Cultura / Lettera aperta per l'Accademia dei Maestri di Sport
Lunedì 18 Novembre 2013
Tra pochi giorni si terrà all’Acqua Acetosa la sessione dell’Accademia dei MdS che dovrà distribuire le sue cariche elettive e stilare il proprio percorso culturale. Con un auspicio: che l’Accademia venga intitolata al nome di Bruno Zauli.
Cari Amici.
Nei prossimi giorni la vostra Accademia di Maestri di Sport terrà la sua assemblea elettiva. Mi pare di capire che c’è un grande interesse attorno a questo evento: d’altra parte non potrebbe essere diversamente, conoscendo le persone che la compongono e, soprattutto, l’entità del lavoro svolto per decenni nell’ambito del CONI e delle sue Federazioni, sempre sotto il comune denominatore della “passione”. Uomini di sport prestati allo sport e che non sempre lo sport ha saputo ripagare – se non con riconoscenza – almeno nella misura più corretta.
A rileggere, a distanza di quasi mezzo secolo, il bando di ammissione alla Scuola dello Sport – l’istituto che, dopo un corso di tre anni, rilasciava il vostro titolo di studio – si verifica che lo scopo iniziale era: “provvedere alla formazione di istruttori altamente qualificati nelle varie discipline sportive per il loro impiego nell’organizzazione sportiva nazionale”. Leggo anche – siamo nell’ottobre 1967 – i “quadri” usciti al termine del primo anno: tanti nomi importanti, che hanno contribuito allo sviluppo dello sport nazionale. Ma con un inserimento nel mondo del lavoro sportivo che, raramente, è transitato per il settore tecnico. Quanto piuttosto, e a vari livelli, in ambito dirigenziale.
Adesso i Maestri dello Sport – i quali, per inevitabili motivi anagrafici, sono per lo più in pensione – hanno la possibilità di compiere, tutti assieme, una nuova e più significativa mutazione professionale, ponendosi alla testa di un “rinnovamento” culturale dello sport nazionale, sempre più connotato come spettacolo e bene di consumo. In questo senso, io credo, l’Accademia avrebbe un maggior senso compiuto e potrebbe fornire un contributo capace di andare oltre i semplici enunciati. Proprio perché tutti voi, senza più i condizionamenti della “carriera”, potreste meglio razionalizzare, e diffondere, le esperienze e i valori di cui siete custodi.
Come farlo? Spetta a voi stabilirlo. So anche che in questi giorni si vanno confrontando diverse correnti di pensiero. Chi vede l’Accademia come un ritorno all’antico, quale “contenitore” e dispensatore di sapienza tecnica, chi la sogna come interlocutore di CONI e Federazioni in chiave programmatica, o altro ancora che ignoro. Non mi permetterò certo di dare consigli, che non sono peraltro in grado di offrire, in un momento di tale fervore intellettuale. Mi auguro, però, che il tutto non si risolva – come oggi fa il CONI stesso – in una pletora di celebrazioni o di premiazioni, con lo sguardo fisso al passato, sia pure con l’incapacità di interpretarlo correttamente per il futuro. O, tanto meno, al parto del solito periodico di categoria (già peraltro tentato) che finirebbe per restringere, sin dal primo numero, obiettivi e prospettive.
Sono, però, fiducioso che dal confronto di idee che si annuncia, da un auspicato dibattito, alla fine ne avrà a guadagnare l’intera organizzazione, se riuscirà a sfociare in una vera innovazione culturale nel segno della riaffermata tradizione del nostro sport. Tanto più che oggi – per una casualità di eventi fortunati – sulla scomoda poltrona di Segretario Generale del CONI siede uno di voi.
Nello sport italiano c’è ancora tanto spazio vuoto per le idee e per un serio dibattito attorno alle loro valenze. Dal mio canto – avendo la fortuna di contare tra voi tanti amici e antichi compagni di lavoro – mi sento di rivolgervi gli auguri più fervidi per la migliore riuscita. Con una sola preghiera, più che un suggerimento: che l’Accademia venga intitolata a Bruno Zauli – il creatore di tutto il nostro mondo, il “più colto uomo di sport” come lo definiva Gianni Brera – del quale tra pochi giorni ricorre il cinquantenario della scomparsa. E i cui insegnamenti e le cui opere, purtroppo, lo sport italiano ha dimenticato troppo in fretta, ben oltre le consuete celebrazioni di maniera.
Gianfranco Colasante.
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