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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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Storia / Svelato il mistero Rivabella, primo italiano ai Giochi Olimpici

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Mercoledì 3 Agosto 2016

di GIANFRANCO COLASANTE

La storia dell’olimpismo italiano inizia con una casualità e una delusione. La casualità del tiratore Rivabella e la delusione del maratoneta Airoldi. Tutto comincia ad Atene il 25 marzo del 1896, un lunedì. In tutto il resto del mondo cadeva il 6 aprile, ma i greci continuavano a contare il loro tempo secondo il calendario Giuliano. Per quell’avvenimento epocale, coincidente con le feste celebrative dell’indipendenza greca, una folla enorme s’era adunata sulle abbacinanti scalee del rifatto Panathinaikon di Licurgo, l’antico stadio che un mercante greco residente ad Alessandria, Georgios M. Averof, aveva riportato alla luce sborsando 585.mila dracme oro.

Il sogno del testardo barone Pierre de Coubertin [1863-1937] s’era realizzato e i Giochi Olimpici tornavano a celebrarsi nella terra dov’erano nati 2762 anni prima. Il primo atleta a laurearsi olimpionico “moderno” fu lo studente americano James B. Connolly che si impose nel salto triplo. L’ultimo vincitore (conosciuto) di Olimpia era stato il re armeno Varasdates, che aveva riportato la corona d’alloro del pugilato nell’anno 369 d.C., più di 1500 anni prima.

Il programma predisposto per quei primi Giochi moderni era articolato su 9 discipline, le più in voga all’epoca, 43 gare in tutto (a Rio saranno 306). Nessuna donna era presente. I vincitori, e solo loro, ricevevano una medaglia d’argentone e una corona di ulivo. L’annuncio delle rinnovate Olimpiadi non aveva suscitato alcuna eco in Italia, con l’opinione pubblica in quei giorni sconvolta dal disastro militare e dalla carneficina di Adua. I solerti organizzatori ateniesi l’invito-programma lo avevano diligentemente recapitato alla Reale Federazione Ginnastica, “sedente in Roma”, che si era limitata a riprodurlo sul proprio bollettino. Null’altro.

Il solo a recarsi in Grecia fu Carlo Airoldi, un tarchiato lombardo di 27 anni che intendeva correre la prima maratona moderna. Ma, in francescana povertà com’era, ad Atene aveva potuto recarsi solo … a piedi! Partito da Milano il 28 febbraio aveva coperto i 1338 chilometri del viaggio in 26 giorni, portando con sé solo un po’ di cibo, il passaporto e un coltello, utile a farsi coraggio nei solitari tratti della costa dalmata.

Se vogliamo, un’impresa che da sola valeva la medaglia olimpica. Ma i commissari greci, che alla vittoria nella maratona tenevano più d’ogni altra, temendone il valore, lo accusarono di professionismo e gli preclusero di prendere il via. Com’è noto la corsa la vinse il ventitreenne Spiridon Louis, un oscuro montanaro a lungo osannato come il greco più famoso del suo tempo. E lo restò a lungo, se è vero che ancora nel 1936 i tedeschi lo vollero ospite d’onore ai Giochi di Berlino.

Ma se la storia di Airoldi è ben nota, molto meno lo è quella di Giuseppe Rivabella, il solo italiano ammesso a gareggiare a quella prima edizione. Ne avevo parlato nel mio volume “La nascita del Movimento Olimpico in Italia” apparso nel 1996. Il nome di Rivabella, meglio il solo cognome, era riemerso già negli anni Ottanta per opera di uno storico svedese, Ture Widlund, che aveva consultato le poche carte salvatesi dall’incendio che aveva distrutto l’intero carteggio, rifacendosi a uno scritto di Vladis Gavrilidis, forse il più noto giornalista ed editore greco del tempo. Si sapeva che “l’italiano Rivabella” aveva gareggiato nel tiro a segno, prova con Fucile Militare a 200 metri, ma senza traccia del risultato o di altro.

