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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
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I sentieri di Cimbricus / Il "principe" Augusto al confronto del tempo

Giovedì 1° Febbraio 2018

frasca 2

di Giorgio Cimbrico

“Frasca è un principe”, diceva Primo Nebiolo tentando di insinuare un rivolo maligno e finendo soltanto per tracciare, quanto a stile, una non sottile linea di confine tra sé e chi per un ventennio ebbe in mano e in pugno le redini di quella che oggi si chiama comunicazione e che a quel tempo era una fitta rete di rapporti diretti, stretti, a volte affettuosi. Non è facile raccontare un amico e, nel caso di Augusto, qualcosa di più: una presenza costante negli ultimi 47 anni, un mentore, un pigmalione a cui debbo riconoscenza, stima e un amore da fratello minore, forse da figlio adottato. Di sicuro è stata la persona che ha tolto me, e non solo me, dal destino di un’esistenza che poteva essere mediocre per la sua capacità di individuare le capacità, di separare, come nella parabola evangelica, il grano dal loglio. E’ l’elemento che distingue il superficiale, o colui che si fa abbagliare da false luci, da chi possiede capacità di analisi, di giudizio.

Difficile credere che Augusto faccia 80 anni. A me, oggi, non sembra diverso dall’uomo che conobbi nel febbraio 1971 alla Terrazza Martini di Genova, alla vigilia di un campionato italiano indoor. Sulla tolda di una specie di galeone, Nebiolo suonava il suo flauto magico e Frasca, che non ha mai amato la ribalta, tesseva la sua tela dando udienza anche a chi, come me, non aveva titoli ma solo aspirazioni. L’aspetto non è cambiato: sembrava uscito da un dipinto di Piero della Francesca o dalla Camera degli Sposi di Mantegna, allora e lo è ancor oggi: l’umanista di corte che finisce per interpretare il ruolo di uomo di governo, senza che il potere lo cambi, lo roda, lo corrompa.

Ricorrendo a un espediente hollywoodiano di un tempo ormai lontano, gli anni sono volati come i foglietti del calendario scandendo esperienze comuni, lavori d’equipe e lontananze che mai sono diventate definitive. Non ci ha unito soltanto il lavoro – il rapporto si sarebbe fatalmente inaridito – ma un gusto comune per il bello che nuota nell’aria che qualcuno poteva anche divertirsi a etichettare come snobistico, ma che era solo un’esigenza che lui e o sentivamo profonda, e, oltre a questo sentir comune, certi codici segreti che fanno parte della nostra intimità, del nostro privato: né l’uno né l’altro riveleremo mai, a costo di tormenti inquisitori, il significato di un nome e di un cognome: Antonello Educatini.

Ricordo un giorno, al tempo felice in cui ci si poteva rendere irrintracciabili: risalimmo con calma la dorsale della penisola e durante una breve tappa a Spoleto, finì di raccontarmi di quella sua magnifica e lontana estate quando, nei panni di un villico amico di Masetto, finì in una produzione memorabile di Don Giovanni: direttore, Thomas Schippers; regista, Gian Carlo Menotti; scene, Henry Moore. Mozart è stata la colonna sonora di questa lunga amicizia, ma nel trascorrere del tempo altro materiale ha finito per sedimentarsi: la perfetta adesione tra forma e contenuto di Bach, il dolcissimo strazio degli “Ultimi Quattro Lieder” di Richard Strauss, la ricerca dell’esecuzione ineccepibile di Sergiu Celibidache.

Il nitore di quanto Augusto ascoltava e ascolta si riverbera nella sua opera di saggista, di ricercatore, di storico: dopo goffi tentativi di ricostruzione operati da altri, l’opera su Dorando Pietri è l’unica su cui poggiar fiducia. Non mi cimento nella ricerca di un aggettivo, di un giudizio su quella che ha al centro Giorgio Oberweger: è la mia preferita, così come “Pax Britannica” di Jan Morris, “La Vedova Couderc” di Georges Simenon, “il Cavaliere Svedese” di Leo Perutz. So esattamente a quale ripiano di quale libreria sono sistemati e la constatazione mi trasmette una sicurezza che assomiglia alla serenità.

Fossi ricco, andrei a qualche asta londinese o parigina e regalerei a Augusto una preziosa copia dei Saggi di Montaigne: non ha bisogno di lezioni di razionalità, di costruzione del pensiero, ma scommetto che gradirebbe. Invece finirò per cercare qualcosa di più accessibile: forse qualche esecuzione di Sinopoli senza addentrarmi nel suo amato De Sabato del quale sospetto che abbia quasi tutto.

Mi accorgo, procedendo, di esser stato, a modo mio, sincero e affettuoso: un lungo cantabile, mai un andante con moto, mai un allegro, mai uno scherzo. Eppure, in questi lunghi anni, ci sono stati momenti in cui il repertorio serio ha lasciato spazio al comico, persino al picaresco, come ceti colloqui con il vecchio Pontefice dell’atletica dai quali Augusto, di solito ricco di contegno, usciva con il volto acceso, quasi contraffatto, di chi è stato costretto a contenere l’esplosione di quello che Aristotele definiva vitale: il riso.

L’altro giorno ho fatto clic su un motore di ricerca, ho constatato la ricchezza del suo curriculum, ho scoperto aspetti e titoli che non conoscevo. Ma guarda, mi son detto, conosco una persona importante. Per me, solo un vecchio amico.

 

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