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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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Vintage / Angelo Porciatti, il conte che voleva le Olimpiadi

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Mercoledì 2 Novembre 2016

porciatti 2

di MARCO IMPIGLIA

Da qualche anno ormai, grazie alle ricerche di Elio Trifari e a quelle di un gruppo di appassionati guidati da Bill Mallon, il medico, scrittore ed ex golfista americano che è da considerarsi il massimo esperto di statistica “olimpica”, sappiamo che nessuna edizione dei Giochi è trascorsa senza almeno un italiano in gara. Così che, su trentuno Olimpiadi estive, l’Italia ha preso parte a tutte. Atene 1896 e St Louis 1904 presentavano alcuni dubbi. Ma ora è abbastanza evidente che i buchi erano dovuti esclusivamente al fatto che non tutti gli atleti in gara venivano registrati, in specie quando non approdavano a risultati degni di menzione. Sappiamo pure che furono addirittura 16 gli italiani gravitanti dalle parti dell'Acropoli con intenzioni olimpiche nell'aprile del 1896.

Sicura al 100% è la presenza al poligono dell'ingegner Giuseppe Rivabella, uno dei tanti italiani dell'epoca che vivevano per ragioni di lavoro in Grecia. Lo svedese Ture Widlund, al volgere degli anni Ottanta, ci ha fornito notizie convincenti sulla partecipazione di Rivabella alla gara di tiro a segno dai 200 metri col “fucile di guerra”.

A detta di Mallon, l'unico italiano in gara a St Louis fu Francesco Filippo Bizzoni, un lodigiano classe 1875 emigrato a 23 anni in Inghilterra, a fare il cameriere, e poi a 28 a New York. Nel Bronx visse con la sua sposa, la milanese Rosa Monteverdi, fino al giorno di Natale del 1926, allorché lasciò le gioie di questo mondo. Gioie su due e quattro ruote, per lui, giacché di professione era un tassista e per divertirsi da giovane aveva svolto attività di pistard amateur, e di discreto livello. A St Louis finì eliminato nei quarti di finale nella prova dei 402 metri, equivalenti a un quarto di miglio.

Yankee risultava alle cronache Frank Bizzoni, fino a quando Mallon e soci rivelarono che si trattava di un emigrante naturalizzato cittadino degli Stati Uniti nel 1917, quando era partito per l'Europa con i contingenti dello US Army. Come detto, si guadagnava il pane facendo il taxi driver. In mancanza di una sua foto ufficiale, ce lo possiamo immaginare col volto un po' matto di Robert De Niro, nel film di Martin Scorsese del '76.

Efharisò Rivabella e thank you Bizzoni: grazie a voi l'Italia è (forse) uno dei sei paesi a vantare presenze in tutte le edizioni olimpiche.

Sulle tracce del giovane conte

Ma qui intendo parlare della mia piccola scoperta, quella del primo ciclista italiano a partecipare ai Giochi, e proprio nel 1896. La rivelazione data al 2005, allorché una domenica acquistai a Porta Portese la collezione del giornale Il Ciclista. A luglio del 2008, approssimandosi i Giochi di Pechino, passai lo scoop a un mio amico giornalista a la Repubblica, Corrado Sannucci, purtroppo oggi scomparso, perché divulgasse la cosa al grande pubblico. Sannucci ci imbastì una pagina intera, molto bella, citò correttamente il mio nome e da dove veniva la ricerca. Tuttavia, mi rimase in gola la voglia di pubblicare a mia firma qualcosa su Angelo Porciatti, il protagonista in questione. E finalmente ecco la storia per intero, così come sono riuscito a recuperarla.

Diciamo subito che il nostro ciclista “olimpico” aveva lo stemma sul frontone del palazzo. I conti Porciatti sono una schiatta le cui radici risalgono al XII secolo nell’antica Cividale e, più giù ancora, al duca longobardo Gisulfo del VI secolo. Le tracce degli spostamenti del casato si focalizzano a Firenze, Arezzo e Grosseto.

Angelo Porciatti nacque infatti ad Arezzo nel 1872, per spostarsi poi a Grosseto, dove intraprese un commercio di tessuti. Poco più che ventenne, decise di comprarsi un “bicicletto” e fu il primo pioniere del ciclismo grossetano. Due anni dopo, nel febbraio del 1894, istituì con pochi amici il Veloce Club Ciclistico, che iniziò a fare gite nelle cittadine vicine e ad organizzare gare utilizzando una rudimentale pista fuori le mura. All’epoca, erano già una quarantina gli amatori, e tra loro persino una donna.

I giornali L’Etruria e L’Ombrone riportano l’attività del VCC: corse di resistenza lungo la via Circondaria, gite di venti o trenta chilometri e gare di velocità di mille e duemila metri, con tanto di totalizzatore per scommettere sui concorrenti. Alcuni nomi di quegli anticipatori del ciclismo maremmano? Vittorio Marchi, Luigi Volpi, Attilio Bossi, Giuseppe Nenci, Ettore Margheri. Ogni tanto, poteva capitare che qualche routier, cioè ciclo-amatore, di circoli velocipedistici di altre zone passasse per Grosseto e ricevesse un caloroso benvenuto dal locale Veloce Club. Il Touring Club Ciclistico Italiano aveva appena messo in vendita un centinaio di guide-itinerario ad uso dei cicloturisti, precedendo di pochi mesi un’analoga pubblicazione della rivale Unione Velocipedistica.

