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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
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I sentieri di Cimbricus / Ultima frontiera, lo sport del coraggio

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Martedì 2 Gennaio 2018

stirling 2

di Giorgio Cimbrico

C’è uno sport che gli inglesi adorano ed è la guerra da irregolari: un’avventura che profuma di ardimento e di snobismo, di coraggio e di sublime disinvoltura, una dimensione frequentata da aristocratici e proletari, da ufficiali e da gentiluomini di fortuna. Alpinisti e giocatori di rugby, canottieri e pugili l’hanno praticata scegliendo situazioni al limite e luoghi estremi. Il bellissimo Paddy Leigh Fermor, indefesso camminatore (da Londra a Istanbul a piedi all’inizio degli anni Trenta) che animò la resistenza a Creta e rapì il generale tedesco che comandava la piazza, intrattenendolo citando le Odi di Orazio, ne è uno dei più luminosi esempi.

Ma la galleria è lunga e noi possiamo rispondere soltanto con il tenente piemontese e capuano Amedeo Guillet, detto Schaitan, Satana, che anche dopo la caduta dell’Africa Orientale Italiana, continuò la guerriglia contro i britannici alla testa delle sue bande di cavalleggeri Amhara. Scomparso a 101 anni: questi fegatacci spesso hanno vita lunghissima anche se, come è il caso di Fermor (96 compiuti al momento del commiato), non scendono sotto i quattro pacchetti di sigarette al giorno.

Da ventisette anni David Stirling è una statua: è a Keir, Perthshire, le terre di famiglia (nella foto d'apertura). Era alto 6 piedi e 6 pollici, due metri: il ritratto in pietra chiara, in misura reale, è perfetto. Fosse possibile rianimarlo, come il Commendatore in Don Giovanni, ne avrebbe da raccontare. Di sicuro i ribelli anti-Gheddafi da lui hanno imparato che è bene spostarsi in fretta, usare pick up con una mitragliatrice da 20 millimetri sul ripiano per quella “guerra di corsa” sullo sfondo di un mare di pietre e sabbia: al tempo di Stirling e dei suoi ardimentosi, l’unico tratto su cui i glutei non soffrivano era la Balbia, la litoranea orgoglio del governatore. David era uno di quei britannici che hanno solidi amori: le montagne, il deserto e la guerra. Combattuta con cadenze fuori dagli schemi. Facile etichettarle come romantiche.

Quando inizia questa storia, da dove nasce questa spinta? Forse alla frontiera del nord ovest dell’India nel clima da “Grande Gioco” che obbliga a scurirsi il volto, a imparare i dialetti; forse nell’infinito calore del Sudan quando Charles George Gordon (Gordon di Khartoum, secondo la formula vittoriana del nome da accostare al luogo dove arrivarono gloria, martirio, immortalità) viene conquistato da quella terra, da quell’incudine su cui picchia il sole, prima lottando contro i commercianti di schiavi e poi, sino alla morte, contro i guerrieri del Mahdi. I bashi bazuk, i mercenari dai denti resi aguzzi come quelli dello squalo, deliravano per quell’uomo non alto, deciso, pio.

O forse la fonte è in Arabia che Charles Montagu Doughty percorse rivelandola nei suoi “Travels” a un giovane introverso gallese: sotto il suo comando Thomas Edward Lawrence finì per avere non bande, ma un esercito di beduini che lo chiamavano El Orens e che con lui presero prima Aqaba, poi la gemma della corona, Damasco. Tutto “irregolarmente”. E dopo di lui venne Orde Wingate che, come Gordon, leggeva un solo libro, la Bibbia, sapeva citarlo a memoria, in inglese e in ebraico, e cantava a squarciagola le parti liriche e amava starsene nudo come un baco, vestito solo del casco coloniale.

Guerrieri, asceti, avventurieri, poeti, spesso destinati a disillusioni, a fini tragiche, a singolari beatificazioni: la guerra era un volere di Dio, uno strumento di pace, una redenzione, uno sport, una magnifica avventura, una fonte di ispirazione. Per i più rozzi, un modo per menare le mani. Poco più di quarant’anni fa, Stirling era tra quelli che pensavano che sarebbe stato bene che il regime libico instaurato da quel giovane ufficiale che in inglese suona come Kaddafi non dovesse superare l’infanzia. Per abbattere il colonnello, furono convocate riunioni in quell’ufficio di Mayfair dove sir David trattava commercio d’armi e di uomini (i mercenari) e aiuti umanitari per l’Africa amata, e dove aveva fondato una televisione che, curioso, fu la culla dei Muppets. Non se ne fece niente (impossibile sperare in un sostegno del governo) e Gheddafi prosperò.

Ancora su e giù nel tempo: trent’anni prima, era la primavera del ’41, Stirling di quel deserto che corre dall’Egitto alla Tunisia stava per assaggiare la ferocia del giorno, il rigore della notte: lui, il nobile scozzese, il laird (lord, in scozzese) di Keir, l’uomo che voleva dar l’assalto alle più alte cime himalayane, ma tornò a valle e in patria quando i tedeschi diedero fuoco alle polveri sparando su Danzica, diventò il creatore del Sas. Suo fratello Bill e Blair “Paddy” Mayne, terza linea dei Lions, i suoi vice.

