveva prodotto un documento nel quale privilegiava la Federazione Calcio – figlia prediletta – staccandola da tutte le altre 36 Cenerentole, per di più ingabbiando queste ultime in norme di controllo quasi poliziesche. E più tardi, nel dicembre 2012, in un delirio di onnipotenza, il CONI di Pagnozzi/Petrucci aveva prodotto “Il libro bianco dello sport”, un lussuoso trionfo del nulla, per di più anonimo, dove con la più bella improntitudine ci si lanciava nel futuro. Verso il 2020. Parole in libertà e trionfo patinato dell’ovvio. Un modo – produttivo per alcuni – per evitare di affrontare il vero tema: il profondo cambiamento che lo sport in tv aveva prodotto nella pubblica opinione. Almeno vent’anni persi nel compiacimento di se stessi.
In attesa quindi di una ipotetica (e perché no, auspicabile) “Lega delle Federazioni”, si possono azzardare alcune considerazioni partendo dagli “accorpamenti”, tenendo a riferimento le Federazioni Internazionali e il CIO. Esistono diversi esempi di scuola. Ne propongo uno. Da noi operano, separate e distinte, una federazione di Tiro a segno e una di Tiro a volo. L’una nata nel 1882 dalla “nazione armata” vagheggiata da Garibaldi, l’altra nel 1926 – in epoca fascista – ad iniziativa di un industriale del settore appassionato di tiro al piccione [sic!]. Senza risalire ab ovo, a queste due federazioni italiane corrisponde una sola federazione internazionale che gestisce assieme le due specialità. Ma di contro si può portare almeno un esempio di segno opposto. Riguarda la federazione Sport Invernali, unica sigla nazionale che copre discipline molto diverse tra loro, articolate in altrettante federazioni internazionali, come lo Sci, il Biathlon, il Bob, lo Slittino. In questo caso che si fa? Si “spacchetta” e si creano nuove strutture nazionali?
Esiste poi una difficoltà crescente a far convivere sotto lo stesso ombrello sport dichiaratamente “olimpici” – per lo più a carattere individuale – con altri di squadra, da tempo organizzati con modalità decisamente “professionali”. Pensiamo all'esempio positivo della Pallavolo e al livello raggiunto nell’ultimo ventennio sotto la guida del presidente Carlo Magri. Quante sono oggi le Federazioni che possono ambire al medesimo tasso tecnico ed organizzativo, per di più culminate in una importante sede centrale di proprietà? O di poterlo fare a breve?
In sintesi, le differenze – già sostanziali – si sono andate accentuando nel nuovo Secolo. Portando ad ampliare enormemente il potere attrattivo delle Federazioni preposte a sport di squadra ai danni delle altre. Non per nulla, nella visita al sottosegretario Giorgetti dei presidenti “dissidenti” – che disertarono il Foro Italico, proprio mentre vi si tenevano gli Stati Generali – erano in maggioranza di sport di squadra. Sarà inevitabile, ma anche giusto, tenerne conto.
L’esempio del CIO – D’altro canto questa è materia in evoluzione anche a livello internazionale, ambito nel quale i problemi di convivenza non mancano. Ma che il CIO ha provato a contenere adottando per l’erogazione annuale alle federazioni internazionali “olimpiche” una “classificazione” in cinque fasce, cui corrispondono contributi decrescenti (in milioni di dollari). Senza escludere qualche revisione (si pensi al Pugilato che rischia di uscire da Tokyo 2020, ma anche a chi resta in bilico perenne, come Pentathlon e Lotta).