Nelle feste cittadine, di solito tenute durante la bella stagione e soprattutto a maggio, non mancavano mai le esibizioni con le biciclette. A volte, veglie ciclistiche notturne si abbinavano a fiere gastronomiche con uno scopo di beneficenza. C’era anche un rivenditore della marca Adler, il signor Ezio Borghi, ma precisiamo che acquistare una “due ruote”, a fine Ottocento, era un lusso improponibile per molti, all’incirca come comprare un’automobile di grossa cilindrata di oggi. Il conte Angelo Porciatti, che gli amici chiamavano “Giangio”, apparteneva all’élite benestante. Egli poteva concedersi la stravaganza di fare dello “sport”.

Nel 1895, dalle corse e gite nei dintorni, Porciatti passò alla partecipazione a gare su pista nei ciclodromi aperti nelle maggiori città. Si stavano vivendo, infatti, gli anni di lancio del ciclismo agonistico, che iniziò con i “pistard” che rullavano sui velodromi in legno. Porciatti si distinse in gare di velocità a Roma, Bologna, Milano e Firenze, conquistando diverse medaglie. Il 29 febbraio del 1896, divenuto nel frattempo presidente del Veloce Club Ciclistico di Grosseto, promosse una festa durante la quale annunciò l’avvenuta accettazione della sua iscrizione ai Giochi Olimpici.

L’iscrizione era stata mandata per lettera a Parigi, presso il Barone de Coubertin, rue Saint Honoré 2295. Il settimanale Il Ciclista, pubblicato a Milano, diede la notizia dell’iscrizione di Porciatti nel suo numero del 5 marzo, precisando che l’atleta si sarebbe presto recato a Roma per iniziare una serie di allenamenti nel locale velodromo al Salario. Il 10 di aprile la neonata La Gazzetta dello Sport, filiazione de Il Ciclista e de La Tripletta, pubblicò una lista di quattro italiani partecipanti ai Giochi di Atene, tra cui anche Porciatti, iscritto alle gare dei 2000 e 10,000 metri su pista.

Le corse al Velodromo di Neo Phaliron

I Giochi Olimpici iniziarono il 6 di aprile. Per il ciclismo, il programma previde sei prove: la gara di inseguimento sul giro di pista (333 m.), la 2.000 m., la 10.000 m., la 100 km., la 12 ore su pista e la maratona su strada di 87 km. L’8 aprile, per la terza giornata, aprì le sue porte il Velodromo Olimpico, costruito sul modello di quello di Copenaghen, con una pista larga sette metri. Circa ventimila persone assistettero alla 100 km, che registrò 19 concorrenti ma non Porciatti, oramai specializzato nelle prove su pista. Il maremmano entrò in lizza il giorno 11. Riportiamo quanto scritto dal settimanale “Il Ciclista” nel numero del 16 aprile 1896: “Per la sesta giornata, l’attrattiva principale furono le corse ciclistiche di velocità al velodromo, a cui era iscritto anche il nostro corridore dilettante Porciatti di Grosseto. Esse furono vinte tutte dal corridore francese Masson.”

Si trattava dei 2000 metri, dei 10.000 e del Giro di pista. Il dubbio sulla effettiva partecipazione di Porciatti alle gare è risolto dal medaglione a lui dedicato, subito comparso su Il Ciclista del 23 aprile. Il medaglione, che presenta un ritratto a china dello sportivo, termina con le seguenti parole: “Egli si può dire, senza tema d’esagerare, il campione della Maremma, sicuri che se continuasse un serio allenamento potrebbe fra breve annoverarsi fra i migliori campioni italiani, riunendo in sé ogni buona qualità per riuscirvi. Prese parte in questi giorni alle corse ciclistiche di Atene, benché senza risultato."

Il conte Porciatti “prese parte” dunque a una o a tutte e due le gare, senza portarle a compimento. I dubbi avanzati da qualcuno (li scorgo oggi su Wikipedia e non ne capisco il motivo) riguardanti l'ipotesi che gli organizzatori gli abbiano impedito la partecipazione in quanto professionista, come all'Airoldi, sono azzerati dalla nota che la sua iscrizione era stata accettata a Parigi, prima di partire per la Grecia.

Vero è che Porciatti s’imbarcò su una nave dal Pireo per tornare in Italia, non sappiamo se subito dopo la fine delle gare o ritagliandosi una vacanza, come pare più logico. La figura del “turista-atleta” fu tipica di quelle Olimpiadi. Il giovedì del 4 di giugno, da un palco addobbato di tende multicolori, diede il via alle corse al nuovo Velodromo di Grosseto, appena costruito fuori Porta Vecchia. Partecipò alla prova di apertura sui 1000 metri, giungendo primo col tempo di un minuto e 50 secondi. Ad Atene, Paul Masson aveva vinto sulla distanza dei duemila metri nel tempo di 4’58”1/5, mentre il secondo arrivato, il greco Stamatios Nikolopoulos, aveva impiegato oltre 5’.

Dopo l’avventura di Atene, il conte Porciatti abbandonò l’agonismo sportivo, evitando di entrare in quel novero di professionisti della pista (Buni, Nuvolari, Bixio, Alaimo, Tomaselli, Cariolato, Lanfranchi, Pasini, Cantù, Pontecchi ecc.) che assursero a una discreta fama. Morì giovane, alla vigilia della Grande Guerra. Il suo unico figlio, Nicola, divenne un pezzo grosso della milizia fascista ad Anzio. I bombardamenti precedenti lo sbarco ad Anzio degli americani nel gennaio 1944 comportarono la distruzione della villa Porciatti e la perdita degli incartamenti relativi alla storia di famiglia; compreso ciò che rimaneva del conte Angelo e i preziosi souvenir riportati dall’avventura olimpica. Così almeno ci fu riferito otto anni or sono dalla signora Italia Porciatti, nipote del ciclista grossetano che gareggiò ai primi Giochi Olimpici.

 

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