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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Fuori dai Mondiali, una magnifica occasione

Venerdì 8 Dicembre 2017

ronaldo 2

di Giorgio Cimbrico

Ormai è diventata un’etichetta: li chiamano i Mondiali senza l’Italia. Se è per questo, saranno anche i Mondiali senza l’Olanda che ha giocato tre finali e senza la Repubblica Ceka che, sotto la vecchia etichetta, ne ha giocate due. Ma queste sono annotazioni da vecchi bacucchi, che non contano dal momento che il calcio è un affare e uno stupefacente e i pusher delle tv sanno bene che per giugno dovranno studiare una nuova campagna, una nuova strategia, insistendo molto, ad esempio, sugli “italiani” in campo con Belgio, Argentina, Brasile ecc. o inventando qualche altra diavoleria per attrarre un pubblico che di veder partite belle o brutte che siano non ha né voglia né desiderio. Se vince la Croazia o l’Uruguay non si può mica sbattere la porta di casa per fare caroselli, urlare sino a notte alta. O incazzarsi o non por freno all’isteria..

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Saro' greve / Una sfilata olimpica in ... libera uscita

Venerdì 8 Dicembre 2017

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di Vanni Lòriga

Alle ore 16,43 di sabato 8 dicembre 1956 (cioè esattamente 61 anni ad oggi) si celebra la cerimonia di chiusura dei Giochi della XVI Olimpiade dell’era moderna. Sui pennoni del Cricket Ground Main Stadium di Melbourne vengono ammainate tutte le bandiere e restarono solo quelle greca, australiana ed italiana mentre sul tabellone luminoso appare la scritta: “Melbourne vi dice arrivederci e buon viaggio. E buona fortuna a Roma”. Poi salve di cannone e pacifica invasione di campo da parte degli atleti, da un’idea di Ian Wing, un giovane di origini cinesi che aveva proposto di abbandonare la tradizionale sfilata per nazioni.

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Cinque cerchi / Russia fuori dai Giochi, ma senza drammi

Giovedì 7 Dicembre 2017

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di Gianfranco Colasante

Atleti russi sotto tutela, sospeso il C.O., decapitato tutto il vertice sportivo. Il CIO ha aperto una strada, se ne intravede l'inizio benchè resti indistinto il prosieguo. Pubblichiamo qui di seguito tutti i 10 documenti che sono all'origine dell'affair "doping di Stato" russo. Per tentare di capire.

Chi in risposta alle decisioni del CIO dello scorso martedì, provvedimenti che precludono alla Russia i Giochi di PyeongChang, aveva evocato un nuovo boicottaggio ha dovuto rimangiarsi la previsione. Tutto rientrato a stare alle dichiarazioni di Vladimir Putin. I suoi atleti, o almeno quella parte che verrà autorizzata, in Corea ci saranno, sia pure sotto l'anonimo acronimo OAR (Olympic Athlete from Russia), senza inno in caso di vittoria e coperti dal vessillo del CIO, anche se su quest'ultimo punto si sta trattando (la bandiera russa potrebbe rispuntare nella cerimonia di chiusura). E qui, tra i tanti, si apre un primo interrogativo: quali saranno i criteri con cui l'autorità terza presieduta dalla francese Valerie Fourneyron, sceglierà questi nomi residuali? E in quali discipline, considerati i non idilliaci rapporti tra CIO e federazioni internazionali? Vedremo.

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I sentieri di Cimbricus / Le statue che (in)segnano la memoria

Mercoledì 6 Dicembre 2017

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(gfc) Il gruppo bronzeo d'apertura - il podio dei 200 di Città del Messico, or sono cinquant'anni - non è quello dedicato a Tommie Smith e John Carlos dall'Università di San Josè. Questo si trova al Museo Nazionale dell'African American History, presso la Smithsonian Institution. Dall'altro, riprodotto più in avanti, manca il secondo classificato, il nativo australiano Peter Norman [1942-2006], bianco, che appoggiò la protesta dei due neri e suggerì l'idea del doppio guanto. Un gesto che, al ritorno a casa, gli costò l'ostracismo da parte delle autorità non solo sportive del suo paese. E che gli impedì di partecipare, come avrebbe avuto tecnicamente diritto, ai Giochi del 1972 pagandolo duramente per il resto dell'esistenza. Salvo una postuma e imbarazzante riabilitazione.  

di Giorgio Cimbrico

Lo spunto è la statua di Usain Bolt - della quale abbiamo presentato tempo fa il bozzetto - che al National Park di Kingston è andata a raggiungere quelle di Arthur Wint (la prima ad esser stata piazzata in quel moderno Pantheon), di Herb McKenley, di Don Quarrie e di Merlene Ottey. Se c’è qualche giovane che legge questo quotidiano on line gli consiglio vivamente di far qualche ricerca sui primi due: avrà coinvolgenti e commoventi sorprese. Tema, dunque, le statue, quelle che ho visto e che non sono necessariamente legate all’atletica. La prima risale all’annuale visita al cimitero di Staglieno che, piccolissimo, facevo con mio padre: Alfredo Gargiullo spalancava le braccia sull’arrivo. 1906-1928 diceva la pietra, un lampo in vita, ma in tempo per correre ai Giochi di Parigi, quelli di Eric Liddell, superare le batterie, fermarsi ai quarti come il suo compagno d’avventura Luigi Facelli. Prima di morire, nel ’27, 49”0. Mio nonno, che lo incrociò, ricordava che aveva ricevuto l’invito per partecipare alle 440 yards dei campionati inglesi che al tempo valevano un campionato europeo e dove fu secondo.

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Fatti&Misfatti / Se bastassero le iperboli per giocare a mosca cieca

Martedì 5 Dicembre 2017

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di Oscar Eleni

Dal ridotto della Scala di Milano per la primina splendida dell’Andrea Chenier che ci ha fatto da padre e da guida in una vita spericolata: lui, l’Andrea, è stato uno dei più grandi perdenti della storia. Adesso non agitatevi dicendo che allora l’Andrea è stato padre di fin troppa gente, soprattutto in Italia, la stessa che si abbraccia e brinda per la squadra femminile di curling. Bravissime, niente da dire, ma torniamo al giochino sulle medaglie, quanto pesano, ma, soprattutto, cosa rappresentano se dobbiamo giudicare quanto contano, tanto per capire se, da perdenti, abbiamo sbagliato a credere che la salute sportiva di un paese si valuta altrove. Certo con la scuola che abbiamo, chiedere agli stranieri che iscrivono i loro figli in Italia. Dopo un mese li rimandano da dove sono venuti, se possono. Eppure ce ne sono che restano volentieri, ma i trinariciuti negano tutto.

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