Per memoria, questo è l’attuale schema del finanziamento delle federazioni “estive”:
• a) Atletica (39,5 milioni), Sport Aquatici e Ginnastica (31,5)
• b) Basket, Calcio, Ciclismo, Pallavolo, Tennis (tutte 24,3)
• c) Badminton, Canottaggio, Judo, Pugilato, Sollevamento pesi, Tiro a segno, Tiro con l’arco, Tennistavolo (tutte 17,3)
• d) Canoa, Equitazione, Handball, Hockey, Lotta, Scherma, Taekwondo, Triathlon, Vela (tutte 15,1)
• e) Golf, Pentathlon, Rugby (tutte 13,0)
Con una notazione, non secondaria: il CIO eroga fondi provenienti da diritti tv o da marketing, mentre il CONI – e in futuro Sport&Salute – distribuiscono e distribuiranno risorse pubbliche. Con tali presupposti, ritengo che anche da questo esempio qualche indicazione si dovrebbe trarre, ovviamente adattandola alle realtà delle nostre federazioni nazionali. La cui storia e tradizione vanno sempre tutelate.
In un precedente Graffito avevo segnalato un’anomalia che meriterebbe una rapida correzione da parte di Sport&Salute. Mi riferisco al contributo che ancora oggi il CONI riconosce alla Federazione Calcio, anche se – sotto la gestione Malagò, va detto – esso è sceso da 80 a 30 milioni, cifra che comunque resta superiore al totale di quanto ricevono le cinque maggiori federazioni olimpiche. Non credo di sbagliare se segnalo che il CONI è il solo Comitato Olimpico a finanziare in qualche modo il Calcio e, inoltre, accoglie la miliardaria Lega Calcio tramite i suoi rappresentanti nel consiglio della FIGC. Malgrado, come ha certificato alla fine dello scorso anno proprio uno studio della stessa FIGC, il sistema calcio abbia in Italia un valore pari a 4,5 miliardi e produca un indotto superiore a 18 miliardi. Ciò detto, resta la domanda: non si potrebbero usare più proficuamente quei 30 milioni? Auguriamoci che una futura legge-quadro ne sappia tenere conto.
Alla fiera delle anomalie – Anomalia, quella finanziaria, che si estende anche al comparto della forza-lavoro. Com’è noto per il suo funzionamento il CONI utilizza circa 1300 dipendenti, mentre le 44 federazioni – tutte assieme – ne impiegano poco meno di 1600. Dati che non tengono conto dei "collaboratori" e partono da una fotografia scattata nel 2007 quando il CONI produsse un ennesimo studio [sic!] stabilendo l’organigramma di ciascuna federazione. Numeri che per la loro discrepanza sollevano oggi più di un sospetto. Anche qui, ad adiuvandum, segnalo che il CIO – che il prossimo 23 giugno inaugurerà a Losanna la sua nuova lussuosa sede – l’ha fatta progettare per ospitare non più di 500 dipendenti e stagisti. Mentre, sul piano delle federazioni, noto che la FIGC impiega oggi 212 addetti, come dire più del doppio dei 103 (Wikipedia) che marcano il cartellino nella sede della FIFA presieduta dall’italo/svizzero Gianni Infantino. Ma forse a Roma il lavoro è maggiore che a Zurigo.
Infine, traendolo da Repubblica (22 novembre 2018), riporto un altro dato che solleva un po’ di curiosità, sottolineando come il costo-lavoro non sia paritetico tra le federazioni. Si legge: “se Ginnastica e Hockey pagano in media ogni dipendente 54.500 euro lordi, lavorare alla FederGolf o alla FIDAL ne garantisce più di 90mila”. Se queste cifre sono vere, costituiscono la certificazione palese di come le Federazioni si erano da tempo svincolate dal CONI, decidendo su tutto in totale autonomia. Quindi, la temuta e vituperata Riforma, non sta facendo altro che regolamentare l’esistente.
Comunque, anche sulle buste-paga, comprese quelle del CONI, un po’ di chiarezza aiuterebbe. Casomai con qualche verifica su un passato recente. Certo, ognuno è padrone a casa sua e può assumere chi vuole e pagarlo quanto vuole, ma se poi lo fa (sia pure in parte) con fondi pubblici, qualche domanda appare più che lecita …
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