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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
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I sentieri di Cimbricus / Si chiude la leggenda di Rombo di Tuono

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Martedì 23 Gennaio 2024


gigi-riva 


“Ma lei ricorda tutto”, si stupiva in un’intervista per un suo compleanno. E io gli dicevo che era normale perché lui ci aveva riempito la vita. E ripassavo con lui, fotogramma dopo fotogramma, il gol più bello, quello contro la DDR, a Napoli.

Giorgio Cimbrico

E così è finita un’epoca. Gigi Riva è stato Achille e Ettore (ma poteva anche essere Enea, perché trovato un posto non si è più mosso). Se dalle sue parti avessero giocato a rugby sarebbe diventato una di quelle terze linee indomite alla Jean Pierre Rives o, con qualche chilo in meno, un ottocentista dai gomiti puntuti, bravo a farsi largo, come faceva in area, nei grappoli. O un giovane veterano che poteva guidare un plotone.

Tutti eravamo pazzi per Riva e non ce ne fregava niente della diatriba Mazzola-Rivera. Noi aspettavamo solo lui e compiangevamo chi non l’aveva capito: “Ha un piede solo”, dicevano. Bah.

E quando a Messico si sbloccò, Tuttosport fece un titolo che ci commosse e ci eccitò: “Arriba Riva, Mexico adios”. Perché quel gol metteva fine ai nostri tremori, ai nostri dubbi. Aveva vivacchiato in quel grigio girone deciso da un tiraccio di Domenghini non trattenuto dal portiere svedese. Cosa aveva, Riva? Era stato colpito da Moctezuma? Soffriva la quota che dai Giochi del ’68 avevamo imparato a chiamare altura?

E poi venne quel gol e poi ne venne un altro, nei supplementari – tiempo extra – di Italia-Germania 4-3 e ricordo che alla fine di quel diagonale la palla andò a scalare il ferro della porta di Sepp Maier, che aveva uno di quei volti che escono dalla torretta di un panzer. E a quel punto, abbandonati gli ultimi ripassi per l’esame di maturità che incombeva, sognavamo. Ma la sconfitta con il Brasile non fu un incubo.

“Ma lei ricorda tutto”, si stupiva Riva durante un’intervista per un suo compleanno. E io gli dicevo che era normale perché lui ci aveva riempito la vita. E ripassavo con lui, fotogramma dopo fotogramma, il gol più bello, quello contro la DDR, a Napoli, qualificazione ai Mondiali del ’70: il traversone basso e molto teso di Domenghini e Riva che trova un equilibrio nell’aria, perfettamente orizzontale per una zuccata che esplode come un collo pieno. Esiste il filmato e esiste una magnifica foto bianco e nero. Quella sospensione nell’aria è perfetta, eterna.

Riva aveva una voce dai toni più metallici che profondi, dell’accento lombardo era rimasta un’eco. Non era un collezionista di memorabilia, di souvenir. “Mia sorella metteva tutto in una cassa”. La sorella, molto amata, l’ha preceduto nel viaggio. Chissà che fine ha fatto la cassa dove lei riponeva ricordi e maglie. Ci sarà anche quella del Legnano, lilla, l’unica altra sua squadra prima di quel primo assaggio di Sardegna che si rivelerà fatale, definitivo.

Un’altra volta, a Coverciano, finimmo a parlare di Grazianeddu che da latitante andava a vederlo giocare in quello che si chiamava Amsicora. E Gigi non negò di avergli mandato in carcere una tuta, una maglia. Immaginatevi cosa succederebbe oggi: il diluvio di commenti, lo starnazzare indecoroso.

Quel giorno fumammo una sigaretta. Io la solta Camel, lui una di quelle sottili. Il tempo delle Nazionali senza filtro e mozzafiato era lontano, perso nella nebbia che avvolgeva lui, Scopigno e gli altri ragazzi irresistibili del Cagliari. “Perché se l’uomo sa di fumo è veramente un uomo …” cantava Mina in quegli anni di anti-proibizionismo.

E chiacchierando venivano sfogliate altre pagine: la rovesciata di Vicenza e quel colpo di testa a Berlino che lasciò stupito il gigantesco portiere della DDR e certe punizioni, con lunga rincorsa, che nella carta stampata diventavano folgori. Dei due gravi infortuni in azzurro non parlammo: a Riva non piaceva passar per quello che aveva dato due gambe alla patria. C’è un vecchio filmato dopo l’incidente di Vienna: lui è su un lettino, lucido, che parla con tranquillità di ciò che può riservargli il futuro.

Era riservato nei suoi affetti, legato alla sua Terra Promessa, a quelli che rimanevano tra gli autori del miracolo rossoblù e all’azzurro. Per chi, in quel giugno del ’70, lo amava da lontano è un giorno difficile, di vecchi equilibri perduti, di memorie da conservare sino all’ultimo istante. E, se concesso, anche oltre.

 

 

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