Su Rivabella le nebbie del tempo s’erano diradate il 10 agosto 2004, quando Claudio Gregori, dopo lunghe ricerche d’archivio, le aveva proposte sulla Gazzetta dello Sport. Ha scritto Gregori: Continuando la ricerca era spuntato un carteggio tra Malvano, l'ambasciatore italiano ad Atene, Timoleon Philemon, segretario generale del Comitato ellenico dei Giochi, e la federazione ginnastica nazionale sull'invio di una squadra italiana. Tra quelle carte polverose, però, magicamente affiorò un documento straordinario. Un rapporto al ministero della Marina del capitano di fregata Pardini, comandante della Regia nave Curtatone, cannoniera in missione a Samos, per una vertenza tra un costruttore italiano, il governo dell’isola e la Sublime Porta (la Turchia). Il documento è datato 24 febbraio 1901. Il costruttore era l'ingegnere cav. Giuseppe Rivabella. Ma c'è di più: ‘L'ingegnere Cav. Giuseppe Rivabella, cittadino italiano, stabilito da circa 15 anni ad Atene, persona facoltosa e molto stimata, notissima in tutta la Grecia, ...’”

Prosegue Gregori bekka sua ricostruzione: “Dunque un Rivabella risiedeva ad Atene già da una decina di anni prima dei Giochi! Ecco perché non c'era traccia sui giornali italiani dell’iscrizione o della partenza di Rivabella per Atene: era già lì. Giuseppe Rivabella era un costruttore coraggioso. A Samos aveva assunto due commissioni: una, nell’aprile 1899, per la costruzione di 73 km di strada carrozzabile; l'altra nel marzo 1900 per la costruzione di un molo nel porto di Vathì. Lì lavorava con 200 operai, di cui 60 italiani. Il suo nome è rimasto a Samos nel ‘Ponte Trivabella’, tra Vathì e Karlovàssy, da lui costruito, ma anche nel linguaggio popolare: ‘una cosa trivabella’, oggi, è un affare di grande impegno (come poteva essere quella strada su un'isola allora fornita solo di mulattiere).”

“Rivabella faceva la spola tra Atene e i luoghi dei suoi lavori. Ad Atene abbiamo trovato tracce di Giuseppe Rivabella nella rivista degli architetti e degli ingegneri. Era un costruttore edile noto. Pochi mesi prima dell'Olimpiade risiedeva nella pensione Thisseion (Teseo) nel quartiere di Plaka. Tanassis Tarassouleas, storico e numismatico ateniese, autore di sette libri sui Giochi, è convinto che il caso Rivabella sia stato risolto. Dichiara: «Non era certo un atleta famoso, ma un uomo che amava la Grecia e lo sport, come altri in quei Giochi: per questo scese in gara». Tutto risolto? È possibile che questa possa essere la soluzione dell’enigma Rivabella oppure solo un passo ulteriore nella ricerca portata avanti da altri giornalisti e studiosi: Elio Trifari, Gianfranco Colasante, Ludovico Perricone, Vanni Loriga e, appunto, Tarassouleas. In realtà manca ancora una tessera: la prova certa che Giuseppe Rivabella gareggiò quel giorno.”

Conclude infine Gregori il suo racconto: “Forse esiste una foto di Albert Mayer, il tedesco che immortalò quei Giochi. Forse c'è una prova che dorme nella soffitta di qualche famiglia italiana. I documenti dell’ambasciata italiana in Grecia purtroppo andarono distrutti a Patrasso. Anche la ricerca delle radici di Rivabella è difficile. Nell’Ottocento i Rivabella in Italia erano poche decine, concentrati nelle province di Alessandria, Genova, Pavia. Eppure, scavando negli archivi dell'anagrafe, abbiamo trovato otto Giuseppe Rivabella, che, per età, avrebbero potuto essere lì ad Atene, quando la regina Olga con un colpo di fucile diede il via alle gare di tiro. C’è da divertirsi ancora. Anche perché gli italiani presenti a quei primi Giochi potrebbero essere più d’uno. Il giornale Amaltheia di Smirne – allora apparteneva alla Grecia – due giorni prima dell’inizio delle gare scrisse che erano presenti «17 atleti italiani». Rivabella scese in gara nel poligono di Kallithea il 27 marzo, secondo il calendario giuliano, in vigore in Grecia, l’8 aprile per quello gregoriano. Era uno degli 11 stranieri in lizza. Dei 160 iscritti solo 61 parteciparono. Conosciamo 39 nomi. Rivabella non fu tra i primi 12. Il suo piazzamento non si conosce. Non si sa quale arma usò. Gareggiò per due giorni. Poi si eclissò nel mistero. Fu il suo colpo migliore.”

