Italian Graffiti / Camicie nere e maglie azzurre
Lunedì 19 Novembre 2018
"Neanche il fascismo, ..." dice il presidente del CONI. Dovremmo scusarlo perchè non conosce quello di cui parla.
di Gianfranco Colasante
E Giovanni (Malagò) restò solo. Di ritorno da Palazzo Chigi. Non so se è corretto sintetizzare così le vicende ultime innescate dalla annunciata riforma Giorgetti, ma il sospetto è forte. Almeno questo suggerirebbe la latitanza dal CN del 15 novembre scorso delle personalità federali di maggior peso. Chi è che aveva cose più importanti da fare? Presto detto: Gravina (calcio), Cattaneo (volley), Petrucci (basket), Barelli (nuoto), Binaghi (tennis), Gavazzi (rugby); anche Di Rocco (ciclismo) ha dovuto lasciare presto la riunione per motivi personali. Così, quella che doveva essere una chiamata alle armi - anzi "ai materassi" come dicono in Sicilia - contro il decreto di riforma si è risolta in una dolorosa presa d'atto. Ma tutto questo è nelle cose e nell'indole dei nostri compatrioti, senza voler per questo scomodare il mio concittadino Flaiano. Reazioni? Ecco spuntare il fascismo, neanche se ne sentisse la mancanza, e gli epiteti di fascista.
Sport e fascismo. Il presidente del CONI e segretario del PNF Achille Starace, assieme ai gerarchi presidenti di federazioni, impegnato allo Stadio dei Marmi nel salto del cerchio di fuoco.
Una riforma, quella annunciata da Giorgetti che, colta nel modo giusto, potrebbe anche offrire una opportunità di rilancio allo sport olimpico, cancellando quello stonato "mi devo occupare di 387 discipline sportive ..." che sullo stesso tavolo mette i due miliardi di debiti del calcio di Serie A e, tanto per dire, il gioco della dama a 128 caselle! E invece, guardando al dito più che alla luna, lo stizzito presidente del CONI non ha saputo resistere alla tentazione di evocare il ventennio nero, una coperta oggi di moda per nascondere errori e coprire inconsistenze. "Il fascismo - ha detto il buon Malagò - pur non essendo elastico [sic!] nel consentire a tutti di esprimere opinioni, aveva rispettato quella che era stata la storia del CONI dall'epoca della sua fondazione". Sbagliato. Molto sbagliato. Forse occorrerebbe conoscere meglio la storia e le storie, e sfogliare qualche libro, in specie quelli di famiglia.
Io non so proprio chi consiglia Malagò o gli suggerisce le uscite, ma quest'ultima ha proprio l'aria dell'autogol e per di più con un retrogusto amaro. Un po' come continuare a ripetere che il Comitato Olimpico si sarebbe costituito nel 1914, solo perchè faceva comodo celebrare in diretta TV un centenario fittizio. Qualcuno dovrebbe spiegare al presidente pro-tempore che il fascismo ha rispettato talmente la storia del CONI (che allora aveva sede in due stanzette d'un appartamento di Milano, sito al n. 45 di via Torino, e a Roma in uno scantinato di Vicolo Sciarra), da inglobarlo semplicemente nella sua struttura distribuendo a piene mani dolore e ingiustizie. E senza neppure ricorrere a un decreto legge. Ma semplicemente trascrivendolo in un "Foglio d'Ordini".
In quello emanato il 2 marzo 1927 all'art. 1 si leggeva (e si legge ancora per chi ha voglia di documentarsi) quanto segue: "Allo scopo di coordinare e promuovere le libere attività nazionali nel campo dell'educazione fisica e sportiva e di inquadrarle nel complesso di istituti antichi e nuovi del Regime Fascista, è istituito [altro sic!] il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) Federazione delle Federazioni Sportive Nazionali". E via di conseguenza.
Conseguenza che, in linea con l'enunciato, all'art. 3 recitava: "Il presidente del CONI è nominato dal Capo del Governo su proposta del Segretario Generale del Partito Nazionale Fascista". E ancora, per completezza, all'art. 9: "I presidenti delle Federazioni sono nominati dal Capo del Governo su proposta del Segretario Generale del Partito Nazionale Fascista". Se questo è rispetto per chi c'era, ...
Concetti lapidari (come si diceva allora) puntualmente confermati negli statuti del PNF emanati nel 1929 e nel 1938 dove il CONI figura tra gli istituti di stretta osservanza fascista, e neppure in prima fila, visto che lo si trova elencato ben dopo l'Associazione fascita dei Ferrovieri, l'Associazione fascista dei postelegrafonici, l'Unione nazionale degli ufficiali in congedo. Questo per dire quanta considerazione e rispetto avesse il fascismo per il nostro benedetto Comitato Olimpico alla cui presidenza nominò gerarchi sempre meno rappresentativi: partendo da Augusto Turati - firmatario della riforma del '29 - a Leandro Arpinati a Starace, via via fino all'oscuro Manganiello, autore della legge del '42 prima che i partigiani piemontesi lo passassero per le armi.
Ma, a proposito di fascismo, ci sono altri aspetti che varrebbe la pena di non dimenticare. Come la sistematica espulsone dal vertice delle federazioni degli uomini che le avevano costituite e potenziate semplicemente perchè non erano fascisti. Via via spazzati, senza neppure ricorrere al "Foglio d'Ordine", ma al meno significativo "Foglio di Disposizioni". Sotto la mannaia del "rispetto" ne caddero a decine. Il primo fu il mecenate bolognese Alberto Buriani che aveva costruito a Bologna il Ravone, primo campo per calcio, atletica e tennis. Ma vennero allontanate anche figure di maggior notorietà, come il generale Carlo Montù, l'uomo che aveva ricostituito il CONI all'indomani della Grande Guerra e aveva promosso la partecipazione italiana ai Giochi del 1920 lanciando una colletta popolare. Montù, che de Coubertin aveva voluto nel CIO, fu costretto a farsi da parte per cedere il posto al seniore della Milizia Giorgio Vaccaro.
Figura in orbace, quella di Vaccaro, che almeno Malagò dovrebbe conoscere perchè - assieme alla segreteria e alla cassa del CONI, alla presidenza della federcalcio, al seggio del CIO sottratto a Montù, volle ed ottenne anche la presidenza del Reale Circolo Aniene. E, faccenda ancora più disdicevole, fu il solerte esecutore dell'applicazione allo sport delle leggi razziali stabilite dal CN del CONI - presidente Achille Starace (anche lui fucilato dai partigiani) - convocato a Palazzo Vidoni nel dicembre 1938. In forza di quel dettato fascista vennero espulsi dalle società sportive tutti gli atleti e i dirigenti di religione ebraica. Con non pochi, più sfortunati di altri, che "passarono per il camino", come capitò al ginnasta savonese Paolo Salvi, due medaglie d'oro ai Giochi Olimpici, o al professor Raffaele Jaffe, illuminato pioniere del calcio italiano.
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