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Italian Graffiti / Calcio e diritti TV: ma chi ce lo ha fatto fare?

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Giovedì 24 Maggio 2018


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Mentre si allungano i tempi per disegnare il Calcio del futuro, sta per insediarsi il nuovo Governo del cambiamento.

di Gianfranco Colasante


Qualche settimana fa, intervistato da Walter Veltroni - che, lasciata la politica, ora fa articoli per il Corriere dello Sport - Giovanni Malagò ha disegnato il suo pensiero sul CONI, sulle sue competenze e sullo sport nazionale. Dopo aver reso omaggio al "sistema sportivo italiano" (quello che una volta viveva di volontariato, ora di stipendi), lo ha definito "unico al mondo". Si può essere d'accordo senz'altro con lui, almeno nell'assunto, un po' meno nei contenuti, visto che al vertice si colloca il più ricco Comitato Olimpico della terra (con bilancio quasi doppio di quello USA il quale, per di più, vive di esclusivi contributi privati) e, soprattutto, il solo dove persiste uno "sport di Stato" di stretta osservanza, considerato l'inestricabile e condizionante legame con le strutture militari. Ma questo è un altro discorso. Torniamo all'intervista del Commissarrio di Lega di A.


Tra le tante affermazioni di scuola, Malagò si era lasciato andare con toni lirici a celebrare questo sistema unico, affermando: "Il CONI controlla, supervisiona, cogestisce 387 discipline diverse. Una meravigliosa, fantastica, follia. Un dolcissimo manicomio". Trecentottantasette? Manicomio? Confesso che non ce ne eravano accorti. A noi sarebbero bastate quelle cosiddette olimpiche che, se non ricordo male, sono appena 41. Almeno stando alla mission - come dicono oggi fli acculturati - che il nostro Comitato Olimpico dovrebbe perseguire. Ma se a prevalere sono altre considerazioni, allora ha senz'altro ragione Malagò.


Tra queste 387 discipline figura di gran lunga al primo posto il Calcio. Un comparto nel quale lo stesso Malagò, all'indomani della eliminazione da Mosca 2018, sognando il Qatar è entrato a gamba tesa facendosi nominare commissario della Lega di Serie A (dopo aver commissariano la federazione). Malgrado avesse più volte dichiarato (l'ultima il 6 febbraio 2017) che la stessa Lega è una società privata formata da società private, alcune delle quali addirittura quotate in Borsa. La storia è arcinota. Così come è noto che tutto si è ora arenato sullo scoglio dei diritti TV. Il vero motore che alimenta e condiziona tutto il sistema. Una strettoia dalla quale sarà molto complicato uscire senza danni, economici e d'immagine.


Si poteva evitare? Sia stato o meno un errore aver voluto commissariare la Lega, anche contro il parere di molti, lo lasciamo agli esperti della materia. Certo, più passano i giorni, più appare evidente che il commissariamento sta ottenendo risultati opposti a quelle che erano le intenzioni. Come, aspetto non secondario, sta a dimostrare il compattamento prodotto tra le diverse componenti della FIGC che hanno riportato in auge Giancarlo Abete, non proprio il più amato da Malagò, che tornerà nel CN del CONI con peso ben maggiore del giubilato Tavecchio.


Tra i dolori più recenti che il presidente del CONI deve sopportare, c'è la mancata elezione ad AD della Lega stessa dell'uomo che aveva proposto, Marzio Perrelli, un altro banchiere dopo l'elezione sospettamente bulgara di Gaetano Miccichè alla presidenza. Un nome di qualità, quello di Perrelli, che tanto per restare allo sport è anche membro del comitato organizzatore della Ryder Cup di golf. Ma che malgrado i titoli importanti non ha commosso i presidenti della Serie A. Insomma un altro stop, peraltro già previsto dall'uomo più potente dello sport nazionale, quell'Urbano Cairo che partecipa al monopoli calcistico come presidente del Torino. E che, gli va concesso, questo stallo l'aveva previsto in tempi non sospetti.


Quello che non era prevedibile resta la guerra ora scoppiata tra gli spagnoli/cinesi di Mediapro e gli australiani/americani di Sky, con probabili - per non dire certi - strascichi giudiziari. Una lente attraverso la quale può leggersi anche il fallimento della linea Malagò/Miccichè? Se stiamo ai risultati ottenuti finora sul doppio fronte Lega/Federazione c'è poco da esaltarsi. Le riforme sul tappeto ricordano un po' - per carità, alla lontana - quelle di renziana memoria realizzate (?) all'insegna del mantra "ce lo chiedono gli italiani". Le riforme più modeste del Calcio, si riducono per ora nella nomina non proprio di prima scelta di Roberto Mancini per la Nazionale, ad una ipotesi di seconde squadre in Serie C sul modello spagnolo che però non solleva entusiasmi e al forzato trasferimento sotto l'usbergo federale del calcio femminile, peraltro da confermare quando (ad agosto) in FIGC torneranno gli organi statutari. Tutto qui?


E, per restare alle riforme, nei giorni scorsi Il Fatto Quotidiano ha rivelato che l'ufficio sport di Palazzo Chigi ha messo nel congelatore la riscrittura dei principi statutari e della giustizia sportiva, rinviando la decisione al prossimo Governo M5S/Lega (quella di Salvini) che proprio tanto amici dell'attuale establishment sportivo non sono. Per dire, il Governo del cosiddetto cambiamento della cui formazione è stato incaricato proprio ieri pomeriggio il professor Giuseppe Conte.


Un esecutivo nel quale la delega per lo sport - dallo spettinato e frenetico Luca Lotti - dovrebbe finire tra le competenze del sottosegretario alla Presidenza, Giancarlo Giorgetti (con l'impegno di far rispettare un contratto che prevede la revisione delle competenze del CONI). Un leghista di ferro, Giorgetti, con qualche passata frequentazione nella pallavolo. Basterà?

 

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