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I sentieri di Cimbricus / C'erano una volta gli Europei

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Venerdì 12 Agosto 2022


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Erano il secondo appuntamento dopo l’Olimpiade e dei Giochi avevano la cadenza. Presentavano la forza d’urto dei paesi socialisti, la vitalità del blocco occidentale, i palpiti del Nord. Oggi tutto questo è un ricordo, anche se non mancano spunti.


Giorgio Cimbrico 

La parola che viene pronunciata più spesso è declino: gli Europei erano il secondo appuntamento dopo l’Olimpiade e dei Giochi avevano la stessa cadenza. Presentavano la forza d’urto dei paesi socialisti, la vitalità del blocco occidentale, i palpiti del Nord. Proprio i Giochi del ’72 coincisero con una dimostrazione di potere, non solo in quella riserva di caccia che per l’Est erano le prove femminili. La doppietta 100/200 di Valeri Borzov (con la prima medaglia importante di Pietro Mennea) rimane un simbolo. 

Oggi la distanza tra l’Europa e il resto del mondo è, specie in pista, netta, in certi casi molto larga. Ma quel che sta prendere il via il giorno di Ferragosto ha ancora temi e momenti interessanti, in certi casi assoluti. Non resta che sceglierne alcuni.  

Armand – L’atletica europea ha un sovrano d’importazione: Armand Duplantis, 50 volte oltre i 6 metri, padrone assoluto con il fresco 6.21 di Eugene, è nato e cresciuto in Louisiana, svedese grazie a un’intuizione – e a un certo orgoglio delle origini – di mamma Theresa. Armand, che proprio a un Europeo esplose (6.05 non ancora 19.enne, a Berlino 2018) è quello giusto per provare un volo su quanto accadrà all’Olympiastadion di Monaco di Baviera, costruito per i Giochi di cinquant’anni fa e “casa” della rassegna continentale, molto piovosa, di vent’anni or sono. 

Jakob – L’assalto alla doppietta bis. Impadronirsi dei titoli dei 1500 e dei 5000 è un’impresa concessa a pochi: alle Olimpiadi ci sono riusciti solo Paavo Nurmi e Hicham el Guerrouj, ai Mondiali Bernard Lagat. Agli Europei di Berlino 2018, il norvegese Jakob Ingebrigtsen ce l’ha fatta nell’arco di ventiquattro ore quando era ancora minorenne. Jakob, che ha dimostrato di poter battagliare con gli africani e spesso batterli, ci riprova, dopo aver assorbito con una certa irritazione la sconfitta di Eugene sui 1500 ad opera dello scozzese Jake Wightman che a Monaco di Baviera ha optato per gli 800. 

Femke – L’instancabile orange. A chi osserva la sua corsa in piena decontrazione, Femke Bol suggerisce l’idea che la fatica e gli affanni non la scalfiscano. Terza di sempre dopo le americane Sydney McLaughlin e Dalilah Muhammad sui 400H, la 22.enne di Amersfoort ha deciso di inoltrarsi sul doppio sentiero degli ostacoli e dei 400 piani (ha appena corso in 49”75, quarta al mondo quest’anno) per quella che sarebbe una “prima” assoluta. Per finire, una solida mano alla 4x400 dell’Olanda. Dall’Olympiastadion potrebbe uscire con tre titoli. Una Fanny Blankers Koen del XXI secolo. 

Cristjan – In pericolo il record più vecchio. Il discobolo Cristjan Ceh, colosso sloveno (2,06 per 125) che dall’aspetto di Clark Kent che sta per trasformarsi in Superman, ha sistemato la sua media di rendimento tra i 70 e i 71 metri. In casi del genere, il picco può venire da un momento all’altro e significherebbe l’abbattimento del più vecchio record mondiale, il 74.06 di Jürgen Schult, ormai oltre il promontorio dei 36 anni. Per qualità, il disco è la miglior gara degli Europei: gli svedesi Daniel Stahl e Simon Pettersson, primo e secondo a Tokyo, i lituani Andrius Gudzius e Mykolas Alekna (figlio del grande Virgilius e a 20 anni già a ridosso dei 70 metri), l’austriaco Lukas Weisshaidinger. Dello stesso livello, l’altro feudo che resta all’Europa, il martello: i polacchi Wojciech Novicki e Pavel Fajdek, il norvegese Elvind Henriksen e il francese Quentin Bigot garantiscono, come a Eugene, una devastazione del prato oltre la linea degli 80 metri.  

Karsten – Il ritorno del vichingo. Dopo la resa in finale, quando il nono ostacolo è diventato una barriera invalicabile confermando che anche un guerriero deve arrendersi ai postumi di un grave infortunio muscolare, Karsten Warholm riporta le sue urla e i suoi schiaffoni autoinflitti sui blocchi dei 400H. Più che i progressi del francese Happio, lo tormenta un dubbio: “Tornerò quello di Tokyo?”  

Deutschland – Germania anno zero. Il paese che un tempo era la guida del continente rischia di uscire da un campionato casalingo con un raccolto misero. Il Covid ha tagliato le gambe e le chances di Malaika Mihambo, la lunghista che a Eugene ha permesso a Deutschland di entrare tra le nazioni con almeno un successo. Con Malaika in condizioni fievoli, arduo pronosticare dove i tedeschi – in ribasso persino nell’amato “giardino” del giavellotto – possano metter le mani su qualcosa di rilevante.  

 

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