Calcio / Le incertezze e i distinguo della giustizia sportiva
Mercoledì 23 Ottobre 2013
Dal razzismo agli insulti “territorialmente discriminatori”, il passo è breve, come insegna anche ai più distratti il calcio malato dei nostri giorni. Che sport, almeno al massimo livello, non lo è più da tempo, trasformatosi com’è in uno spettacolo (si fa per dire) senza regole e, soprattutto, senza bilanci in ordine. Uno squarcio sul presente, figlio del nostro tempo, direte, ma che si fa una certa fatica ad accettare come metafora della nostra vita quotidiana. Ma tant’è. In tale direzione vanno le recenti decisioni del giudice sportivo (Giampaolo Tosel) con la chiusura delle curve – poi, chissà perché, solo quelle, come se gli altri settori fossero riservati solo alle educande – ad ogni sospir di canti al vento. Elevati contro tutto, gli avversari in campo, ma non solo. Con una certa apprezzabile fantasia rivolta anche contro chi si trova al momento lontano, ma pur sempre “nemico” dei propri colori. E allora giù con le sentenze, curve chiuse e tutti davanti ai televisori.
Chissà perché torna in mente uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale che ha portato Giovanni Malagò alla presidenza del CONI: la revisione della giustizia sportiva. Una giustizia, almeno lo si auspica, meno sportiva e più giusta. Dopo quasi un anno non sarebbe l'ora di rimettere mano all’intera materia? Se non proprio a nome del calcio, almeno a nome di una certa credibilità delle istituzioni.
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