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Italian Graffiti / Impreparazione e incompetenza: come se ne esce?

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Giovedì 21 Maggio 2020

 

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Se si può credere che “nulla sarà più come prima” dopo la pandemia, quando e semmai si allontanerà dal Bel Paese, ci si chiede come saprà reagire a questa emergenza il comparto sportivo.

Gianfranco Colasante

In questi giorni sui giornali si è attivato un (educato e un po’ elitario) dibattito a più voci sulla necessità di ricostituire il “capitale umano” della nazione, già deficitario e che pare ora dissoltosi non soltanto per colpa del Covid-19. Certo, non si può negare che la cosiddetta classe dirigente, proprio sotto i colpi della pandemia, ha sciorinato una paurosa inconsistenza e litigiosità. Tanto da favorire, se non giustificare, l’intervento ossessivo dello Stato che – in diatriba perenne con le Regioni – reagisce a colpi di decreti col risultato di accrescere a dismisura il debito pubblico senza alleviare il disagio comune. Come se ne può uscire?


“Si tornerà a crescere solo se si rilanceranno investimenti, competenze, merito, concorrenza”, ha scritto Ferruccio De Bortoli che per primo aveva lanciato la pietra. Ecco le parole magiche: competenze e merito. Dove erano finite?

Così, se l’attuale direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, ritiene che manchino “governanti seri e razionali” per porre rimedio a questa situazione, al richiamo della visibilità non ha resistito neppure Luca di Montezemolo che, lapidario, ha sentenziato: “impreparazione e incompetenza hanno già fatto disastri in Italia in periodi tutto sommato normali, oggi rischiano di affondarci in pochissimo tempo”. Detto da lui, si può crederlo, tanto più che resta senza risposta la domanda: “ma come è potuto accadere che cadessimo tanto in basso?”.

Tutto ciò premesso, mi chiedo se in questa variegata categoria della “impreparazione e incompetenza” possano rientrare quanti oggi – per avventura o semplice casualità – sono nella condizione di dirigere (si far per dire) l’intero comparto sportivo determinandone le sorti e gli indirizzi. Visti i risultati, a spanne direi che ne hanno pieno diritto. Nessuno escluso, ad evitare che qualcuno se la prenda a male. Per conferma basta rifarsi alle vicende del calcio che in questi mesi hanno assorbito del tutto l’interesse mediatico (un po’ meno, molto meno, quello dell’opinione pubblica), riducendo la faccenda ad un duello rusticano a distanza tra il ministro Spadafora e il presidente Gravina. Nel silenzio eloquente e sconfortante del “palazzo”. Per prudenza o per mancanza di competenza? Chissà.

Non sappiamo, ma qui arriviamo al nocciolo della questione. Se si può credere che “nulla sarà più come prima” dopo la pandemia, quando e semmai si allontanerà dal Bel Paese, ci si chiede come saprà reagire a questa emergenza l'universo sportivo e soprattutto se saprà cogliere l’occasione per cambiare qualcosa in corsa. Per aprire le finestre, come si diceva una volta, e far cambiare l’aria. Da quel che si vede, e con gli uomini in campo, pare poco meno che una speranza. E’ noto che il CONI e le Federazioni hanno chiuso i battenti dagli inizi di marzo. E per quanto riesce (faticosamente) a filtrare al di sopra dell’ermetismo della comunicazione istituzionale, potrebbero riaprirli a metà giugno, con una ipotesi neppure tanto azzardata di protrarre la serrata addirittura fino al 20 settembre. Da quattro a sette mesi di fermo pressoché totale. Nel silenzio. Come si potrà ripartire, anche alle viste dell’anomalia di un anno olimpico dispari?

Strappato ormai in maniera definitiva il legame che storicamente univa il Comitato Olimpico alle Federazioni riconosciute (altro argomento di riflessione, a proposito di competenze), ognuno va per conto suo, perseguendo i propri interessi, per lo più economici. Tanto che la parte più dinamica – e con le idee più chiare – va oggi identificata negli Enti di Promozione in lotta tra loro, ma in stretta e produttiva alleanza con i proprietari e i gestori di palestre, piscine, centri estetici. Secondo i dettati governativi dello “Sport e Salute”, in una improbabile commistione che alla lunga finirà con assorbire risorse pubbliche senza produrre risultati apprezzabili per la comunità "sportiva". Senza poi voler tenere conto che il prossimo governo – qualunque prossimo governo, bene inteso –, visto che a decidere è ormai la politica e che ad occuparsi di sport produce visibilità e anche possibile consenso, vorrà dire la sua avviando l’ennesima “riforma”. Ci sono già le premesse e le minacce. Pur con gli inevitabili nuovi danni.

Toccherebbe quindi al CONI – inteso come istituzione e rappresentante nazionale del CIO – dire chiaramente la sua, sciorinare i suoi progetti, definire le sue scadenze e indicare i suoi traguardi. Ma qui ci chiede: con quale volontà e soprattutto con quale “materiale umano” si potrà avviare – non dico quella necessaria riscrittura delle regole che definisca e difenda i confini dello sport agonistico rispetto a “tutto il resto” – ma almeno un modesto restauro? Una “romanella” senza pretese. Ma vedrete che alla fine, passato (forse) il Covid, le finestre del “palazzo” resteranno caparbiamente chiuse. E con la polvere sui vetri. Possiamo scommetterci. (foto tratta da FB).

 

 

 

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