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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

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Italian Graffiti / Nulla sara' come prima (almeno speriamo)

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Domenica 15 Marzo 2020

 

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A parlare di sport al tempo del Coronavirus ci si sente un po’ come Charlie Brown che dialoga con Snoopy. Ma la devastazione che si sta abbattendo sul Paese potrebbe rivelarsi anche un’opportunità. A saperlo interpretare.

Gianfranco Colasante

Al tempo del nuova peste, la merce più contrabbandata si trova sul banco degli aforismi. Sciolti e a mazzetti. Scopiazzati senza pudore dai prontuari delle “frasi celebri”: da Churchill (con la sua ora più buia) a Darwin (adattando la specie a virus). Devo però dire che in questo mercato delle pulci della “cultura” a buon mercato, tra le tante mi ha colpito una frase scelta da Giulio Tremonti, uno che pare aver risolto a suo vantaggio l’eterna equazione tra politica ed economia. Pur con non poche macerie lasciatesi alle spalle, come la creazione di quella “CONI Servizi”, già mostriciattolo di suo alla nascita, oggi abortita in un indefinibile “Sport e Salute”. Che non è, badate bene, il cortese augurio per uno starnuto, ma la frontiera avanzata dello sport prossimo venturo.

Dunque, afferma oggi Tremonti sul Corriere della Sera, che per uscire dalla crisi innescata dal Coronavirus, l’aforisma giusto sarebbe: “fermati e aspetta che la tua anima ti raggiunga”. Corretto e in buona misura profetico e condivisibile. Non so da dove Tremonti abbia tratto questa frase. Ma mi è parsa perfetta per fotografare l’universo sport del nostro tempo o quel che ne rimane. Un ambiente che da almeno due decenni ha smarrito la propria anima per percorrere sentieri più produttivi, mescolando in uno stesso calderone da apprendisti stregoni agonismo con spettacolo, salutismo con intrattenimento, volontariato con prebende. L’esempio del calcio con la sua montagna di debiti – e con quanto di penoso i suoi maggiorenti hanno squadernato in questi giorni –, è al riguardo perfettamente calzante e voluto.

Intendiamoci. A parlare di sport in queste circostanze – un periodo che durerà molto a lungo – ci si vergogna quasi. Ci si sente un po’ Charlie Brown che dialoga con Snoopy. Nei giorni scorsi mi è capitato di ascoltare un inedito Giovanni Malagò ospite del salotto televisivo di Barbara Palombelli. Un’occasione per dire qualcosa in linea con il dramma del momento, guardare al presente e provare ad immaginare un futuro più razionale e meno cupo. Niente. La sola cosa venuta in mente al presidente del CONI sono stati i tweet di Arianna Fontana che, impossibilitata a gareggiare, prometteva di tornare più forte l’anno venturo. Gli altri in studio, hanno ascoltato, annuito e cambiato argomento.

Di certo, quando la pandemia sarà passata (o, a sua volta, sarà andata in quarantena), nulla potrebbe essere più come prima. Con effetti che molto somiglieranno a una disastrosa guerra perduta. Ci vorranno molti mesi, forse tutto l’anno ex-olimpico (martedì, a Losanna, il CIO ci dirà se la fiaccola di Tokyo si spegnerà o andrà in frigorifero), perché si possa iniziare a fare la conta dei danni e ipotizzare una prima ricostruzione. Anzi, come auspicabile, una riconversione totale: di abitudini, di stili di vita, di comportamenti, di priorità. Difficile dire se oggi disponiamo di una classe politica e imprenditoriale capace di indirizzare e guidare questo cambiamento.

Nel nostro piccolo, spazzato via il cosiddetto “modello” italiano (che nella realtà non è mai esistito), anche l’organizzazione sportiva dovrà fare i conti con realtà impensabili solo qualche mese addietro, rivedere il suo ruolo e reinventare i suoi obiettivi. Come non ha saputo o voluto fare negli ultimi venti/trent’anni. Se ne sarà capace, lo vedremo a suo tempo. Intanto nel Palazzo (quello del Foro Italico) tutto tace. Nessuna direttiva, lo sport olimpico procede in ordine sparso, tra cancellazioni e rimpianti. Andata da tempo in frantumi l’unità federale, più formale che sostanziale, ognuno pare pensare alla propria bottega o al proprio supermarket. Nessuna notizia anche dalla nuova direzione di “Sport e Salute”, da qualche giorno affidata al Vito Cozzoli, un funzionario trasmigrato dal MISE che avrà il suo da fare per raccapezzarsi tra i fulminanti ordini di servizio del suo predecessore.

A farsi avanti per ora solo due Enti di promozione: con una lettera aperta l'UISP, con una inserzione a pagamento l’ASI. Guarda caso due strutture che proprio in sintonia tra loro non sono e con idee diverse per fronteggiare la crisi, ma che alle istituzioni sollecitano entrambe rapide provvidenze. Il silenzio lo ha rotto anche l’ANIF – sigla che sta per Associazione Nazionale Impianti sport & Fitness – che si rivolge a ministeri diversi chiedendo sostegno e interventi legislativi dopo la chiusura di palestre e piscine decretata lo scorso 23 febbraio. Forte, come precisa in un appello, di “venti milioni di praticanti, 100.000 strutture sportive, 100.000 associazioni sportive dilettantistiche e società sportive dilettantistiche” (praticamente tutto lo sport italiano e di più). Paventando il rischio di dover chiudere tutto per non riaprire più.

Scenari inediti e, se vogliamo, un po’ inquietanti. Che sollecitano proprio quello che più sembra mancare nella nostra struttura sportiva: la separazione dei ruoli tra sport di base (ricreativo e salutistico) e sport olimpico. Ciò detto, continuo a credere (a sperare?) che nulla sarà più come prima dopo che il virus avrà devastato il Paese. Anche se non se sono del tutto sicuro. Non per nulla, viene in mente che abbiamo sbarrato chiese e stadi, ma lasciate aperte le porte della Borsa (dove trepidano, guarda caso, anche tre società di calcio, …).

 

 

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