- reset +

Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Sport, dimensione per uomini veri

Giovedi 22 Febbraio 2018



di Giorgio Cimbrico

Quando lo sport era un modo di essere, di vivere, una magnifica abitudine, una scuola, una dimensione per uomini veri, non per manichini coperti di etichette pubblicitarie, ben irrorati di soldi, dotati di immancabile procuratore che un tempo avremmo chiamato macrò, stolidamente sorridenti, dialetticamente scadenti, pronti a dire “sono qui per divertirmi” (la dimensione del dramma dove è andata a finire?), poteva capitare spesso di incontrare personaggi che oggi gli isterici a comando chiamerebbero heroes, eroi, facendo partire la colonna sonora di David Bowie. Così, trasformandomi per un attimo in Leporello e scartabellando nel mio non picciol libro, o assumendo la parte di un amanuense che, nell’aula di copia confine della biblioteca, attende una visita di fra’ Guglielmo di Baskerville (sotto la tonaca non riesce a mimetizzarsi Sean Connery), ho deciso di riesumare un paio di storie di atletica e rugby, che amo al pari delle invenzioni di Bach e della libertà creativa di Mozart.

1934, Giochi dell’Impero Britannico allo stadio londinese di White City: dopo quella inaugurale di Hamilton, Ontario: la seconda edizione doveva esser ospitata dalla ricca Johannesburg ma i canadesi, e non solo loro, dissero che non sarebbero andati dove neri, meticci e indiani venivano discriminati. A quel tempo non si parlava di stelle, tutto andava avanti alla buona, ma che Godfrey Rampling e Donald Finlay, per tutti Don, fossero attesi, questo è solido come la Rocca di Gibilterra. Rampling, papà dell’affascinate Charlotte e destinato a una vita infinita (si spense a 100 anni, onorato dai trombettieri della Regina) vinse il quarto di miglio e diede il suo immancabile contributo alla staffetta del miglio che avrebbe vissuto un’apoteosi due anni dopo a Berlino.

Quanto a Finlay, a Los Angeles aveva contribuito a scrivere una prima volta nella storia dell’atletica: la revisione del filmato e della “fotografia” aveva stabilito che la medaglia di bronzo dei 110 toccasse lui. Sul podio l’aveva avuta uno dei tre americani, Jack Keller, costretto ad allungarla al britannico quando si incontrarono al Villaggio: “Ehi, Don: è tua”.

A Londra, Don, alto, magro, originario di Christchurch, Hampshire dove era nato nel 1909, non ebbe molte difficoltà a diventare campione imperiale delle 120 yards, lasciando a tre decimi il canadese James Worrall. Due anni dopo, all’Olympiastadion, avrebbe trovato un avversario imbattibile, il bell’americano Forrest Towns (che di lì a poco avrebbe portato il record mondiale a uno stordente 13”7), senza però esserne travolto: 14”2 per Forrest, 14”4 per Don che, specialista negli arrivi serrati, bruciò per pochi centimetri Frederick Pollard.

Finlay (terzo da sinistra nella foto) fa ancora in tempo a diventare campione europeo a Parigi, nel ’38: è in quel momento che si interrompe la sua prima vita in pista e sta per iniziarne un’altra, tra le nuvole. Pilota sin dal suo arruolamento nella Raf, nel ’35, è uno dei protagonisti della Battaglia d’Inghilterra. I duelli, per lui, prendono il via nell’agosto del ’40: il suo Spitfire viene abbattuto sopra Ramsgate, lui se la cava, torna in azione con il 41° Squadrone, e poco dopo può festeggiare la prima vittoria, eliminando dal cielo un Messerschmitt 109. Sulla Manica, giorno dopo giorno, volano i Dornier 17 che vanno scaricare il loro carico di bombe su Londra, scortati da squadriglie di 109.