Fin qui la ricostruzione di Gregori. Qualcosa in più l’ha aggiunta l’americano Bill Mallon (in collaborazione con Widlund) nel volume “The 1896 Olympic Games” [McFarland&Co,, 1998]. Alla gara, dominata dai greci, i possibili 160 tiratori vennero impegnati in 8 serie da 10 colpi, quattro per giorno. Essa si tenne nel poligono di tiro di Kallithea nelle giornate dell’8 e 9 aprile, appena conclusa l’inaugurazione dell’impianto, benedetto dal vescovo Kompothekras di Cefalonia, il cui clou fu il colpo di fucile (“a single shot from a rifle”) sparato dalla regina Olga, accompagnata dal Granduca George. Rivabella è citato tra i 42 tiratori di cui si conoscono i nomi e la nazionalità.

Secondo quanto mi ha raccontato Fausto Narducci, incontrato sulle scalee del Panatenaico in occasione dei Giochi del 2004, qualche giorno dopo l’uscita dell’articolo di Gregori, in redazione a Milano, si era presentato un signore qualificatosi come nipote di Rivabella. Commosso, aveva confermato sostanzialmente la storia, ma senza aggiungere particolari significativi. Precisò solo che suo nonno, rientrato in Italia, nel 1913 si sarebbe spento a Capri, isola che accoglie la sua tomba. Nulla di più.

La caccia a Rivabella poteva concludersi a quel momento. Pur con molti lati oscuri. Di per sé l’episodio è molto significativo per la nostra storia olimpica, perché accreditata una presenza italiana ai Giochi sin dall’edizione inaugurale, ben prima cioè che sorgessero comitati olimpici di varia natura e lo stesso CONI, costituito nel giugno 1908 dal conte Eugenio Brunetta d’Usseaux.

Ma c’è un ultimo capitolo, molto importante, che va scritto. E siamo ai giorni nostri. Giuseppe Barontini, un appassionato ricercatore genovese che ha compiuto – e compie – approfondite indagini sugli italiani ai Giochi Olimpici – atleti, ma anche dirigenti, allenatori, medici, giudici, ecc. – qualche settimana addietro mi ha cortesemente fatto avere alcuni documenti del suo archivio che svelano ulteriori dettagli su Rivabella. In particolare una copia del certificato di morte, decesso datato al 24 agosto 1919 e avvenuto nella “casa posta in via Tiberio” a Capri (probabilmente una casa di vacanze per proprietari benestanti).

Grazie alla perseveranza di Barontini che ha esteso le sue ricerche anche oltre, dalle poche righe trascritte dal registro dell’anagrafe caprese possiamo dedurre altre notizie inedite: che “l’ingegnere di stato civile” Giuseppe Rivabella era nato a Fubine – un paese in provincia di Alessandria –, risiedeva a Roma e al momento del decesso aveva 63 anni (quindi, nato presumibilmente nel 1856, era quarantenne all’epoca dei Giochi). Ma abbiamo anche un altro dettaglio che riporta in Grecia: il nome della moglie – Cleopatra Chelani – che, malgrado la grafia italiana, denuncia una trasparente origine ellenica.

Può bastare per affermare con certezza che Rivabella gareggiò nel tiro a segno ad Atene nel 1896? Non avremo mai un documento finale, ma se è vero che tre indizi fanno una prova, …

 

                                                  

 

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