Amarcord / Oliviero Beha, primatista mancato di mezzofondo, ...
Giovedì 7 Settembre 2014
(gfc) L’altro giorno ho comperato “Un cuore in fuga”, l’ultimo libro di Oliviero Beha dedicato alla “seconda vita” di Gino Bartali (ora pubblicizzata oltre quanto avrebbe voluto la riservatezza del Ginettaccio). Bartali è stato – assieme al Grande Torino – il mito della mia fanciullezza. Anni fa, un mio libro si classificò al secondo posto ad un “Premio Bancarella”, preceduto proprio da una sua biografia. Bartali, ch’era presente alla cerimonia sulla piazzetta di Pontremoli, mi dette la mano, calda e pesante, e chissà perché quella “sconfitta” mi parve meno importante. Dicevo di Beha. Voi già sapete tutto, della sua verve, del suo essere fedele a se stesso e volutamente “contro”. Per conferma chiedere ad Eugenio Scalfari. Giornalista, conduttore televisivo, scrittore. Opinionista, si dice oggi. Mi fermerei a polemista raffinato e arguto. Se non s’è capito, confesso di avere un debole per Oliviero, che ho sempre chiamato Oliver. L’ho conosciuto ragazzino, quando arrivò all’Acquacetosa – il nostro campo della via Paal -, studente dell’Orazio, portato all’atletica da Elio Sicari ch’era il suo professore di e.f.
Per Oliver, come detto, avevo un debole. Negli ultimi anni della mia permanenza nel direttivo di quel laboratorio di umanità che fu la sezione atletica del CUS Roma degli anni Sessanta/Settanta, mi occupavo degli junior. Nell’atletica erano gli anni del “Rinnovamento” ideato da Luciano Barra e Beppe Mastropasqua che avrebbe portato Primo Nebiolo alla presidenza. Ma molto c’era da lavorare anche in FIDAL dove continuare a stare, sempre meno convinto, dal 1964. Con l’elezione di Mario Pescante alla segretaria del CONI, di lì a poco avrei traslocato per l’ufficio stampa del Foro Italico. In quegli ultimi anni, dicevo, tra i più giovani del club dividevo le mie simpatie tra Oliver, Michele De Lauretis (abruzzese come me, poi funzionario alla preparazione olimpica e segretario di federazioni importanti come il canottaggio) e Roberto Minnetti (ostacolista dei 400, che avrebbe però scelto una professione lontana dallo sport, arrivando da ristoratore al primo posto nelle guide Michelin col suo celebre “Al pianeta terra”, in una piazzetta del Ghetto: oggi abita e lavora in Toscana).
Oliver voleva fare il giornalista e ci riuscì, sia pure scegliendo la strada più ardua. Da Paese Sera a Tuttosport, a Repubblica, alla Rai (dove lo tennero a lungo a bagnomaria), quasi mai in sintonia coi direttori. Il resto lo conoscete e lo potete verificare spesso su vari canali televisivi. Ha scritto anche molto, Oliver, con un stile tutto suo particolare, rincorrendo spesso il pensiero smarrito in lunghi periodi nei quali gli aggettivi latitano quanto la punteggiatura. Ma ha avuto sempre cose da dire, anche se non sempre condivise dai più. Molti i suoi libri. Uno sulla vittoria italiana ai mondiali dell’82 che, stampato da Feltrinelli, chissà perché non venne mai distribuito. C’è stata anche l’inevitabile parentesi “poesia”, con un libro che gli feci stampare un po’ alla macchia, titolato “Inverso”. Da qualche parte, in una delle mie librerie di Roma o Bracciano, ho ancora una copia che in un dopocena da noi, dedicò a me e Marinella.
Come concludere? Se vi va bene un aneddoto, ne ricordo due. L’irriverente esame da giornalista professionista, quando provò lui a fare l’esame alla commissione, pagandolo con un rinvio di sei mesi. L’altro, la partecipazione al concorso del CONI per il Racconto sportivo, quando presentò un brano marinaresco scritto da … Conrad. Rivelando la beffa appena in tempo. Due aneddoti che aiutano a comprendere una personalità. E, perché no, una dissacrante intelligenza. Da mancato primatista mondiale di mezzofondo. (Nella foto, sulla pista dell’Acquacetosa, assieme a Gianni Del Buono).
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