Gli scontri sono terribili, senza tregua: nel novembre del ’40 Don abbatte altri due caccia tedeschi, subisce danni in un faccia a faccia contro il tenente Hans Bob, viene promosso comandante di stormo e poi di squadrone, riceve la Dfc (Distinguished Flying Cross) e può esibire sulla coda del suo “Sputafuoco” quattro vittorie. Nel ’42 è trasferito in Medio Oriente e, mentre la guerra si sta esaurendo in Occidente, per lui il conflitto continua in Asia, in appoggio all’offensiva che costringe alla rotta le truppe giapponesi in Birmania.

Nel ’48, ai Giochi di Londra, non è lontano dai 40 anni e decidono di nominarlo capitano della squadra britannica, di fargli leggere il giuramento olimpico. E’ sempre il vecchio Don, secco, rapace, in grado di dominare i campionati della Raf nella velocità, negli ostacoli, nel salto in alto, ma l’Olimpiade è la più severa delle maestre: il piede d‘attacco prende in pieno un ostacolo e lo fa rovinare a terra sul traguardo. Fuori in batteria. Il tempo è crudele. L’anno dopo, ultimo atto ai campionati dell’AAA: per l’ottava volta è campione sugli ostacoli alti. Un addio da invitto. Se Lawrence d’Arabia era passato indenne nella guerra del deserto per essere fregato da una sbandata in moto, Don, uscito vivo dai duelli negli azzurri spazi, viene coinvolto in un grave incidente automobilistico che lo porterà a un lento e doloroso epilogo appena oltre i 60 anni. Un Tornado della Raf porta sulla coda il suo nome e le sue glorie.

mobbs 2

Questa volta il passaggio (temporale) è ancora più all’indietro: normale, parliamo di rugby. Edgar Mobbs è di quelli che non sono tornati. La meta è a 40 yards, la palla non è ovale, è una granata a mano. Il primo tratto va via liscio, poi il mitragliere tedesco lo placca con una raffica alla gola. L’attendente lo trascina in una di quelle buche che hanno trasformato il saliente di Ypres in un paesaggio lunare. «Devo scrivere». gli fa cenno a gesti: blocchetto, matita, un messaggio per l’artiglieria con le coordinate del nido che sta massacrando i suoi, e un post scriptum: «Sono gravemente ferito». L’attendente parte in uno slalom di miagolii, di schianti. «Lo recupererò», pensa e sa già che recupererà un cadavere.

È il 31 luglio 1917 a Passchendaele, il solito giorno di una mattanza che durerà sino a novembre. Nessuno troverà il corpo di Edgar Mobbs, tenente colonnello comandante del 7° battaglione del Northamptonshire Regiment, il Mobb’s Own: nel nome, il senso della squadra. «È dentro la terra di Fiandra, insieme a tanti di noi e non averlo ritrovato rende ancora più necessario mantenerne il ricordo», diranno i sopravvissuti quando si ritroveranno nel 1921: sono 85 su 264. Una marcia nelle strade di Northampton, un busto per ricordare che Edgar fece sino in fondo il proprio dovere e poi a Franklin’s Gardens per East Midlands-Barbarians.

In un film verrebbe usata la dissolvenza e il tenente colonnello Edgar Roberts Mobbs infangato, insanguinato, morente, apparirebbe sedici anni più giovane, alto, biondo, occhi azzurri, in posa per una foto di famiglia nel giardino di casa, Dartmouth House, Olney, Buckinghamshire. Nel 1903, a 21 anni, va a Northampton e gioca da mediano di mischia. Alto e pesante -  1,86 per 90 chili – non convince e lo fanno fuori e così nel 1905 non gioca contro gli All Blacks di Dave Gallaher, che vivrà il suo stesso destino in Fiandra. Quando capiscono dove usarlo, Mobbs diventa nembo e tempesta: da ala segna 177 mete in sei anni. Il giocatore che corre a ginocchia alte, è indomito in campo, anticonvenzionale e polemico fuori. Yesman, mai. Pagherà. La sua lotta contro la federazione inglese inizia nel 1907 quando i Saints vengono accusati del peccato più grave: il professionismo. Tutto risulta a posto ma i meschini addebiti vanno avanti: «Se i giocatori vogliono avere tè e sigarette negli spogliatoi, il club deve provvedere, non regalare». Le sigarette negli spogliatoi in questa nostra età proibizionista destano stupore ma nello stesso periodo gli All Blacks passavano le serate fumando sigaro e pipa.

