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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / E' il mercato, bellezza, solo il mercato

Mercoledì 31 Gennaio 2018

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di Giorgio Cimbrico

Dzeko resta a Roma, Sgarbi va a Acerra Pomigliano, Boschi a Bolzano, Padoan a Siena, Di Girolamo in Emilia, Lotito a Salerno dove, almeno lui, ha qualche addentellato. Mercato, libero mercato, global market: cosa non si fa per te. Ma il mercato delle disinvolte contrattazioni, il mercato delle vacche lo chiama ancora qualcuno ricordando il tempo felice in cui i sensali vendevano bene i loro non anabolizzati e cornuti animali e offrivano bottiglie di barbaresco, ha battuto un colpo a vuoto all’Hilton di Fiumicino. E così il calcio italiano non ha un presidente, non ha un presidente di Lega (Tavecchio, dimissionario dalla Federazione, è decaduto), la Nazionale non ha un commissario tecnico (ce ne sarebbe uno pronto e perfetto, Gasperini, ma naturalmente si guarda altrove.

Senza fretta, intanto in Russia non si va): la Repubblica di Weimar, alla vigilia dell’avvento di Adolf Hitler, al confronto era un modello di democrazia, di regole istituzionali. Ora con l’arrivo dei commissari, questi tempi da Termidoro, da Direttorio verranno spazzati via e presto avremo un 18 brumaio, con tre consoli e uno che conta più degli altri. Le riforme, le riforme, tutti invocano le riforme. Quali?

Mai troppo versato in maneggi politici, in alleanze, in coalizioni che possono schiudersi all’improvviso come quei fiorellini che sfruttano la fecondità insita nel letame, e neppur troppo esperto in quella che gli anglosassoni chiamano balance of power, mi faccio delle domande. E una è così ingenua, banale che non dovrebbe essere neanche formulata: perché i dilettanti hanno il 34% e quella che una volta chiamavamo la serie C il 17? Sono le fondamenta del calcio come movimento, può replicare qualcuno. Ma vorrei invitare a dare un’occhiata a quel che capita in quelle dimensioni: non vado oltre e la ragione è plausibile.

Se la vita è un affare a tutti i costi – questa è la terra desolata in cui siamo finiti – non capisco questa arcaica, superata, assurda struttura. Chi produce la ricchezza è in minoranza schiacciante e chi rappresenta i diretti protagonisti non ha lo straccio di una chance: non voglio fare il tifo per i vertici dei club della serie A e per i calciatori – tutti sono uomini d’onore, direbbe Bruto – ma solo sottolineare lo stato delle cose.

Da qui a una modesta proposta nello stile di Jonathan Swift, il passo può essere breve: se l’autore dei Viaggi di Gulliver suggeriva, per rimediare all’eccessivo sovraffollamento di giovani e giovanissimi mendichi nelle strade di Dublino, di eliminarli divorandoli, nel nostro caso sarebbe necessario giungere a uno squartamento netto e finale del corpo del calcio: da una parte, i professionisti, fuori dal Coni: dall’altra parte i dilettanti, i giovani di ambo i sessi, nel Coni.

I professionisti facciano quel che devono fare: un’equa ripartizione dei diritti TV (come capita in Inghilterra), una commissione impianti che valuti le proposte serie e gli stadia et circenses, un settore arbitrale di veri professionisti, un gruppo di lavoro sulla definizione, la liceità e l’ammontare dei compensi, un collegio di vigilanti sulla sicurezza e sulle connessioni tra club e malavita. Il tutto nell’ambito e sotto la supervisione di quello che, più che consiglio di Lega, dovrebbe essere chiamato consiglio di amministrazione, in mano ad esperti, veri esperti. Altrove ce l’hanno fatta.

 

 

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