Sas sta per Special Air Service (Stirling and Stirling, scherzava qualcuno, etichettando il reparto come una ditta di famiglia), un’esca lanciata agli italiani e ai tedeschi che, imbattendosi nei rapporti delle spie, potevano pensare che in Egitto fosse arrivata una brigata di paracadutisti. Quelli del Sas erano un’altra cosa: volontari che avevano risposto all’invito di Stirling per formare gruppi di commando da infiltrare dietro le linee nemiche, attaccare aeroporti e depositi di benzina, creare confusione.

Nel bagaglio delle attitudini britanniche c’è la praticità: Stirling e i suoi di cariche esplosive e di combattimento, anche corpo a corpo, ne sapevano abbastanza, di deserto poco o nulla. E così si affidarono a chi sapeva orizzontarsi con le stelle, usare saggiamente carburante e acqua, sino all’ultima goccia. Volontari e irregolari, naturalmente: l’armata privata (in realtà mai più di 200 uomini) di Vladimir Peniakoff detto Popski e il Long Range Desert Group di Ralph A. Bagnold. Popski era un belga di origini russe, con una pezza nera su un occhio; Bagnold, un maggiore dell’esercito britannico che, come i suoi uomini, vestiva camicia, calzoncini e kefia araba. Lo snobismo del “fuori ordinanza” è una delle prerogative degli irregolari, così come un’araldica inventata di sana pianta: per quelli del Sas, un pugnale alato e il motto “Chi osa, vince”, per il LRDG uno scorpione (gli Scorpioni del Deserto); per quelli di Popski, un vecchio mappamondo.

Bande di ricognitori e di esploratori (molti neozelandesi, sudafricani e rhodesiani) che si inoltravano in territorio nemico, al volante di vecchi camioncini Chevrolet e di jeep armate di Vickers o di cannoncini Bofors: unico strumento, la bussola del coraggio. Stirling venne catturato dai tedeschi, fuggì, venne catturato dagli italiani che avevano un loro LRDG (la Compagnia Sahariana) e che si divertirono molto quando lo scozzese raccontò di come aveva fregato i camerati germanici e che si divertirono un po’ meno quando piantò in asso anche loro. Alla quarta cattura, fu impacchettato e portato nel medioevale castello di Colditz, in Germania. Sembra “La Grande Fuga” e invece è solo storia.

Mentre David era nella prigione da dove era impossibile evadere (ma al maggiore Patrick Reid riuscì di lasciar la gabbia), suo cugino Lord Lovat sbarcava in Normandia con gli Scouts, l’esercito di famiglia: indossava un maglione bianco, tipico delle isole Aran, impugnava non un volgare Sten ma un elegante Purdie per la caccia alle grouses (le pernicione scozzesi) e aveva con sé il suonatore di cornamusa di famiglia. Toccò a loro andare a rilevare quelli scesi con gli alianti a Ponte Pegaso, sul canale tra il mare e Caen.

La Palestina al tempo del Mandato britannico, il deserto del Sudan, le asprezze dell’Etiopia, la jungla della Birmania: Orde Wingate - barba da profeta, igiene personale inesistente, il sogno di uno stato ebraico di modello biblico –, passò la sua breve vita a prendere contatto con uomini di razze diverse e a trasformarli in truppe d’élite. Nella brigata Gideon che contribuì ad abbattere l’effimero impero dell’Africa Orientale Italiana, c’erano sudanesi, partigiani etiopi, ebrei, yemeniti, polacchi sfuggiti all’invasione del ’39.

Dopo esser entrato ad Addis Abeba al fianco di Haile Selassie ed essersi concesso la civetteria di montare un cavallo bianco (umane debolezze: Lawrence amava indossare candidi abiti da sceriffo), Wingate andò a esplorare le virtù guerriere dei gurkha nepalesi (non ce n’era un gran bisogno) e dei montanari birmani fondando il corpo dei Chindits (Dragoni), esploratori avanzati che, immersi in un’infernale e umidissima boscaglia, dimostrarono ai giapponesi che non sarebbe stato facile bussare alla porta del Raj indiano e ottenere il permesso di entrare. Wingate non cadde in combattimento, ma rimase vittima di un incidente aereo: aveva da poco passato la quarantina.

Allo sfregiato John Bagot Glubb (i suoi esordi nella prima guerra mondiale) mancava solo un anno per toccare quota 90 quando nel 1986 lasciò questo mondo: era il Lawrence di Giordania, era Glubb Pascià, inventore della Legione Araba dalla kefia bianca e rosa, precettore del giovane Hussein che il piccolo re, che aveva studiato all’accademia militare di Sandhurst, ripudiò quando salì al trono. Per i vecchi reduci dell’Impero, per gli irregolari, era arrivato il momento dell’ultimo squillo di tromba: nell’esercito inglese non ordina il silenzio, ma il ritorno tra le mura della caserma.

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