Mobbs dice sempre quel che pensa e così non lo chiamano in nazionale, ma nel 1909, quando arriva l’Australia, non possono farne a meno. Si battezza da solo: meta dopo due minuti ma l’Inghilterra perde 3-9. Quando torna a casa, parla con un amico cronista: «Quelli di strategia di gioco capiscono poco». Risultato: per la prima partita del Championship, con il Galles, il suo nome non c’è. Recuperato per il match vinto 22-0 con la Francia, con una sua meta. Le altre segnature arrivano con Irlanda e Scozia. «Era più braccato lui che il Primo Ministro dalle suffragette», scrivono. L’anno dopo lo fanno capitano per la partita con la Francia: a Parigi finisce 3-11 e finisce anche la carriera in maglia bianca di Edgar. «Era chiaro: mi hanno dato il grado per farmi fuori con eleganza». Quando nel 1913 si ritira, il Northampton organizza una soirée: dirigenti della Union presenti, zero.

Edgar ha 31 anni, lavora con il padre nel settore in espansione dei concessionari d’auto, ma qualcosa gli rode dentro: vuole emigrare in Canada ma lo studente bosniaco Gavrilo Princip fa fuori a revolverate Ferdinando arciduca d’Austria e sua moglie Sofia. Va all’ufficio arruolamento: «Per far l’ufficiale, troppo vecchio», gli rispondono. Figurarsi se uno come lui si rassegna. Ha un’idea e i manifesti con i baffoni a manubrio di Lord Kitchener fanno il resto: organizzare uno Sportsmen Battalion. Batte il terreno degli amici, dei giocatori, ne convince 400, ne accettano 264: sono costretti a formare l’unità e a farlo tenente. Il battesimo del fuoco è nel settembre del ’15, a Loos: primo macello. Gli avanzamenti sono rapidi e seguono le citazioni del suo nome nei dispacci: maggiore, facente funzioni di comandante, tenente colonnello, senza mai chiudersi nella tana dove si danno ordini.

Ad agosto del ’16 il battaglione finisce sulla Somme, settore di Guillemont che aveva già portato via Jack King, 12 caps per l’Inghilterra. Edgar viene ferito da uno shrapnel che gli si conficca vicino alla spina dorsale. Gli danno il Dso (Distinguished Service Order) e lo spediscono in un ospedale in Inghilterra. A settembre, con la cicatrice ancora fresca, comincia a strepitare: «Possibile non mi facciano abile?». Qualcuno mette il timbro e lo rispediscono verso l’inferno: il girone è quello di Arras. E’ la primavera del ’17, quella che inonda la Gran Bretagna e l’Impero di telegrammi firmati da re Giorgio V: “Mi è doloroso informarVi che vostro marito (figlio, fratello…) è caduto sul campo dell’onore”.

La Fiandra divora la divisione scozzese, le guardie gallesi, i fucilieri del re, gli australiani, i sudafricani. Il 7 giugno Mobbs è ferito a Messines: «Sono stato fortunato: la scheggia era piatta e mi ha solo stordito», scriverà alla sorella. Dopo venti giorni è in linea, il 29 luglio è nella trincea “Canada” e lo informano che una mitragliatrice tedesca sta facendo strage. È estate piena ma il fango è un mare, attraversato dai topi di trincea. «Vado io»: lo conoscono e nessuno prova a fermarlo. E sparisce. Per chi vuole guardarlo in volto, il busto di Edgar Mobbs è ad Abington Square, Northampton. A novembre, da un secolo, è circondato dai papaveri, i fiori del ricordo.

 

Cerca