Calcio / Giancarlo Abete rieletto fino a Rio 2016
Martedì 15 gennaio 2013
Difficile credere che il calcio italiano – nel confermare la fiducia per la terza volta al candidato unico Giancarlo Abete, con una maggioranza che più bulgara non si può: 94,34% per cento – abbia con questo imboccato la strada delle riforme. Ma stiamo ai fatti. La strada delle riforme è proprio quella invocata, e auspicata come verbo del quadriennio che si concluderà nel 2016, da Abete che nel suo intervento di chiusura (“Uniti per un calcio migliore”) ne ha sintetizzato l’impegno in tre direzioni: a) riforma della giustizia; b) legge sugli stadi di proprietà; c) lotta alle frodi calcistiche. Visti i tempi che corrono, con le procure impegnate a ritmo serrato, un governo tutto da definire, una generale ristrettezza economica, ci sarebbe da tremare. Ma i vertici del pallone hanno emesso il loro verdetto e così sia.
Che dire? La sensazione che si trae da questo episodio non è nuova: come scriveva il principe di Lampedusa, si può “cambiare tutto per non cambiare niente”. Nello stucchevole girotondo che ripropone da anni le stesse facce, intendiamoci, tutte persone al di sopra di ogni sospetto, la volontà di cambiare resta da dimostrare nei fatti. Il nocciolo della vicenda andrebbe invece individuato nel rapporto tra uno sport di professionismo esasperato e un Comitato Olimpico di natura pubblica che gestisce denaro dell’erario (tanto per ricordare, il CONI gira attualmente alla FIGC di Abete un contributo annuo non inferiore a 60 milioni di euro). Un inizio di riforma virtuosa passerebbe di contro attraverso una scrittura moderna della legge 91 sul professionismo, la cui stesura risale addirittura al 1978, ai tempi di Franco Carraro. Come dire, a un’era geologica fa.
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