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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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Saro' greve / Perche' Panetta ha corso sempre da solo

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Lunedì 16 Ottobre 1978

panetta 2

di Vanni Lòriga

Ho personalmente conosciuto Francesco “Frank” Panetta a Francavilla a Mare, periferia di Pescara, a metà ottobre del 1978. Reduce dal Campionato Europeo di Praga, ero ancora esaltato per le imprese di Sara Simeoni, di Pietro Mennea e di Venanzio Ortis. Vivevo ancora momenti di giustificata euforia che mi furono rinnovati da una battuta di Roberto Zuccaro, stimatissimo giudice di partenza pescarese (ed ex-saltatore con l’asta), che mi disse: “Ero a Fiuggi a passare le acque per un calcolo che mi affliggeva da tempo e di cui riuscii a liberarmi dopo aver letto la cronaca della vittoria di Venanzio sui 5000 metri!” Potere taumaturgico di un grande fondista … A Francavilla Zuccaro era presente come starter delle Leve de Corriere dello Sport che comprendevano anche il Gran Premio di Mezzofondo, una corsa sui 3000 metri.

E la gara fu di ottimo livello: senza voler fare paragoni improponibili i suoi protagonisti ci fecero capire che in Italia esistevano già gli eredi di Ortis. Infatti il podio di quella gara, riservata ai non tesserati o agli allievi del primo anno, fu il seguente. 1, Roberto Antiga (Forestale) 8’38”3; 2. Stefano Mei (Cassa Risp. La Spezia) 8’44”8; 3. Francesco Panetta (USAL Siderno) 8’50”8. Il vincitore non confermò in seguito la supremazia mentre Stefano e Francesco sono stati emeriti protagonisti di livello mondiale.

La solitudine di chi corre in testa

Da quel giorno ho seguito con attenzione e sempre con ammirazione la carriera (atletica e no) di quel “Ragazzo di Calabria” (ma va ricordato che il film omonimo era stato ispirato da Mennea). Ho visto un anatroccolo di 15 anni dotato di chioma esagerata e munito di occhialoni di tartaruga evolversi in una specie di elegantissimo cursore con i capelli alla “marine”.

Ma nel tempo non è mutato il suo atteggiamento tattico. Non ha mai "succhiato" la ruota di nessuno ma si è sempre lanciato nella solitudine della corsa di testa. Lo fece quando vinse a Taormina la finale dei Giochi della Gioventù (ed il favorito era un certo Donato Sabia …): replicò praticamente in tutte le sue gare.

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Tante imprese e su tutte ricordo il trionfo mondiale a Roma 1987; il successo storico ed ormai leggendario a Spalato 1990 e, soprattutto perché caratterialmente esemplare, il secondo posto di Stoccarda 1986.

In quella occasione si rivelò il vero Francesco Panetta. Venne definito come audace ma avventuroso e per capirlo interamente ed intimamente abbiamo dovuto attendere la sua (ed unica) verità. Ce l’ha rivelata proprio lui nel suo libro, presentato nei giorni scorsi a Milano da Walter Brambilla che gli è stato sempre vicino, dal titolo emblematico “io corro da solo “.

La presunzione è solo buona opinione

Prima persona che denuncia una sicura e ammessa presunzione: ma va ricordato che l’etimo di questo lemma è “avere troppa buona opinione”. Il che non è peccato ed in una sola riga del suo libro (esattamente la venticinquesima di pagina quindici) l’autore ci spiega che “la vetta della montagna si può raggiungere da solo, arrampicandosi fin dove gli altri nemmeno possono immaginare e, metro dopo metro, fino in cima”. Presunzione, se ci dovesse essere, comunque addolcita dal particolare che il pronome “io” che apre il titolo è in carattere minuscolo. E non si tratta di semplice scelta grafica.

Riassumere un libro è sempre operazione traditrice, E’ meglio ed utile leggerlo. Ma riteniamo doverosa una simbolica sintesi anticipando piccoli brani.

Correre è uno stato di grazia

Il primo rivela cosa sia la corsa per Francesco Panetta. “Correre è uno stato d’animo, è un modo di essere. Correre è uno stato di grazia! Io sono stato esattamente questo… io sono stato la corsa!”

Il secondo, uno dei pochi episodi legati alle tecniche di allenamento (ai tempi di Rondelli), riassume il lavoro svolto a Vierumaky, nel campo finlandese di allenamento, pochi giorni prima del Mondiale di Roma.

“… corsi tre prove: un 5000 in 13’27” con un 3000 finale in 8 minuti e recupero di 10 minuti; poi un 3000 in 7’57” correndo in 2’35” il secondo mille; recupero ancora di 8 minuti ed infine un 2000 in 5'11” correndo gli ultimi 800 in 1’57”, ultimo giro in 55 secondi”. Provate a farlo. Forse è il segreto per vincere un Mondiale. In cui peraltro Francesco svela di essersi impegnato all’80 per cento, tenendo in serbo le necessarie energie per reagire ad eventuali attacchi avversari nelle fasi finali.

Puttemans, il giardiniere di Lovanio

Concludo con un personale saluto a Francesco. Ricordo con piacere una sua battuta legata ad una trasferta in Sardegna per partecipare al Cross di Alà dei Sardi. Ospitato nell’ Hotel “La Madonnina” della limitrofa Buddusò la mattina aprì la finestra e vide il paese avvolto dalla nebbia. “Ma sono sicuro di essere in Sardegna?” chiese perplesso a se stesso “ o non mi sono mai mosso da Milano ?”

E rievoco con nostalgia i giorni trascorsi insieme a Lovanio, per un periodo di allenamento nell’intervallo tra i meetings di Bruxelles e di Zurigo del 1988. Con loro correva il famoso Emil Puttemans, noto appunto come il “Giardiniere di Lovanio”. E che lavoro faceva? Proprio il giardiniere e andava ancora fortissimo…

Rammento tutto con un cor di nostalgia e posso dire che ho sempre voluto bene a Francesco Panetta soprattutto per la sua schiettezza: “Questo Puttemans non ha capito nulla, … noi siamo qui per scaricarci e lui ci tira il collo…”

E nel suo libro, che sicuramente leggerete, vedrete che non usa giri di parole per dire anche le cose che non gli sono piaciute. Lui ha sempre corso da solo …

PS – Ho forse perso il mio tempo per leggere questo libro. Se lo avessi saputo avrei seguito la partita di calcetto in cui Malagò ha battuto Lotti. Questo sì che è sport …

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