Duribanchi / L'ultima versione del gioco delle tre carte
Martedì 13 Ottobre 2020
E invece, per essere veramente grandi, bisogna amare il proprio lavoro. Bisogna concedere e concedersi. Bisogna saper imparare dalle sconfitte. Con dedizione (anche le sconfitte necessitano di dedizione) e umiltà.
Andrea Bosco
Saper invecchiare. Richard Steele sosteneva che “sono pochi quelli che sanno invecchiare con grazia”. Mentre il virus gaglioffo torna a fare paura, mentre i comportamenti irresponsabili di giovani e vecchi portano il governo (che, meglio di quanto non abbia fatto, avrebbe dovuto vigilare) ad ipotizzare (giustamente) nuove chiusure, fuggendo dalle quotidiane miserie il marinaio stanco di acqua, correnti e vento sferzante, celebra qui quelli che invecchiando dimostrano, nello sport, di saper dare il meglio.
Come Rafa Nadal che vince a Parigi piegando il numero uno in carica Nole e raggiungendo l’irraggiungibile (non conta soltanto vincere ma anche la “grazia” con la quale vinci) Roger Federer. Come Le Bron James l’uomo bionico che con i Lakers si è messo al dito un nuovo anello, piegando la resistenza di Miami. Come Lewis Hamilton che avrà a disposizione anche una astronave, ma che in pista da anni si sta dimostrando il migliore. In Germania ha eguagliato il record di Schumi, l’uomo che più di ogni altro pilota è rimasto nel cuore dei tifosi della Ferrari.
Ultra-trentenni che sanno offrire al mondo (e a sé stessi) ancora il meglio. Nel segno della professionalità. Per essere veramente grandi bisogna amare il proprio lavoro. Bisogna concedere e concedersi. Bisogna saper imparare dalle sconfitte. Con dedizione (anche le sconfitte necessitano di dedizione) e umiltà.
Una domenica da sogno mentre nel basket nazionale crolla il fattore campo per mancanza di spettatori. Mentre Ettore Messina con l’Olimpia imbattuta da inizio stagione ha raccontato quale emozione sia per lui sedere sulla panca che fu di Casalini, Dan Peterson ma soprattutto di Cesare Rubini: uno speciale. Non così speciale per Milano seconda patria del “Principe”, visto che non c’è traccia di impianto sportivo, in città, a lui dedicato. Forse perché l’indimenticabile omone, ai giornalisti che lo accusavano di manipolare il pianeta basket, disse ironicamente, un giorno: “chiamatemi padrino”. La Milano di Beppe Sala, è noto, risulta sensibile al politicamente corretto. Persino in casi come questo. A proposito, sindaco: ma gli imbrattatori della statua di Indro Montanelli? Notizie? Lenta la giustizia a volte: molto lenta. Ha poi spiegato Messina che la “salute deve venire prima di ogni altra cosa”. Banale, ma di questi tempi, terribilmente vero.
Sul tema potrebbe scrivere una enciclopedia, Gianluca Vialli. Che intervistato da Walter Veltroni al Festival dello Sport organizzato dalla rosea a Milano, allo Strehler ha raccontato: “Non ho mai considerato il tumore come una battaglia: è meglio tenerselo amico. Lo voglio fare stancare. La vita per il dieci per cento è quello che ti accade e per il novanta, quello che produci con intelligenza e passione”.
Da scolpire nella pietra. Parole di un uomo. Uno che nella lista di Sciascia sarebbe al primo posto. In settimana c’è chi si è impadronito dell’ultima piazza presente nell’immortale “Il giorno della civetta”. Protervo e sguaiato: il marinaio decisamente apprezza l’imitazione del comico genovese. Piuttosto che l’imitazione dell’imitazione che di sé stesso ne fa l’originale.
Mentre sta girando l’ultima versione (aggiornata) del “gioco delle tre carte”, il calcio ha mandato in scena dopo la “non disputata” Juventus-Napoli uno spot tafazziano. Farsi del male: comunque e sempre. Messaggino (a latere) per il presidente federale Gravina: in Premier stanno lavorando per ridurre il numero dei club partecipanti a 18 (in italiano: diciotto).
È il meglio che il villaggio al momento può offrire. Assieme a Giulio Deangeli venticinquenne di Esta che in novanta giorni ha conseguito tre lauree e continua a studiare per riuscire a curare l’Alzhaimer e la Sla. Che gli dei benedicano la sua ricerca.
Il resto è petrolio: nel senso pasoliniano del termine. Neppure serve discuterne: basta riportare i titoli dei quotidiani. La miseria che alberga in ognuno di noi sbattuta in prima pagina. Inutilmente. La storia continua impietosamente a ripetersi. E si ripeterà. Forse aveva ragione Schopenhauer a spiegare che la Natura se ne “sbatte” degli individui. Ogni giorno migliaia ne stermina e altrettanti ne fa nascere. Fosse tra noi, chissà, forse Schopenhauer sarebbe costretto a rivedere i conti.
