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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Milano olimpica? Ubriachiamoci di brand

Sabato 15 Settembre 2018

 

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Una triplice candidatura che somiglia tanto alla guerra dei bottoni. Ma se uno il brand ce l'ha, vivaddio, che lo difenda, ...

 

di Giorgio Cimbrico

“Le Olimpiadi si fanno a difesa del brand della città”: è la frase che ho estratto dall’intervento di Giuseppe Sala, sindaco di Milano, che insiste sulla preminenza che deve esser assegnata alla sua città. Mi-To-Co, va bene, ma con la prima sigla tutta maiuscola. Milan l’è un gran Milan, si diceva una volta, e da quando c’è stato l’Expo e che la skyline (anche io ogni tanto mi adeguo …) è cambiata e le nuove torri hanno preso il posto della Madunina, la tentazione di gonfiare il petto è tornata forte, come al tempo del miracolo economico, quando non si parlava di brand ma Luciano Bianciardi aveva capito dove saremmo andati a finire.

 

Una delle attività a cui dedicava per sbarcare il lunario, dopo aver lasciato la Maremma, era tradurre libri dall’inglese e lo faceva con gusto e passione, andando spesso a cozzare contro chi, seduto a un tavolo di comando, trovava da ridire su certe libertà, su certe interpretazioni del testo.

Oggi non è più il caso di tradurre, un’arte che è andata a farsi fottere: il brand è il brand, c’è chi ce l’ha e deve difenderlo a tutti i costi, anzi, come diceva Petrolini, renderlo più bello e più grande che pria, e chi vorrebbe averlo. A Genova, dove tra alluvioni, tragedia della Torre Piloti e crollo del cosiddetto ponte Morandi, hanno provato a costruirlo e ora da tutte le parti appare uno slogan: “Genova more than this”. E’ stato costruito anche un piccolo monumento in plastica vicino al Palazzo Ducale e la gente va lì a farsi i selfie. Fa parte del brand e che la città sia più sporca di Tangeri e di Monrovia non importa.


Non resta che tornare a Sala e al derby brand-sostenibilità che sta giocando con la signora Appendino dai cerulei occhi. Non mi è ben chiaro cosa sostenga Zaia che rispetto agli altri due rappresenta comunque un luogo dove ci sono le montagne, le piste. Persino qualche impianto, vecchiotto, datato 1956, ma ancora in piedi, al contrario di quelli torinesi e valli annesse, datati 2006 e nella maggior parte dei casi spariti, dismessi, dimenticati. Un bell’esempio di legacy, come dicono al CIO, e di sostenibilità alla rovescia: non sono stati sostenuti.

L’altro giorno, tra le varie cose che mi vengono paracadutate nella posta, mi sono trovato a leggere il piano finanziario della candidatura di Calgary, stato dell’Alberta, Canada, già sede de Giochi del 1988. E’ un piano di previsione calcolato al dollaro per un costo totale, in euro, di 3 miliardi e mezzo, con ripartizione già indicata su quanto dovrò essere sostenuto dal governo centrale, da quello dello stato e dalla municipalità di Calgary. È previsto il riutilizzo degli impianti dell’88, la costruzione di un paio di strutture e di due mini-villaggi a Canmore e a Whistler, sedi designate per lo sci nordico e quello alpino. È tutto molto chiaro e trasparente ma nella città di Calgary non sono del tutto convinti ed è normale aspettarsi che si giunga a un referendum, come è capitato in altre città che di fronte a una chance olimpica hanno risposto nein danke, no thanks. Eppure erano posti con il loro bravo brand, come Oslo, come Innsbruck.

Un esempio che con lo sport non c’entra niente ma che dà l’idea di come qui venga venuto in considerazione il parere della gente: quando la Swissair, prima di andare a gambe all’aria, era una delle compagnie aeree più importanti del mondo, Zurigo era trafficatissimo. Bene, fecero un referendum cantonale e vinsero quelli che volevano che l’aeroporto chiudesse da mezzanotte alle 6. Del brand della Swissair agli insonni di Zug o di Oerlikon non fregava niente.

E così mi sono venute in mente le bocciature del cerbero Monti e della cerbiattesca Raggi e mi sono domandato: ma dietro a quelle candidature portate avanti dai soliti circoli di potere, dai soliti volti, dai soliti noti, dalle solite ambizioni, dalle solite prospettive, c’erano, da parte della gente, entusiasmo, simpatia, avversione? Non dico quelli intervistati per strada in sondaggi-lampo, ma i romani, i milanesi, i torinesi, i cortinesi. C’è un partito, al potere, che insiste per la democrazia diretta. Bene, questa sarebbe una buona occasione. Affilo un brando e brindo al brand.

 

 

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