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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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I sentieri di Cimbricus / Record: finita l'eta' dell'innocenza

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Sabato 19 Agosto 2017

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di Giorgio Cimbrico

L’età dei record è finita perché i limiti umani li abbiamo alle spalle. E se – capita spesso e i giornali non mancano di dedicare ampio spazio - qualche scienziato o qualche matematico vi sottoporrà la tabella dei record del mondo nel 2050, nel 2100 (8”30 nei 100, 2,60 di salto in alto e via andare), potete scegliere tra due opzioni: gli scienziati e i matematici sono matti (vedi “A Beautiful Mind”), gli scienziati e i matematici a volte non hanno niente da fare e allora partoriscono stronzate. Le loro serie numeriche, le loro progressioni, le loro stime valgono niente: sufficiente pensare a quando il record del mondo era 8.35 e improvvisamente si spostò a 8.90. D’accordo, scrisse il povero Renato Morino, Beamon aveva avuto l’altura, il tartan, il vento a favore e l’aria elettrica che precede una tempesta e “così quel salto si accorciava sempre più, sino a quando capimmo cosa avevamo visto”.

Comunque, la mia idea è che l’età dei record sia finita, ma non voglio essere definitivo. Credo che Maryia Kuchina, diventata Lasitskene, presto o tardi (più presto che tardi…) finirà per saltare 2.10, 2.11, e che Christian Taylor alleggerirà Jonathan Edwards del peso del 18.29 (cosa potranno dire scienziati e matematici nelle loro stime di crescita di record che vengono migliorati dopo stasi di 30 e 22 anni?) ed  è anche molto probabile che tra poco più di un mese a Berlino, dal faccia a faccia tra Wilson Kipsang e Eliud Kipchoge, venga partorito un tempo attorno alle 2h02’ e qualcosa (un paio di minuti più del plastificato 2h00’25” di Monza), ma per il resto penso che quel che abbiamo visto rimanga lì, congelato, per lunghissimi anni.

Che poi quel che abbiamo visto sia stato il frutto – e il dono - di generazioni di campioni ormai spariti e di una scienza dell’allenamento in costante progresso o il prodotto dell’uso di sostanze e di pratiche illecite – in forma privata o con il sostegno dello stato, a seconda dell’appartenenza a una sfera politica - rappresenta il nodo di Gordio che può essere sciolto, come fece Alessandro il Grande, con un robusto colpo di spada: all’edificazione di questo edificio, simile al Castello di Kafka, hanno collaborato talenti, adepti della magia bianca e nera, allenatori che hanno avuto in sorte uomini e donne capaci di assorbire  e offrire gesti perfetti.

I Mondiali di Londra sono stati un osservatorio interessante e l’incubatrice di quel che sto scrivendo: nei 400hs si conquistava la finale con un tempo appena inferiore a quello di Roberto Frinolli a Mexico ’68 e i 2.29 delle lacrime di Gimbo Tamberi e della commozione del siriano Ghazal riportano al ’71 e al record del mondo strappato da Pat Matzdorf a Valeri Brumel.

Quelli della generazione precedente alla mia e quelli che condividono la mia data di nascita, l’inizio degli anni Cinquanta, possono dichiararsi fortunati. Al nostro occhio è stato appiccicato un caleidoscopio che, ruotando le pietruzze colorate, ci ha abbagliato con le gesta di chi interpretava il proprio impegno con una lievità oggi proibita (tanti nomi e i primi che salgono in superficie sono quelli del meraviglioso Adhemar e di Livio Berruti), ci ha lasciato sbigottiti con progressi troppo violenti o mutazioni troppo evidenti, ha fatto in modo che non ci staccassimo più da un apparecchio che ha finito per proiettarci nella wunderkammer dove i sovrani raccoglievano le loro meraviglie e le loro bizzarrie.

Ora la tendenza è quella di dire: che belli i Mondiali d Londra che hanno segnato il ritorno dei risultati “umani”, della sorpresa, delle cadute libere, di certi paesi che sono stati costretti a tirare il freno a mano, perché ci voleva un po’ d’acqua (quanto pura, non si sa) dopo troppe sbornie. E tutto questo può essere sottoscritto, lettera per lettera, parola per parola. Senza dimenticare che alle spalle c’è una storia di bellezze e di vergogne, di rivelazioni e segreti, di onestà e bugie. La Storia, con tutte le sue dimensioni, i suoi percorsi. Cancellarla, negarla può essere impossibile, facile, stupido.  

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