Appunti del marinaio. Verso lo stop feste e calcetto (anche il basket al campetto a dire il vero). La piazza mezza vuota dei negazionisti. Under 18: pillola dei 5 giorni dopo senza ricetta. Gravidanze raddoppiate tra le under 15: effetto del lockdown (come è stato possibile? Situazioni di disagio-eufemismo-famigliare. Bruciati 23 anni di Pil: industriali contro Conte. Addio al Columbus Day: abolita la storia negli USA (a causa del Covid 19? No: perché Colombo è stato un colonialista di emme, assassino di indiani. Ormai va così). Trump contro il “virus cinese”: i suoi fans senza mascherina. Cardinal Ruini: “la Chiesa italiana è in declino”. Questa è da restare basiti.
Ideona di Patricia Viel architetto franco-italiano cofondatrice dello studio Citterio che tra le tante cose ha firmato anche il Ponte di Expo, Gioia 20, la Torre di A23 e Symbiosis. Ha spiegato al Corriere della Sera l’architetto (o architetta? non si sa mai) di sognare una città (Milano) tutta o quasi di “zone 30”. E all’interno della Cerchia dei Navigli “velocità massima di 15 km e divieto per le auto private di sostare per più di quindici minuti”. Quindi metti la “prima” (in seconda non riesci ad arrivare) e immediatamente parcheggi. Ma per non più di quindici minuti. Difficile commentare. Chi non usa (di questi tempi soprattutto) i mezzi pubblici? Chi non va in bicicletta? Chi reputa che l’introduzione dei monopattini elettrici (in assenza di regole) sia stato un atto irresponsabile? Le auto no e gli scooter e le moto, sì? E le auto elettriche? Farsene una ragione: caval di san Francesco.
Sono state pubblicate, curate da Maria Vita Romeo, le opere complete di Blaise Pascal. Scriveva il celebre pensatore: “L’uomo non è che una canna, la più debole della natura: ma è una canna che pensa”. Non tutte Blaise: non tutte “pensano”. Tante, troppe (“canne”) più che pensare, continuano a farsi “fumare”. Lo spiega Adolfo Scotto Di Luzio in un bel saggio (Einaudi) dall’impossibile titolo: “Nel groviglio degli anni Ottanta. Politica e illusioni di una generazione nata troppo tardi”. Il marinaio reputa che nel “groviglio” possa essere rimasto “impigliato” anche il curatore della collana (ma che titolo è?). Ma considera esemplare lo studio di Scotto Di Luzio. Le avanguardie giovanili nate nel ‘68 avevano una forte spinta ideale. Essendo per lo più elitarie erano destinate (come accaduto) al fallimento, oltre che a pericolose (come accaduto) violente deviazioni. L’anno “mirabile” fu caratterizzato dal mito dell’impegno politico rivoluzionario. Castro, Che Guevara, Mao. Due dittatori: spietati nel nome del “popolo”. E un guerrigliero imprigionato dalla pop art, destinato a diventare gadget commerciale.
Allora, prima di capire (chi lo comprese) che l’utopia non era destinata al “potere”, la spinta ideale era autentica: forte e innocente. Le “canne” degli anni Ottanta riverniciarono solo gli slogan del passato. Cercarono di emulare quell’anno di cui avevano sentito solo “raccontare”. Le varie Pantere di quella stagione (al pari delle Lotte immancabilmente “continue” ed “operaie” di quella precedente) avevano una identità anti-borghese e sovversiva. Ostile all’industrialismo e ad ogni forma di profitto. Oggi nessuno oserebbe (a parte qualche nostalgico del presunto idilliaco tempo perduto) chiamarsi “comunista”. Oggi va di moda un ambientalismo dispotico. Come quello che ha portato a piazzare deturpanti pale eoliche nel Sud dell’Italia.
Il marinaio per mare sfrutta il “sacco” di Eolo. Ma per terra ama ascoltare il rombo del motore. Il marinaio ama Marinetti e venera De Pero.
Ci vorrebbe moderazione. Perché, come sosteneva Confucio, “chi si modera, di rado si pente”. Spiega sempre Scotto Di Luzio che il Sessantotto nasce dalla modernizzazione e dallo sviluppo economico degli anni Cinquanta e Sessanta. Nasce (in nuce) nelle camerette dei bambini e dei ragazzini “di tipo nuovo” che per la prima volta, nel segno di un Paese che si stava evolvendo, potevano disporre di uno spazio “tutto loro”. Non ditelo agli ex-sessantottini, a quelli che erano a Parigi nei trenta giorni di quell’indimenticabile maggio: sempre secondo Scotto Di Luzio la libertà del pensiero (prima adolescenziale e poi giovanile) nasce dalla reinvenzione del giocattolo. Il vero antenato del Sessantotto – sempre secondo Scotto – potrebbe essere stato il diffusissimo pupazzo “Cicciobello”. Meglio non dirlo: potrebbe, per molti ultra settantenni, essere un dramma.
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