Gagliardi
© www.sportolimpico.it / BiografieRosetta Gagliardi [1895-1973]
Tennis
(gfc) La prima ragazza italiana ad aver gareggiato ai Giochi Olimpici. Le foto seppiate della cerimonia d’apertura dei Giochi di Anversa la mostrano mentre sorregge a due mani un gagliardetto, sfilando alla destra di Nedo Nadi che inalbera la lunga e pesante asta col tricolore e che ben la sovrasta in altezza. Per l’occasione aveva indossato un leggero abito bianco a balze ricamate e un cappellino a casco d’un imprecisato colore scuro. Nota di civetteria: un sottile monile a stringere l’avambraccio destro e un orologio di foggia maschile al polso sinistro. La milanese Rosetta Gagliardi – unica donna in mezzo a 169 connazionali maschi – si misurò con coraggio nel torneo di tennis. Non proprio da sprovveduta se è vero che nel singolare arrivò al secondo turno e fece anche una apparizione in doppio misto in coppia con Cesare Colombo.
Risiedeva proprio nel coraggio la sua arma migliore. Almeno a stare il giudizio che di lei forniva il conte Alberto Bonacossa, suo primo tifoso il quale ne apprezzava le caratteristiche di gioco e la combattività: “Non tralascia mai di tentare di riprendere una palla impossibile, e la sua resistenza è incommensurabile; […] i suoi pallonetti sono diventati una istituzione”. Era il suo tipo di gioco: “la nostra tecnica era piuttosto approssimativa, io servivo di sotto, tagliato, e la mia arma più terribile era il pallonetto”, ricorderà molti anni dopo. Come tennista la giovane Rosetta era cresciuta proprio al “TC Milano” che Bonacossa aveva costruito a proprie spese dopo averne assunto la presidenza (l’impianto, 10 campi e una palazzina per gli uffici, venne inaugurato dal re Vittorio Emanuele il 12 aprile 1923).
E le sue doti le aveva affinate alla meglio in quel ristretto cenacolo del lawn-tennis che s’era andato raccogliendo attorno alla lunga e carismatica figura di Bonacossa, in un’epoca nella quale “si giocava senza maestri e ognuno inventava il suo tennis”. Tanto che quando il conte decise di organizzare il viaggio d’un gruppo di giocatori del circolo per partecipare ai primi Giochi del dopoguerra che de Coubertin aveva fortemente voluto che si svolgessero nel martoriato Belgio, parve naturale che di quella spedizione facessero parte anche le signore, almeno quelle che abitualmente frequentavano il club milanese. Ma a conti fatti era partita sola Rosetta che più di tutte pareva avere la determinazione giusta per uscire dal piccolo circuito internazionale le cui tasferte facevano tappa solo a St-Moritz e a Montecarlo. Scelta che ne fa, in compagnia di poche altre, una delle suffragette dello sport femminile italiano. Di certo, la prima italiana ad ever scelto di gareggiare ai Giochi.
È vero, ci voleva del coraggio a sfidare quella roccaforte maschile ch’era lo sport di quegli anni, con tutti i suoi pregiudizi, tanto più nel tennis dove era ancora più difficile emergere. Per una signorina era problematico anche abbigliarsi per giocare, con quell’imperativo che obbligava a non scoprirsi troppo. Per questo la “divina” Suzanne Lenglen alle signore consigliava “un semplice abito-camicia di tela, o di piqué bianco, stretto alla vita da un nastro o da una cintura; maniche corte, scarpe di tela bianca, turbante avvolto intorno al capo. Molto pratiche sono le visiere che riparrano gli occhi dal sole e tengono a posto i capelli”. Ma dopo la guerra già impazzava il charleston e i capelli si portavano “alla maschietta”: ora, come faceva notare il conte Bonacossa, erano “talmente corti da non disturbare soverchiamente il gioco delle nostre gentili signore”.
L’aria dello sport Rosetta l’aveva respirata in casa sin da bambina, dal momento che suo padre era un dirigente del ciclistico “Veloce Club Milano”. Niente bicicletta, ma pattinaggio a rotelle a partire dai dieci anni; poi, prima dei venti, il tennis e più tardi ancora il nuoto e la scherma. Sin dai primi approcci con la racchetta la ragazza aveva mostrato di possedere le doti giuste, sia fisiche che di carattere, pur se nella tecnica la sopranzano alcune altre, come la baronessina Bologna e la più giovane Giulia Perelli che ne diventerà inseparabile e fidata compagna di doppio (anche la Perelli avrebbe dovuto partire per il Belgio, ma all’ultimo minutò aveva rinunciato: si rifarà quattro anni dopo). Ad Anversa – dove il gruppeto dei tennisti alloggiò in albergo e non nel ritiro della “Casa degli Italiani” –, coccolata un po’ da tutti, la Gagliardi si farà apprezzare oltre le attese, tanto da far dire a Bonacossa: “è stata l’idolo della colonia italiana, ha stupito tutti per il suo gioco energico, per la difesa ad oltranza, per la capacità prodigiosa nei movimenti, per la grande tecnica di gara”.
Campionessa italiana di singolare dal 1919 al 1922, sconfitta l’anno seguente dall’amica Perelli, si riprende il titolo nel 1924, anno della sua seconda esperienza olimpica (In precedenza, il campionato italiano femminile di tennis si era disputato soltanto nel biennio 1913-14 ed entrambe le occasioni aveva prevalso la contessina fiorentina Rhoda de Bellegarde, in seguito “caduta vittima del dovere fra le corsie fredde di un ospedale del Veneto, dopo aver vestito nel corso di tre anni la bianca uniforme delle infermiere da campo”). Ormai ci ha preso gusto e si sente più matura. Così, a Colombes, Rosetta si sottopose ad un vero tour-de-force partecipando ai tornei di singolare, di doppio misto e di doppio femminile. Qui, in coppia con la fida Perelli, arrivò fino ai Quarti, sfiorando l’accesso alla Semifinale dopo aver perso il primo set più per sfortuna che per demeriti. Poi fu costretta a farsi da parte per l’irrompere sulla scena di Luisa Valerio [1905-1996], la nobildonna dal piglio d’acciaio che, senza riguardi verso le sue colleghe, dominerà il tennis femminile italiano fino alla metà degli anni Trenta.
Ma Rosetta non aveva mai del tutto rinunciato al pattinaggio, tanto da vincere – tra il 1912 e il ’22 – sei titoli italiani sulle rotelle. Aveva provato anche sul ghiaccio, sport che alla corte del conte Bonacossa era un vero culto, tanto da porre in serie difficoltà la stessa contessa Marisa, consorte del Bonacossa e sua buona amica, nel corso dei campionati 1921 tenutisi a Madesimo. Nel frattempo c’era stato l’incontro con il futuro marito, un giocatore neozelandese arrivato a Milano per studiare il bel canto: George S. Prouse. Più tardi, dopo aver fatto parte della C.T. per la Davis assieme a Mino Balbi, Lionelli de Minerbi e Aldo Tolusso, Prouse si sarebbe affermato tra i maggiori costruttori italiani di racchette. Dopo il matrimonio, nel 1932 Rosetta lasciò definitivame lo sport anche per la nascita del primogenito Johnny. Il quale ultimo, non potendosi esimere, inizierà presto a giocare, segnalandosi nelle categorie giovanili sia in Italia che in Inghilterra dov’era stato mandato a studiare, prima di lasciar perdere tutto per laurearsi in ingegneria.
La “prima donna” dello sport olimpico italiano si è spenta in Svizzera all’età di 78 anni.
(revisione: 18 febbraio 2015)
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