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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
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I sentieri di Cimbricus / Da Jesi il futuro prossimo del calcio

Mercoledì 16 Maggio 2018

mancini 2

Toccherà a Mancini detto Mancio, incompreso numero 10, allenatore di primo rango, riportare in alto la Nazionale.

di Giorgio Cimbrico

Con i figli di falegname si va sul sicuro: Gesù, Pinocchio, Harrison Ford, Roberto Mancini, freschissimo ct di una Nazionale che, facendo leva sull’esperienza, richiederebbe l’intervento di papà Aldo, piallatore, smussatore, lisciatore, lucidatore. Non resta che sperare che il geniale figlio abbia preso le migliori doti dal solido padre. Jesi, in questo senso, è una garanzia e, di pari passo, anche una specie di ombelico del mondo: ha dato i natali a Giovanni Battista Pergolesi, che lasciò alla musica un limitato ma importante patrimonio prima di scomparire a 26 anni, anticipando per genio assoluto e per vita breve Wolfgang Amadeus Mozart e Franz Schubert.

Quarantamila abitanti e 24 medaglie olimpiche, 14 d’oro. C’è qualche altro centro urbano, più grande, più piccolo, a poter offrire una simile percentuale tra successi e popolazione? A occhio, no. Stefano Cerioni, Giovanna Trillini, Valentina Vezzali, Elisa Di Francisca sono i quattro moschettieri per tre quarti al femminile, gli interpreti di 40 anni di fioretto olimpico, mondiale, azzurro, allievi e seguaci di Ezio Triccoli, il maestro che ha avuto in memoria il palazzetto jesino e che altrove avrebbe avuto anche un monumento in piazza.

Viene voglia di aprire una parentesona sulla generosità delle Marche quanto a musica, poesia e sport che spesso possono marciare assieme, producendo eccellenti armonie: Rossini e Spontini, Leopardi e Valentino (Rossi), Magnini e Tamberi. Da marca pontificia a un infinito di note, parole, gesti. All’elenco andrebbe aggiunto anche Enrico Mattei, ma qui si entra nella sezione “misteri d’Italia”.

In un futuro appena dietro l’angolo saranno da valutare le capacità di duellante del fiorettista che non usava le mani ma i piedi, di Mancini detto Mancio, amato e spesso imbronciato, incompreso come tanti numeri 10 della storia del calcio italiano, allenatore di primo rango sin dagli esordi, senza conoscere il peso e il sapore della gavetta, ora entrato in una galleria di ritratti di condottieri che hanno lasciato indelebili segni, di responsabili di rotte rovinose, di uomini semplici o sin troppo complessi, di arroganti, di animati da una saggezza leggera, di chi ha avuto la sorte come un vento a favore. Tradurre in nomi significa imbattersi (alla rinfusa) in Pozzo, Fabbri, Valcareggi, Maldini, Sacchi, Ventura, Bearzot, Lippi.

Vedrà Mancini come comportarsi, in un calcio sempre più merce, sempre meno intenzionato a conceder spazio alle nazionali che un tempo erano prim’attrici e oggi spesso si ritrovano ai margini o nei panni delle poco gradite. Quanti convocati è toccato veder partire con il bustone degli esami strumentali e con la speranza di dispensati, per far scattare la gioia del club?

Rimane da esaminare e chiarire l’incipit di questo “sentiero”. Su Gesù e Pinocchio e i loro padri artigiani non è il caso di dilungarsi. Su Harrison Ford è necessario ringraziare Vittorio Zucconi che diede il via a un faccia a faccia con Indiana Jones con una di quelle domande che lasciano il segno: “Anche lei figlio di Falegname”. Lasciò il segno anche la risposta: “Meglio pagato, però”.

 

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